BARCONI SPA: L’IMMIGRAZIONE CLANDESTINA E’ IL SECONDO BUSINESS MONDIALE DOPO IL NARCOTRAFFICO. RAPPORTO DIA: BISOGNA AIUTARLI A CASA LORO.
Immigrazione clandestina: secondo business mondiale dopo il narcotraffico – Le valutazioni di Onu e Dna
La tratta degli esseri umani va considerata come una specificità all’interno del più vasto fenomeno dell’immigrazione illegale.
E’ ormai un rischio per la sicurezza nazionale e internazionale, poiché costituisce una delle fonti di reddito più interessanti per il crimine organizzato transnazionale; secondo le più recenti stime formulate dall’Onu (http://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/glotip/Trafficking_in_Persons_2012_web.pdf ) pur nella palese difficoltà di quantificarne i flussi finanziari, sarebbe diventata il secondo business dopo il narcotraffico.
La questione della migrazione non è però un problema sussidiario legato solo alla sicurezza o all’emergenza umanitaria (esempio: gli sbarchi a Lampedusa). L’immigrazione e l’integrazione ad essa correlata sono diventati i temi di attualità centrale che influenzano in maniera significativa le scelte politiche dell’occidente e dell’Europa in particolare.
Dare risposte ai problemi reali che la migrazione pone, significa partire dal principio generale di agire a monte delle cause della migrazione, piuttosto che contrastarlo a valle mettendo in atto (solo) misure di sicurezza verso i suoi effetti.
Occorre agire nei Paesi di provenienza, promuovendo tutte le attività che consentono di superare quel gap nel campo sociale, economico, culturale, giuridico che spinge gli individui a cercare altrove il proprio benessere.
La Direzione nazionale antimafia – alla quale sono attribuibili anche le riflessioni riportate sopra – si è interessata al doppio fenomeno del traffico dei clandestini e della tratta di persone subito dopo la firma della Convenzione Onu di Palermo 2000 e dei Protocolli ad essa annessi.
La Convenzione e i protocolli, infatti, hanno elaborato anzitutto il concetto del gruppo criminale transnazionale (costituito da persone di nazioni diverse che operano contemporaneamente in più paesi) e hanno posto all’attenzione della collettività internazionale i due fenomeni, che si sono progressivamente ampliati sfruttando problematiche sociali, economiche, condizioni di soggetti deboli in vari Paesi ancora in via di sviluppo.
Dopo oltre un decennio dalla Convenzione di Palermo, la tratta è ancora un fenomeno che risente di molte carenze in ambito nazionale e internazionale.
Ecco quanto si legge nel capitolo “Tratta di persone” da pagina 357 del Rapporto 2012 della Dna, scritto dal sostituto procuratore Giusto Sciacchitano
1) Nella dimensione nazionale va rilevato che la legislazione italiana è abbastanza adeguata a reprimere questo traffico perché estende ad esso tutta la normativa antimafia.
Tuttavia non vi è ancora, in tutti gli operatori che si occupano di questa materia dal lato repressivo a) una vera e approfondita consapevolezza della gravità e entità del fenomeno; b) non c’è una preparazione professionale adeguata a cogliere quelli che si chiamano gli “indicatori di tratta”, quegli elementi di fatto cioè da cui potersi presumere che dietro reati meno gravi (sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento della clandestinità) si celi in realtà il più grave delitto della tratta di esseri umani; c) non si è ancora formata una giurisprudenza soprattutto di merito, ma anche di legittimità, sufficientemente precisa in relazione agli articoli 600 e 601 c.p. .
2) Nella dimensione internazionale va rilevata una discrasia tra i contenuti degli atti degli organismi internazionali (convenzioni, risoluzioni, direttive dell’Unione europea) e la concreta attuazione di essi da parte dei Paesi membri.
Gli atti internazionali sono numerosi e sempre più specifici nell’indicare le norme che gli Stati debbono introdurre nella loro legislazione per efficacemente contrastare il fenomeno.
A fronte di questa legislazione internazionale, è ancora carente l’implementazione delle legislazioni nazionali. Molti Paesi (specialmente quelli di provenienza e di transito, quindi i più interessati al fenomeno) non hanno ancora norme adeguate o comunque strutture idonee a contrastare i trafficanti e a dar seguito alla collaborazione giudiziaria internazionale.
Le discussioni in ambito Nazioni unite e Ocse rimangono quindi sterili, in presenza di una volontà politica di molti Paesi che evidentemente persegue altri interessi.
La tratta è un fenomeno mutevole.
