Oggi ho deciso di copiarvi ed incollarvi un estratto della mia tesi di laurea, molto utile al fine di capire come siamo arrivati al tracollo economico. Il documento non parla direttamente dell’Italia ma parla dell’Argentina, un paese che come il nostro era stato ridotto al collasso da scellerate politiche economiche, dove il popolo ha avuto la forza di ribellarsi. Oggi, dopo la “rivoluzione”, l’Argentina gode di percentuali di crescita del PIL a due cifre.
Il sistema bancario argentino inizialmente era legato a doppio filo a quello americano; in un primo tempo infatti era vigente una legge sulla Convertibilità (Ley de convertibilidad) che attribuiva alla banca argentina il compito di stampare o ritirare moneta dal mercato al fine di stabilizzare un cambio pesos-dollaro di 1:1 (NDA in pratica l’argentina, nonostante formalmente mantenesse la propria moneta, di fatto non godeva della possibilità di stampare moneta indipendentemente) . Nel breve periodo la stabilità della parità Peso-dollaro aumentò la qualità della vita della popolazione. I cittadini, infatti, potevano viaggiare all’estero e comprare beni prodotti fuori dal territorio nazionale (NDA come in Italia dopo l’adozione dell’euro). Questo benessere, però, fu solo momentaneo in quanto, nel lungo periodo, la convenienza nel comprare beni esteri portò l’Argentina alla deindustrializzazione, che portò a sua volta ad un graduale calo dell’occupazione. In aggiunta a ciò appare doveroso ricordare come sull’Argentina gravasse un forte debito estero pregresso, che non solo non é mai stato pagato, ma é stato rinnovato ed incrementato negli anni. La responsabilità di questa situazione é da attribuire in parte all’establishment argentino (banchieri compresi) ed in parte al Fondo Monetario Internazionale, che avrebbe potuto facilmente arrivare alla conclusione che l’Argentina non sarebbe mai stata in grado di onorare il proprio debito.
Questa situazione di incertezza economica provocò una fuga di massa di capitali dalle banche argentine che durò, con flussi alterni di intensità, per tutti gli anni 90.
Nel 1999, il neo eletto presidente Fernando de la Rúa si insediò in un paese dove la disoccupazione era ormai a livelli critici e gli effetti negativi del tasso di cambio fisso erano ben evidenti. Proprio in quell’anno il paese entrò in recessione e tutte le misure adottate dal governo per risolvere la situazione apparivano inutili se non addirittura dannose. Erano tutte misure tendenti a quella che oggi chiameremmo una politica di “austerity“.
L’unica soluzione possibile, nel momento di massima criticità, è sembrata essere l’abbandono del tasso di cambio fisso.
Nel 2001 gli effetti della crisi erano sentiti dalla maggior parte della popolazione, la sfiducia nel governo e nel sistema economico portò i cittadini argentini a ritirare grosse somme di denaro dai propri conti correnti al fine di convertirli in dollari. Il governo argentino cercò di porre un freno a questo fenomeno applicando un pacchetto di leggi detto “corallito” che sostanzialmente era atto a bloccare il prelievo di grosse cifre dai conti bancari.
La situazione complessiva portò tra il 2001 e il 2002 ad una serie di manifestazioni progressivamente più violente, in cui i manifestanti distruggevano gli edifici di proprietà di multinazionali e davano fuoco alle pubblicità delle stesse.
Il 21 dicembre del 2001 i membri del governo furono letteralmente costretti da una folla inferocita a fuggire in elicottero dalla Casa Rosada per evitare il linciaggio, questo decretò la caduta del governo de facto. Il governo tecnico succeduto secondo le leggi argentine a quello mandato via, trovandosi nella sostanziale impossibilità di ripagare il debito pubblico, dichiarò default per la parte più consistente del debito, circa 132 miliardi di dollari. Il presidente tecnico Rodriguez Saa successivamente elaborò una strategia di svalutazione controllata della moneta che prevedeva di immettere nel mercato una nuova moneta che avrebbe dovuto chiamarsi “argentino”, la quale avrebbe gradualmente sostituito il peso; il presidente, però, non godeva del necessario consenso politico per attuare una riforma di tale rilevanza, per questo si dimise ed, in base alla legge argentina, fu sostituito dal governatore di Buenos Aires Eduardo Duhalde.
