Si alza uno striscione a Pola: "Giustizia per gli infoibati"
Piccolo caso diplomatico in Croazia durante la commemorazione dell'eccidio di Vergarolla
L'immediata provocazione di un comunista locale cade nel vuoto. Poi arriva la polizia in borghese e sequestra il drappo
Un piccolo ma significativo incidente diplomatico è avvenuto qualche giorno fa a Pola. Significativo soprattutto perché caratterizzato dal solito atteggiamento dimesso delle autorità italiane, completamente incapaci di far rispettare le regole di un civile rapporto di buon vicinato, evidentemente per paura di ritrovarsi addosso un’etichetta.
Nella città dell’Arena, capoluogo dell’Istria, si commemorava l’eccidio di Vergarolla, uno dei tanti atti infami che vide vittimala popolazione italiana d’Oltre Adriatico tra il 1943 e il 1946. Proprio il 18 agosto del 1946, e quindi a guerra abbondantemente finita, alcune mine marine in disuso saltarono in aria sulla spiaggia istriana di Vergarolla, gremita da famiglie di italiani. Fra 80 e 100 le vittime, ma solo 64 vennero identificate.
Inutile dire che non si trattò di un incidente, ma soltanto di un altro vergognoso capitolo della pulizia etnica perpetrata dalla polizia segreta di Tito, che sostituì volentieri nel ruolo di aguzzini dell’italianità di quelle terre i partigiani comunisti (di etnia italiana o slava che fossero), non appena il conflitto bellico cessò. Il tutto senza che gli inglesi, che in quel periodo ancora controllavano la zona B, avessero posto un freno a violenze e massacri indiscriminati.
Ebbene da qualche anno l’eccidio viene ricordato dagli italiani rimasti a Pola e dall’associazione Libero Comune di Pola. Terminata la deposizione dei fiori sulla lapide, da un gruppo di sette persone viene srotolato lo striscione “Giustizia per i ventimila italiani infoibati ed uccisi in Istria, Fiume e Dalmazia”, con due bandiere italiane. Due organizzatori della commemorazione si avvicinano e chiedono di riarrotolarlo, ricevendo un garbato ma fermo diniego.
Un passante, evidentemente di nazionalità croata, grida “Viva comunisti”: la prima provocazione cade sostanzialmente nel vuoto. Poi insiste, grida “Forti i fascisti?”, sciorinando quindi comunque un italiano ben parlato. La risposta dei manifestanti, che nel frattempo sono “marcati” stretti da due vigilantes, è “siamo italiani, esuli. Siamo europei”. Un fresco status di cui la Croazia non manca di fregiarsi, salvo fare orecchie da mercante ogni qualvolta da Pola, da Zara, dal Quarnaro o da Ragusa Vecchia si leva una voce nel nostro idioma, a chiedere giustizia e pari diritti civili e culturali.
Durante il silenzio, però, ad avvicinarsi è stavolta un poliziotto in borghese che, accompagnato dalle due guardie giurate di prima, sequestra lo striscione. Addirittura una guardia giurata, con modi comunque gentili, vorrebbe far ripiegare una bandiera italiana ad un anziano attivista: più che ovvio il diniego, la bandiera resta esposta.
Chi invece non si è minimamente esposto è l’incaricato d’affari dell’ambasciata italiana a Zagabria, Marco Salaris. Come se fare gli interessi nazionali, o quanto meno dei suoi connazionali, non fosse in quel caso un suo problema.
Della vicenda si è occupato Fausto Biloslavo sul sito web de Il Giornale, dove compare anche un resoconto video di quanto avvenuto, inviatogli dagli “esuli ribelli” che hanno esposto lo striscione.
Piccolo caso diplomatico in Croazia durante la commemorazione dell'eccidio di Vergarolla
L'immediata provocazione di un comunista locale cade nel vuoto. Poi arriva la polizia in borghese e sequestra il drappo
Un piccolo ma significativo incidente diplomatico è avvenuto qualche giorno fa a Pola. Significativo soprattutto perché caratterizzato dal solito atteggiamento dimesso delle autorità italiane, completamente incapaci di far rispettare le regole di un civile rapporto di buon vicinato, evidentemente per paura di ritrovarsi addosso un’etichetta.
Nella città dell’Arena, capoluogo dell’Istria, si commemorava l’eccidio di Vergarolla, uno dei tanti atti infami che vide vittimala popolazione italiana d’Oltre Adriatico tra il 1943 e il 1946. Proprio il 18 agosto del 1946, e quindi a guerra abbondantemente finita, alcune mine marine in disuso saltarono in aria sulla spiaggia istriana di Vergarolla, gremita da famiglie di italiani. Fra 80 e 100 le vittime, ma solo 64 vennero identificate.
Inutile dire che non si trattò di un incidente, ma soltanto di un altro vergognoso capitolo della pulizia etnica perpetrata dalla polizia segreta di Tito, che sostituì volentieri nel ruolo di aguzzini dell’italianità di quelle terre i partigiani comunisti (di etnia italiana o slava che fossero), non appena il conflitto bellico cessò. Il tutto senza che gli inglesi, che in quel periodo ancora controllavano la zona B, avessero posto un freno a violenze e massacri indiscriminati.
Ebbene da qualche anno l’eccidio viene ricordato dagli italiani rimasti a Pola e dall’associazione Libero Comune di Pola. Terminata la deposizione dei fiori sulla lapide, da un gruppo di sette persone viene srotolato lo striscione “Giustizia per i ventimila italiani infoibati ed uccisi in Istria, Fiume e Dalmazia”, con due bandiere italiane. Due organizzatori della commemorazione si avvicinano e chiedono di riarrotolarlo, ricevendo un garbato ma fermo diniego.
Un passante, evidentemente di nazionalità croata, grida “Viva comunisti”: la prima provocazione cade sostanzialmente nel vuoto. Poi insiste, grida “Forti i fascisti?”, sciorinando quindi comunque un italiano ben parlato. La risposta dei manifestanti, che nel frattempo sono “marcati” stretti da due vigilantes, è “siamo italiani, esuli. Siamo europei”. Un fresco status di cui la Croazia non manca di fregiarsi, salvo fare orecchie da mercante ogni qualvolta da Pola, da Zara, dal Quarnaro o da Ragusa Vecchia si leva una voce nel nostro idioma, a chiedere giustizia e pari diritti civili e culturali.
Durante il silenzio, però, ad avvicinarsi è stavolta un poliziotto in borghese che, accompagnato dalle due guardie giurate di prima, sequestra lo striscione. Addirittura una guardia giurata, con modi comunque gentili, vorrebbe far ripiegare una bandiera italiana ad un anziano attivista: più che ovvio il diniego, la bandiera resta esposta.
Chi invece non si è minimamente esposto è l’incaricato d’affari dell’ambasciata italiana a Zagabria, Marco Salaris. Come se fare gli interessi nazionali, o quanto meno dei suoi connazionali, non fosse in quel caso un suo problema.
Della vicenda si è occupato Fausto Biloslavo sul sito web de Il Giornale, dove compare anche un resoconto video di quanto avvenuto, inviatogli dagli “esuli ribelli” che hanno esposto lo striscione.
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