1) È mutevole nelle rotte e nel rapporto trafficante – vittima.
La diversificazione delle rotte è sotto gli occhi di tutti, e spesso è in relazione con la maggiore o minore attività di contrasto.
Basti pensare che è ormai chiusa la rotta che dall’Albania, attraverso il canale di Otranto, faceva giungere i clandestini in Puglia, mentre si è intensificata quella più a Nord, attraverso altri Paesi balcanici dai quali i clandestini entrano in Italia attraverso i valichi del Nord-est.
Le rotte oggi maggiormente attive nei fenomeni di traffiking e smuggling sono quelle che prevedono il passaggio dal Medio oriente (Libano-Turchia) verso la Grecia e da qui verso l’Italia e altri Paesi Europei, e l’altra che, partendo dai Paesi subsahariani e particolarmente dalla Nigeria, porta le vittime in Europa e in Italia, sia passando per il deserto del Niger e la Libia, sia per via aerea direttamente nei Paesi di destinazione.
2) La tratta è infine mutevole nel rapporto trafficante – vittima.
Nella prima applicazione delle norme sulla cosiddetta “nuova schiavitù” le indagini hanno evidenziato un controllo totale e assoluto del trafficante sulla vittima, con l’assorbimento assoluto di ogni forma di volontà e autonomia di quest’ultima con la perpetrazione sulla vittima di violenze fisiche e morali ormai quasi dimenticate in Paesi civili.
Ma proprio questi atteggiamenti così violenti potevano facilmente dimostrare la responsabilità degli imputati ai quali quei reati venivano contestati; negli anni le violenze così palesi sono diminuite e il controllo della vittima è più flessibile anche se non meno effettivo, si è lasciata ad essa una certa libertà di movimento, si è tenuto cioè un comportamento che rendesse difficile dimostrare l’elemento oggettivo dei reati di cui agli articoli 600 e 601 del codice penale.
In alcuni casi, addirittura, la vittima giunge ad affermare che, seppure si è trovata nella situazione prevista da quelle norme, tuttavia essa ha ricevuto comunque un beneficio economico per sé o la sua famiglia.
È evidente come siffatti atteggiamenti finiscono per essere di sostanziale aiuto ai trafficanti e spesso sono alla base di ingiustificate assoluzioni da parte di tribunali, nonostante sia la legislazione nazionale che quella internazionale ribadiscano che non è discriminante il consenso della vittima (si veda anche l’articolo 2 delle Direttiva 2011 della Ue).
E’ ormai un rischio per la sicurezza nazionale e internazionale, poiché costituisce una delle fonti di reddito più interessanti per il crimine organizzato transnazionale; secondo le più recenti stime formulate dall’Onu (http://www.unodc.org/documents/data-and-analysis/glotip/Trafficking_in_Persons_2012_web.pdf ) pur nella palese difficoltà di quantificarne i flussi finanziari, sarebbe diventata il secondo business dopo il narcotraffico.
La questione della migrazione non è però un problema sussidiario legato solo alla sicurezza o all’emergenza umanitaria (esempio: gli sbarchi a Lampedusa). L’immigrazione e l’integrazione ad essa correlata sono diventati i temi di attualità centrale che influenzano in maniera significativa le scelte politiche dell’occidente e dell’Europa in particolare.
Dare risposte ai problemi reali che la migrazione pone, significa partire dal principio generale di agire a monte delle cause della migrazione, piuttosto che contrastarlo a valle mettendo in atto (solo) misure di sicurezza verso i suoi effetti.
Occorre agire nei Paesi di provenienza, promuovendo tutte le attività che consentono di superare quel gap nel campo sociale, economico, culturale, giuridico che spinge gli individui a cercare altrove il proprio benessere.
La Direzione nazionale antimafia – alla quale sono attribuibili anche le riflessioni riportate sopra – si è interessata al doppio fenomeno del traffico dei clandestini e della tratta di persone subito dopo la firma della Convenzione Onu di Palermo 2000 e dei Protocolli ad essa annessi.
La Convenzione e i protocolli, infatti, hanno elaborato anzitutto il concetto del gruppo criminale transnazionale (costituito da persone di nazioni diverse che operano contemporaneamente in più paesi) e hanno posto all’attenzione della collettività internazionale i due fenomeni, che si sono progressivamente ampliati sfruttando problematiche sociali, economiche, condizioni di soggetti deboli in vari Paesi ancora in via di sviluppo.
Dopo oltre un decennio dalla Convenzione di Palermo, la tratta è ancora un fenomeno che risente di molte carenze in ambito nazionale e internazionale.
