ROMA: SPESI IN 3 ANNI 42 MILIONI DI EURO PER “L’INTEGRAZIONE” DEGLI ZINGARI. INGURGITATI DALLE VARIE “COOPERATIVE” DI ASSISTENZA SOCIALE?Campi rom a Roma, il mistero dei 42 milioni spesi dal Comune per l’inclusione.

 
Quarantadue milioni di euro. È la cifra spesa dal Campidoglio negli ultimi tre anni per l’inclusione dei circa settemila rom residenti a Roma. “E non sappiamo davvero dove siano finiti”, ammette un funzionario del Comune mentre osserva una baracca fatiscente del campo nomadi di via Gordiani, uno degli otto regolarmente presenti nella Capitale, che questa mattina ha accolto la ministra Cecile Kyenge e la viceministra al welfare Maria Cecilia Guerra. Una visita istituzionale che conclude la sesta conferenza internazionale di Cahrom, il gruppo di 47 esperti del Consiglio d’Europa dedicati alla soluzione della discriminazione nei confronti dei rom. E in Europa, specifica Michael Guet, “l’Italia è rimasto l’unico Paese con i campi nomadi insieme alla Francia”.
Il campo di via Gordiani, assicurano gli educatori della cooperativa Ermes impegnata nel villaggio attrezzato, è il migliore di Roma: è relativamente centrale e dunque ben collegato con il resto della città. Eppure è un agglomerato di container sovraffollato.
“Vorremmo uscire dal campo e finalmente avere una casa”, dice Ava Nicolic, una delle anziane rom alla ministra Kyenge. E poco dopo un uomo spiega: “Ci chiamano ladri ma noi abbiamo anche pulito le tombe dei cimiteri per pochi euro”.
A via Gordiani, periferia est, vivono 245 rom in container che risalgono al 2002, così come indicato nelle targhe, e che ormai cadono a pezzi. Vesna Halilovic ci invita nel suo bagno, rotto da tre anni: l’acqua scorre inarrestabile. “Chiediamo al Campidoglio di mandare qualcuno ad aggiustare ma dicono che hanno finito i soldi”. Il fratello di Vesna, Cimic, sposato a una calabrese che vive con lui da venticinque anni in questo campo nomadi, dice che l’unico aiuto economico diretto viene dato dalla comunità di Sant’Egidio, che assicura a ogni famiglia cento euro una tantum se i bambini vanno regolarmente a scuola.
Alcuni dei residenti hanno trovato lavoro presso la cooperativa Ermes, come Vesna che fa le pulizie. Altri, come Cimic, vendono rose ai turisti. E uno ha trovato lavoro come autista d’autobus alle dipendenze della Cotral. “Fortissimo è lo stigma sociale nei confronti dei rom”, dice alla fine della visita la viceministra Guerra, “e per questo la Strategia di inclusione è fondamentale per accompagnarli verso l’autonomia lavorativa e residenziale”.
Kyenge e Guerra concordano nel superamento dei campi, mentre rimane cauta l’assessora alle politiche sociali di Roma Rita Cutini: “Il Campidoglio è impegnato a risolvere il problema della casa per tutti i romani, e dunque anche per i rom. Se a volte sorgono problemi burocratici come il mancato certificato di residenza dei rom, non e’ per discriminazione. I campi si devono organizzare”.
Eppure Cutini, che promette di chiudere i due campi di Salone e Castel Romano, veri e propri ghetti, non promette di modificare la circolare introdotta da Alemanno lo scorso inverno secondo la quale, nell’assegnazione del punteggio per la graduatorie degli alloggi popolari, incredibilmente le baracche dei rom risultano come abitazioni permanenti, facendo scivolare le famiglie rom in fondo alla classifica dei bisognosi: “Naturalmente anch’io mi rendo conto che i campi sono temporanei e non permanenti, ma se una famiglia rom ottiene un punteggio basso può comunque fare ricorso”.
Proprio la discriminazione dei nomadi nell’assegnazione delle case pubbliche a Roma, e i continui sgomberi da parte dell’amministrazione, sono finiti in un dossier presentato ieri da Amnesty International. Tuttavia Ignazio Marino non ha voluto affrontare la questione, sempre spinosa per qualunque inquilino del Campidoglio: oggi infatti è saltato l’incontro in Comune con i rappresentanti di Cahrom.
“Date a noi i soldi che dite di spendere per i rom” dice Cimic, quando ormai la delegazione si è allontanata dal campo. Con quarantadue milioni di euro – trentadue dei quali ottenuti per il Piano Nomadi che si è concluso con la decadenza di Alemanno – ogni rom avrebbe ricevuto seimila euro ciascuno. “Avrei preso in affitto una casa”, dice Cimic, che con una famiglia di cinque persone avrebbe percepito 30mila euro.
La signora Ava, che poco prima aveva parlato alla ministra, mostra il cancello all’entrata del campo: rotto. “Nessuno viene ad aggiustarlo, è aperto giorno e notte e dobbiamo stare attenti perché i bambini potrebbero uscire e finire investiti”. Nemmeno per la pulizia del campo vengono spesi i finanziamenti del capitolo rom (circa una decina di milioni l’anno): due giorni fa in previsione della visita del governo, raccontano i rom di via Gordiani, grossi camion hanno portato via tutta la spazzatura accumulata in due anni tra un container e l’altro.