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Nelle prime ore del 4 Giugno 1944, dopo mesi di cruente battaglie sulla linea di Cassino, dopo i rovesci sul fronte di Nettunia, le avanguardie della possente Armada statunitense – dopo aver dirottato altrove gli scomodi compagni di viaggio britannici – si apprestavano ad entrare nella Capitale. A scuola (i Professori prezzolati) e in televisione (i giornalisti americanizzati) ci hanno poi educato al culto della “liberazione”, mostrandoci le immagini del popolo romano che festoso – con tanto di scuscià e segnorine, vero vanto nazionale – accoglieva i nuovi padroni. E così siamo venuti su, con il passare degli anni, educati ad amare la “libertà”, quella che gli stranieri avevano donato – sacrificando i loro figli migliori – a quei poveri pezzenti di Italiani settanta anni fa. Eppure, qualcosa in questa fiaba non quadrava. Ma nessuno era intenzionato a porsi domande. Specie se il padrone vittorioso era così generoso… in Dollari. Prima di tutto, non ci aveva mai convinto la storiella che, prima della venuta dei “liberatori”, gli Italiani erano degli schiavi? Di chi? Di se stessi, forse? Poi, come mai, tra quel tripudio festoso del 4 Giugno, non si erano visti i famosi e gallonati Generali statunitensi, quelli che erano riusciti a perdere tutte le battaglie e, nonostante tutto, vincere la guerra. Come mai, il Gen. Clark entrò in Roma solo il giorno successivo?
Se nessuno ha mai posto questa domanda, impegnato più a chinare il capo e ossequiare il vincitore di turno, ovviamente ben pochi hanno cercato una risposta. Ebbene, i Generali statunitensi entrarono a Roma solo il 5 Giugno, in quanto solo alla mezzanotte della sera prima, i soldati americani erano riusciti a raggiungere tutti gli obiettivi fissati. Come mai quasi 24 ore per compiere quella che, in fin dei conti, è presentata come una passeggiata tra i fiori e le prostitute italiane?
Ebbene, quel 4 Giugno i “liberatori” non trovarono ad accoglierli solo i “morti di fame”, ma anche i fascisti, i franchi tiratori fascisti, che per tre giorni ingaggiarono una battaglia nella Capitale “liberata” ben presto dimenticata. Le camicie nere – tra cui numerosi ragazzi e ragazze – spararono a più riprese contro le unità americane che si apprestavano ad occupare la Città Eterna, causando pesanti perdite al nemico della Patria italiana e tenendo ben lontano i Generali gallonati dalla parata trionfale che – con smacco – dovette essere rimandata di un giorno.
I franchi tiratori che furono catturati vennero passati per le armi e per loro si aprì l’oblio della memoria. La loro storia è tornata alla ribalta delle cronache con lo studio del 2010 del ricercatore nettunese Pietro Cappellari. Nel suoLo sbarco di Nettunia e la battaglia per Roma (Herald Editore), dopo tanti decenni di silenzio, i franchi tiratori fascisti della Capitale hanno riavuto la loro voce, soffocata dalle grida della canea che, in quegli stessi giorni, al seguito degli occupanti, scendeva in piazza in cerca di prede indifese. I soldati statunitensi e gli antifascisti dell’ultima ora, però, trovarono decine di ragazzi e ragazze in camicia nera che, con quegli ultimi colpi di fucile, ricordarono al mondo che vi erano degli Italiani che avevano deciso di non arrendersi. Per l’onore e la libertà dell’Italia.
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