Ecco quanto si legge nel capitolo “Tratta di persone” da pagina 357 del Rapporto 2012 della Dna, scritto dal sostituto procuratore Giusto Sciacchitano
1) Nella dimensione nazionale va rilevato che la legislazione italiana è abbastanza adeguata a reprimere questo traffico perché estende ad esso tutta la normativa antimafia.
Tuttavia non vi è ancora, in tutti gli operatori che si occupano di questa materia dal lato repressivo a) una vera e approfondita consapevolezza della gravità e entità del fenomeno; b) non c’è una preparazione professionale adeguata a cogliere quelli che si chiamano gli “indicatori di tratta”, quegli elementi di fatto cioè da cui potersi presumere che dietro reati meno gravi (sfruttamento della prostituzione, favoreggiamento della clandestinità) si celi in realtà il più grave delitto della tratta di esseri umani; c) non si è ancora formata una giurisprudenza soprattutto di merito, ma anche di legittimità, sufficientemente precisa in relazione agli articoli 600 e 601 c.p. .
2) Nella dimensione internazionale va rilevata una discrasia tra i contenuti degli atti degli organismi internazionali (convenzioni, risoluzioni, direttive dell’Unione europea) e la concreta attuazione di essi da parte dei Paesi membri.
Gli atti internazionali sono numerosi e sempre più specifici nell’indicare le norme che gli Stati debbono introdurre nella loro legislazione per efficacemente contrastare il fenomeno.
A fronte di questa legislazione internazionale, è ancora carente l’implementazione delle legislazioni nazionali. Molti Paesi (specialmente quelli di provenienza e di transito, quindi i più interessati al fenomeno) non hanno ancora norme adeguate o comunque strutture idonee a contrastare i trafficanti e a dar seguito alla collaborazione giudiziaria internazionale.
Le discussioni in ambito Nazioni unite e Ocse rimangono quindi sterili, in presenza di una volontà politica di molti Paesi che evidentemente persegue altri interessi.
La tratta è un fenomeno mutevole.
1) È mutevole nelle rotte e nel rapporto trafficante – vittima.
La diversificazione delle rotte è sotto gli occhi di tutti, e spesso è in relazione con la maggiore o minore attività di contrasto.
Basti pensare che è ormai chiusa la rotta che dall’Albania, attraverso il canale di Otranto, faceva giungere i clandestini in Puglia, mentre si è intensificata quella più a Nord, attraverso altri Paesi balcanici dai quali i clandestini entrano in Italia attraverso i valichi del Nord-est.
Le rotte oggi maggiormente attive nei fenomeni di traffiking e smuggling sono quelle che prevedono il passaggio dal Medio oriente (Libano-Turchia) verso la Grecia e da qui verso l’Italia e altri Paesi Europei, e l’altra che, partendo dai Paesi subsahariani e particolarmente dalla Nigeria, porta le vittime in Europa e in Italia, sia passando per il deserto del Niger e la Libia, sia per via aerea direttamente nei Paesi di destinazione.
2) La tratta è infine mutevole nel rapporto trafficante – vittima.
Nella prima applicazione delle norme sulla cosiddetta “nuova schiavitù” le indagini hanno evidenziato un controllo totale e assoluto del trafficante sulla vittima, con l’assorbimento assoluto di ogni forma di volontà e autonomia di quest’ultima con la perpetrazione sulla vittima di violenze fisiche e morali ormai quasi dimenticate in Paesi civili.
Ma proprio questi atteggiamenti così violenti potevano facilmente dimostrare la responsabilità degli imputati ai quali quei reati venivano contestati; negli anni le violenze così palesi sono diminuite e il controllo della vittima è più flessibile anche se non meno effettivo, si è lasciata ad essa una certa libertà di movimento, si è tenuto cioè un comportamento che rendesse difficile dimostrare l’elemento oggettivo dei reati di cui agli articoli 600 e 601 del codice penale.
In alcuni casi, addirittura, la vittima giunge ad affermare che, seppure si è trovata nella situazione prevista da quelle norme, tuttavia essa ha ricevuto comunque un beneficio economico per sé o la sua famiglia.
È evidente come siffatti atteggiamenti finiscono per essere di sostanziale aiuto ai trafficanti e spesso sono alla base di ingiustificate assoluzioni da parte di tribunali, nonostante sia la legislazione nazionale che quella internazionale ribadiscano che non è discriminante il consenso della vittima (si veda anche l’articolo 2 delle Direttiva 2011 della Ue).
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