Duhalde non ebbe alternative, dopo un decennio di convertibilità fissa con il dollaro fu costretto a svincolare il peso permettendogli così di fluttuare liberamente fino a far coincidere nuovamente la forza della moneta con l’economia reale del paese.
La forte inflazione che derivò da questa scelta, unita alla completa deindustrializzazione del paese, ha contribuito a creare una situazione paradossale in cui i cittadini argentini non erano più in grado di acquistare beni esteri ma, allo stesso tempo, non avevano beni prodotti sul suolo nazionale con cui sostituirli (NDA fortunatamente noi ancora non siamo arrivati a questo punto). Il cambio peso-dollaro arrivò fino a 4:1 ma gli stipendi rimasero quelli antecedenti alla crisi e la disoccupazione continuava a crescere a livelli vertiginosi.
La situazione si stabilizzò dopo le elezioni del 2003 quando il nuovo presidente Nesthor Kirchner, con l’aiuto del ministro dell’Economia Roberto Lavagna, salvò letteralmente l’Argentina dal vortice inflazionistico in cui si era incastrata.
La svalutazione del Peso aveva ribaltato la bilancia commerciale argentina, aumentando vertiginosamente le esportazioni ed incoraggiando la produzione locale, Kirchner, inoltre, intervenne aumentando esponenzialmente la tutela sociale delle fasce più deboli e tagliando altre voci della spesa pubblica, in questo modo, oltre ad aumentare la qualità media della vita del popolo argentino, diminuì la fascia di poveri e disoccupati e l’economia cominciò a risollevarsi; questo contribuì a rafforzare il peso fino a tornare ad un tasso di cambio con il dollaro di 3:1. L’economia argentina andava talmente bene che, per evitare l’eccessivo rafforzamento del peso sul dollaro, il governo dovette iniziare ad acquistare dollari al fine di immagazzinarli, al contempo, per evitare l’inflazione del peso che sarebbe naturalmente conseguita se fosse stata stampata moneta per acquistare i dollari, il governo prese la decisione di pagare in buoni del tesoro convertibili. La ritrovata fiducia nel governo da parte del popolo faceva sì che i cittadini non convertissero i buoni e la strategia fu un successo.
Dal 2003 l’economia argentina é caratterizzata da un PIL in crescita al ritmo di circa il 10% annuo.
Partendo da questo assunto, non é difficile comprendere come il presidente Knicher sia riuscito in soli tre anni ad estinguere la parte residua del debito dopo il default con il Fondo Monetario Internazionale. Lo fece pagando in un unica soluzione utilizzando le riserve di dollari immagazzinati dalla Banca Centrale argentina, strettamente legata al governo.
P.S. Come redazione di DietroLaNotizia abbiamo preso contatti con i coordinatori dell’evento, da oggi fino alla fine della rivoluzione-manifestazione ci impegneremo al fine di farvi avere tutte le notizie inerenti a quest’ultima in tempo reale.
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Il sistema bancario argentino inizialmente era legato a doppio filo a quello americano; in un primo tempo infatti era vigente una legge sulla Convertibilità (Ley de convertibilidad) che attribuiva alla banca argentina il compito di stampare o ritirare moneta dal mercato al fine di stabilizzare un cambio pesos-dollaro di 1:1 (NDA in pratica l’argentina, nonostante formalmente mantenesse la propria moneta, di fatto non godeva della possibilità di stampare moneta indipendentemente) . Nel breve periodo la stabilità della parità Peso-dollaro aumentò la qualità della vita della popolazione. I cittadini, infatti, potevano viaggiare all’estero e comprare beni prodotti fuori dal territorio nazionale (NDA come in Italia dopo l’adozione dell’euro). Questo benessere, però, fu solo momentaneo in quanto, nel lungo periodo, la convenienza nel comprare beni esteri portò l’Argentina alla deindustrializzazione, che portò a sua volta ad un graduale calo dell’occupazione. In aggiunta a ciò appare doveroso ricordare come sull’Argentina gravasse un forte debito estero pregresso, che non solo non é mai stato pagato, ma é stato rinnovato ed incrementato negli anni. La responsabilità di questa situazione é da attribuire in parte all’establishment argentino (banchieri compresi) ed in parte al Fondo Monetario Internazionale, che avrebbe potuto facilmente arrivare alla conclusione che l’Argentina non sarebbe mai stata in grado di onorare il proprio debito.
Questa situazione di incertezza economica provocò una fuga di massa di capitali dalle banche argentine che durò, con flussi alterni di intensità, per tutti gli anni 90.
