Di Sergio Rizzitiello, il
Ci siamo presi la briga di trascrivere la lettera in manoscritto di Palmiro Togliatti, Il Migliore, del 15 febbraio 1943, scritta in risposta a Vincenzo Bianco, un dirigente del Partito comunista italiano, che caldeggiava un suo intervento presso le autorità sovietiche per scongiurare la morte di migliaia e migliaia di soldati italiani tenuti prigionieri dall’amico e compagno Stalin.
Togliatti ovviamente non dice di farli sopprimere, lui mica è feroce è umanitario, sarcasticamente dice che è buono come una dama della Croce Rossa, ma auspica che le dure condizioni “oggettive” di vita facciano il loro corso provocando la fine di molti di loro realizzando quella alta e nobile giustizia, che diamine, immanente alla storia e già rivelata dal “vecchio” Hegel.
La storia dal cuore hegeliano ha dato ascolto alla sua invocazione: probabilmente morirono in prigionia quasi 50000 soldati italiani.
Ci siamo presi la briga di trascrivere la lettera in manoscritto di Palmiro Togliatti, Il Migliore, del 15 febbraio 1943, scritta in risposta a Vincenzo Bianco, un dirigente del Partito comunista italiano, che caldeggiava un suo intervento presso le autorità sovietiche per scongiurare la morte di migliaia e migliaia di soldati italiani tenuti prigionieri dall’amico e compagno Stalin.
Togliatti ovviamente non dice di farli sopprimere, lui mica è feroce è umanitario, sarcasticamente dice che è buono come una dama della Croce Rossa, ma auspica che le dure condizioni “oggettive” di vita facciano il loro corso provocando la fine di molti di loro realizzando quella alta e nobile giustizia, che diamine, immanente alla storia e già rivelata dal “vecchio” Hegel.
La storia dal cuore hegeliano ha dato ascolto alla sua invocazione: probabilmente morirono in prigionia quasi 50000 soldati italiani.
“L’altra questione sulla quale sono in disaccordo da te è quella del trattamento dei prigionieri.
Non sono per niente feroce, come tu sai.
Sono umanitario quanto te, o quanto può esserlo una dama della Croce Rossa.
La nostra posizione di principio rispetto agli eserciti che hanno invaso la Unione sovietica, è stata definita da Stalin, e non vi è più niente da dire.
Nella pratica, però, se un buon numero dei prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire, anzi.
E ti spiego il perché.
Non c’è dubbio che il popolo italiano è stato avvelenato dalla ideologia imperialista e brigantesca del fascismo.
Non nella stessa misura che il popolo tedesco, ma in misura considerevole.
Il veleno è penetrato tra i contadini, tra gli operai, non parliamo della piccola borghesia e degli intellettuali, è penetrato nel popolo, insomma.
Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il miglioe, è il più efficace degli antidfoti.
Quanto più largamente penetrerà nel popolo la convinzione che aggressione contro altri paesi significa rovina e morte per il proprio, significa rovina e morte per ogni cittadino individualmente preso, tanto meglio sarà per l’avvenire d’Italia.
I massacri di Dogali e di Adua furono uno dei freni più potenti allo sviluppo dell’imperialismo italiano, e uno dei più potenti stimoli allo sviluppo del movimento socialista.
Dobbiamo ottenere che la distruzione dell’Armata italiana in Russia abbia la stessa funzione oggi.
In fondo, coloro che dicono ai prigionieri, come tu mi riferivi:” Nessuno vi ha chiesto di venir qui, dunque non avete niente da lamentarvi”, dicono una cosa che è profondamente iusta, anche se è vero che molti dei prigionieri sono venuti qui solo perché mandati.
E’ difficile, anzi impossibile, distinguere in un popolo chi è responsabile di una politica, da chi non lo è, soprattutto quando non si vede nel popolo una lotta aperta contro la politica delle classi dirigenti.
L’ho già detto: io non sostengo affatto che i prigionieri si debbano sopprimere, tanto più che possiamo servircene per ottenere certi risultati in altro modo, ma nelle durezze oggettive che possono provocare la fine di molti di loro, non riesco a vedere altro che la concreta espressione di quella giustizia che il vecchio Hegel diceva essere immanente in tutta la storia.”
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