lunedì 23 dicembre 2013

La beffa dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti



Aboliamo o non aboliamo? Nel 1993 gli italiani si erano espressi chiaramente: aboliamo. Niente più soldi pubblici ai partiti, che peraltro non si sapeva esattamente come li spendessero non avendo obbligo di rendicontare e non avendo alcun obbligo di certificare i propri bilanci; mistero che permane ancora oggi per tutti quei partiti che non si sono adoperati a far certificare i loro bilanci.
Poi sappiamo come è andata la storia: il finanziamento pubblico abrogato nel 1993 è rientrato dalla finestra, qualche anno dopo, come rimborso delle spese elettorali. Naturalmente rimborso forfettario, non giustificato dalle spese effettivamente sostenute, tanto che i soldi percepiti dai partiti erano (e sono), dieci, venti e forse cento volte di più dei soldi effettivamente spesi nelle attività elettorali.
Ora il Governo Letta annuncia trionfante l’abrogazione del finanziamento pubblico. Saranno i cittadini a decidere con il 2 per mille se e a quale partito devolvere una parte della loro imposta IRPEF. Peccato però che anche in questa ennesima “vittoria” dei cittadini, ci sia la beffa. Già, perché l’abrogazione entrerà in vigore solo dal 2018. Dal 2013 e fino al 2017 i partiti continueranno a prendere palate di denaro pubblico, nonostante la crisi e la disoccupazione che dilaga.
E precisamente: 91 milioni di euro nel 2014; 50 milioni nel 2015; 45 milioni del 2016 e circa 36 milioni nel 2017. Solo nel 2013 sono stati già spesi 120,45 milioni di cui 40 erogati da privati e circa 80 con i rimborsi.
La verità è che un’abolizione che rispetti integralmente la volontà del referendum del 1993 dovrebbe abrogare immediatamente qualsiasi erogazione pubblica ai partiti, senza se e senza ma, e senza ulteriori ritardi.

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