Nel 1999, il neo eletto presidente Fernando de la Rúa si insediò in un paese dove la disoccupazione era ormai a livelli critici e gli effetti negativi del tasso di cambio fisso erano ben evidenti. Proprio in quell’anno il paese entrò in recessione e tutte le misure adottate dal governo per risolvere la situazione apparivano inutili se non addirittura dannose. Erano tutte misure tendenti a quella che oggi chiameremmo una politica di “austerity“.
L’unica soluzione possibile, nel momento di massima criticità, è sembrata essere l’abbandono del tasso di cambio fisso.
Nel 2001 gli effetti della crisi erano sentiti dalla maggior parte della popolazione, la sfiducia nel governo e nel sistema economico portò i cittadini argentini a ritirare grosse somme di denaro dai propri conti correnti al fine di convertirli in dollari. Il governo argentino cercò di porre un freno a questo fenomeno applicando un pacchetto di leggi detto “corallito” che sostanzialmente era atto a bloccare il prelievo di grosse cifre dai conti bancari.
La situazione complessiva portò tra il 2001 e il 2002 ad una serie di manifestazioni progressivamente più violente, in cui i manifestanti distruggevano gli edifici di proprietà di multinazionali e davano fuoco alle pubblicità delle stesse.
Il 21 dicembre del 2001 i membri del governo furono letteralmente costretti da una folla inferocita a fuggire in elicottero dalla Casa Rosada per evitare il linciaggio, questo decretò la caduta del governo de facto.
Duhalde non ebbe alternative, dopo un decennio di convertibilità fissa con il dollaro fu costretto a svincolare il peso permettendogli così di fluttuare liberamente fino a far coincidere nuovamente la forza della moneta con l’economia reale del paese.
La forte inflazione che derivò da questa scelta, unita alla completa deindustrializzazione del paese, ha contribuito a creare una situazione paradossale in cui i cittadini argentini non erano più in grado di acquistare beni esteri ma, allo stesso tempo, non avevano beni prodotti sul suolo nazionale con cui sostituirli (NDA fortunatamente noi ancora non siamo arrivati a questo punto). Il cambio peso-dollaro arrivò fino a 4:1 ma gli stipendi rimasero quelli antecedenti alla crisi e la disoccupazione continuava a crescere a livelli vertiginosi.
La situazione si stabilizzò dopo le elezioni del 2003 quando il nuovo presidente Nesthor Kirchner, con l’aiuto del ministro dell’Economia Roberto Lavagna, salvò letteralmente l’Argentina dal vortice inflazionistico in cui si era incastrata.
La svalutazione del Peso aveva ribaltato la bilancia commerciale argentina, aumentando vertiginosamente le esportazioni ed incoraggiando la produzione locale, Kirchner, inoltre, intervenne aumentando esponenzialmente la tutela sociale delle fasce più deboli e tagliando altre voci della spesa pubblica, in questo modo, oltre ad aumentare la qualità media della vita del popolo argentino, diminuì la fascia di poveri e disoccupati e l’economia cominciò a risollevarsi; questo contribuì a rafforzare il peso fino a tornare ad un tasso di cambio con il dollaro di 3:1. L’economia argentina andava talmente bene che, per evitare l’eccessivo rafforzamento del peso sul dollaro, il governo dovette iniziare ad acquistare dollari al fine di immagazzinarli, al contempo, per evitare l’inflazione del peso che sarebbe naturalmente conseguita se fosse stata stampata moneta per acquistare i dollari, il governo prese la decisione di pagare in buoni del tesoro convertibili. La ritrovata fiducia nel governo da parte del popolo faceva sì che i cittadini non convertissero i buoni e la strategia fu un successo.
Dal 2003 l’economia argentina é caratterizzata da un PIL in crescita al ritmo di circa il 10% annuo.
Partendo da questo assunto, non é difficile comprendere come il presidente Knicher sia riuscito in soli tre anni ad estinguere la parte residua del debito dopo il default con il Fondo Monetario Internazionale. Lo fece pagando in un unica soluzione utilizzando le riserve di dollari immagazzinati dalla Banca Centrale argentina, strettamente legata al governo.
P.S. Come redazione di DietroLaNotizia abbiamo preso contatti con i coordinatori dell’evento, da oggi fino alla fine della rivoluzione-manifestazione ci impegneremo al fine di farvi avere tutte le notizie inerenti a quest’ultima in tempo reale.
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