mercoledì 18 dicembre 2013

L'EDITORIALE di Simone Di Stefano*

C’è chi il Tricolore lo brucia, c’è chi ci sputa sopra. E nessuno mai protesta, ma io sono stato condannato a tre mesi.

C’è chi il Tricolore lo brucia, c’è chi ci sputa sopra. E nessuno mai protesta. Io sono stato condannato a tre mesi di reclusione per aver tentato di metterlo al posto dello straccio blu che sventola sulla sede della rappresentanza della Commissione Ue in Italia. Uno straccio blu, non una bandiera dei popoli d’Europa bensì il vessillo di quanti la stanno affondando. L’ho fatto perché l’Italia chiamò e chiama ancora: sul piatto c’è la nazione e lo Stato come ci è stato consegnato da chi c’era prima di noi. Per questo sabato mi sono ritrovato a salire con una scala su un balcone e a strappare via quello che in tanti reputano uno straccio. Indossavo una maschera, in segno di impersonalità. Al posto mio poteva esserci qualsiasi italiano strozzato dal fisco rapace, dall’austerity, uno dei tanti imprenditori suicidi per la crisi. Sia chiaro: non l’ho fatto perché odio l’Europa. Al contrario: considero i popoli europei come fratelli e spero anzi che la nostra azione possa dare una speranza a chi vede in questa Unione europea un mostro burocratico e antipopolare. Ecco, le ragioni di quel gesto sono tutte qui: nella volontà di affermare che alcuni italiani non si arrendono a questa Europa. Dopo 150 anni di storia nazionale si sta di nuovo imponendo sulla scena internazionale questa idea dell’italiano pizzaiolo e gondoliere (con tutto il rispetto), dimenticando che l’Italia è o è stata all’avanguardia nell’industria, nella ricerca, nella tecnologia. Chi ci governa forse si odia per essere nato italiano, avrebbe voluto essere inglese, frequentare i salotti che contano. Si vergognano di noi. Io invece sono fiero di essere italiano e credo che tutti gli italiani dovrebbero sentirsi orgogliosi della propria nazione (nazione, non paese. Non è una sfumatura da poco). Alcuni italiani non si arrendono al «ce lo chiede l’Europa», al «non abbiamo scelta». Balle. C’è sempre una scelta. La scelta che i movimenti di questi giorni stanno chiedendo e chiederanno con maggior forza domani a piazza del Popolo è una scelta di sovranità. È possibile, basta volerlo. Basta affermarlo, anche con gesti simbolici forti come il mio, se è il caso. Prima delle partite della Nazionale ci ritroviamo tutti abbracciati a cantare "siam pronti alla morte, l’Italia chiamò". Non dico di voler morire, ma almeno di essere pronti a mettersi in gioco per la nostra nazione e il tricolore che la rappresenta.
 
*vicepresidente di CasaPound

Simone Di Stefano

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