lunedì 23 dicembre 2013

La salvezza dell’Italia passa per l’abbandono dell’Euro e un ritorno alla piena sovranità economica



Ormai non è più un peccato definirsi euroscettici. L’euroscetticismo in verità è semplice realismo, e il realismo non può che essere indice di serietà argomentativa. La realtà è che nessuno è più disposto a bersi le panzane pro-euro che ci hanno rifilato in tutti questi anni, volte a dipingerci la moneta unica come la panacea di tutti i mali. La verità è che l’euro è l’origine di tutti i mali. Quanto meno per come è stato adottato e per le sovrastrutture burocratiche che lo dominano.

Un primo effetto dell’introduzione dell’euro, per l’Italia, è stato il matematico raddoppio del costo della vita. L’euro venne cambiato con la lira a un rapporto di 1936,27 lire per 1 euro. Tuttavia, tutto ciò che costava 1000 lire, venne portato a 1 euro, per effetto dell’inganno psicologico della parità (inesistente) tra 1000 lire e 1 euro. Ci fu dunque una prima ondata speculativa, dovuta al cambio di valuta, che comportò una drastica riduzione del potere d’acquisto dei salari. Ma era solo l’inizio del tracollo.
Pochi sanno che in realtà l’euro è una moneta straniera, adottata dall’Italia a seguito della firma di una serie di trattati europei, che richiedono tra le altre cose il rispetto rigido di alcuni parametri finanziari, tra cui un tetto massimo di disavanzo pubblico pari al 3% del PIL, e un debito pubblico che non deve superare il 60% del PIL. Due parametri che hanno rappresentato e tuttora rappresentano la più importante cessione di sovranità economica dello Stato italiano a favore dell’Europa, il cui Governo non è espressione del voto democratico dei cittadini europei ma è una struttura complessa dai tratti marcatamente burocratici, in cui siedono rappresentanti nominati dai governi nazionali, ma che da questi sono indipendenti.
Dunque con l’euro, l’Italia ha perso molto più del potere di coniare monete. Senza scomodare i complotti finanziari, il signoraggio e via dicendo, si può tranquillamente affermare che con l’introduzione dell’euro l’Italia ha perso la propria sovranità economica e monetaria, e cioè la capacità e il potere di attuare politiche monetarie ed economiche che in un qualche modo potessero tutelare gli interessi dell’economia italiana. Da una parte il divieto europeo di favorire le aziende nazionali (e dunque l’economia nazionale), dall’altra l’utilizzo di una moneta straniera, connessa alla rigida osservanza dei parametri di Maastricht, hanno creato un mix velenoso per la nostra economia. Il cambio sfavorevole euro/lira ha poi dato il colpo di grazia. L’effetto? Una progressiva deindustrializzazione del nostro paese a favore di economie prive di regole, o peggio una colonizzazione dell’industria italiana, con il sempre più frequente passaggio di pezzi pregiati dei nostri assets privati e pubblici (compreso il know how) in mano a pacchetti azionari stranieri (molto spesso di nazioni europee che dall’euro hanno tratto più benefici che svantaggi).
In questo contesto negativo naturalmente non manca di incidere una classe politica non altezza, ipocritamente europeista, e priva della necessaria cultura identitaria, che avrebbe permesso altrimenti una maggiore tutela degli interessi italiani anche a fronte dell’adozione della moneta unica.
Naturalmente siamo ancora in tempo per rimediare. L’Italia si trova in una situazione socialmente ed economicamente drammatica. E una buona parte dei guai che ci sono piovuti addosso arrivano proprio dalle strutture europee. Sarebbe perciò opportuno riconsiderare l’adesione del nostro paese, quanto meno alla moneta unica. Ferma restando l’adesione dell’Italia all’Europa, credo e sono convinto che la nostra classe politica, se solo avesse un minimo di lungimiranza e avesse maggiormente a cuore l’economia nazionale, dovrebbe rinegoziare il rispetto dei parametri di Maastricht, e dovrebbe riappropriarsi della piena sovranità economica e monetaria, unendo quest’ultima a una profonda riforma delle istituzioni italiane, che svecchiasse e alleggerisse la burocrazia e introducesse il federalismo e il presidenzialismo, con un rinnovato sistema elettorale. Diversamente non ci resta che attendere l’esaurirsi del processo di colonizzazione economica e sociale e la conseguente fine dell’Italia in quanto nazione e Stato sovrano e indipendente.
 
fonte articolo    http://www.criticalibera.it  

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