lunedì 8 aprile 2013

2 maggio 1944: un atroce eccidio operato dai partigiani, di cui nessuno parla

Stilare un elenco dei crimini e degli eccidi commessi dai partigiani durante la Resistenza risulta impresa ai limiti dell’impossibile, soprattutto con il passare del tempo. Alcune nefandezze sono state insabbiate, altre dimenticate, altre ancora smentite. E sono talmente tante, solo quelle riconosciute e accertate, che persino elencarle diventa arduo. Ci ha provato Gianpaolo Pansa nel suo libro “Il sangue dei vinti”. Lui, che da uomo di sinistra si è sentito dare del “fascista” per aver osato denunciare i crimini dei partigiani.
Per questo motivo, raccontare l’uccisione di tre servitori dello Stato, in un paesino di provincia, da parte di partigiani in piena guerra civile potrebbe sembrare quasi inutile. Eppure, il barbaro massacro costato la vita al carabiniere Florindo Di Mattia e ai due vigili urbani Emidio Creati e Florangelo Di Stefano il 2 maggio del 1944  può diventare un simbolo di quella che è stata la Resistenza.
Per diversi motivi: i tre erano uomini in divisa “colpevoli” di fare soltanto il loro dovere; nessuno dei tre era riconducibile direttamente al regime fascista, né partecipava attivamente alla vita politica né era schierato apertamente con il Partito Fascista; l’orrendo massacro non solo è stato insabbiato e taciuto, ma ancora oggi nessuno lo vuole ricordare neppure nel paese in cui è avvenuto.
Non ci sono lapidi commemorative, come nel caso dei “martiri partigiani della Resistenza”. Non esistono riferimenti in cronache passate né recenti, tanto che neppure il pur bravo Gianpaolo Pansa è venuto a conoscenza del fatto: sul suo libro non v’è traccia.
Eppure questo “martirio dimenticato” rappresenta uno degli episodi più atroci della Resistenza, commesso dalla fazione “rossa” dei partigiani, meglio conosciuta come quella dei “partigiani garibaldini”.
Ricorre oggi l’anniversario: il fattaccio è infatti avvenuto il 2 maggio 1944, nel paesino di Arsita, località del centro Italia in provincia di Teramo.
Alle ore 17, i tre tutori dell’ordine, in divisa, vengono attirati davanti ad una casa di contadini. E’ stato denunciato un furto di legname, ma in realtà è una trappola. In quella casa non c’è stato alcun furto.
I due vigili urbani e il carabiniere si recano sul posto per raccogliere le testimonianze, scortati da un drappello di soldati tedeschi. Finché la “scorta” rimane in loco, non accade nulla, ma appena  i tedeschi si allontanano scatta il massacro. I tre malcapitati, la cui unica colpa era quella di far rispettare l’ordine e la disciplina, vengono attirati in un boschetto nelle vicinanze: ad aspettarli c’è un gruppetto di partigiani nascosti.
Il più fortunato dei tre è Emidio Creati, 56 anni, che muore d’infarto vedendo le sevizie e le torture che i “patrioti” stanno riservando ai molto più giovani compagni di sventura. Gli altri due, invece, patiscono atroci sofferenze prima di spirare: torturati, evirati, massacrati, orrendamente mutilati prima e dopo essere stati giustiziati con una pallottola in testa.
Un eccidio inspiegabile, se non con il fatto che in quel momento i tre, in quanto uomini in divisa, potevano rappresentare in qualche modo il “regime”.
Emidio Creati, padre di famiglia, lascia sei figli, di cui uno portatore di handicap e bisognoso di assistenza.
Quello che stupisce ancora di più è il silenzio che si è creato intorno all’evento: omertà assoluta, in paese, nei giorni e negli anni a seguire. La sensazione è che ancora oggi qualcuno sappia, quel giorno abbia visto qualcosa o addirittura partecipato al massacro, ma non voglia parlare. Pochi sono ancora in vita, e forse il “segreto” smetterà di essere tale quando tutti i colpevoli saranno nella tomba.
E forse, prima o poi, si deciderà di porre fine al silenzio omertoso e apporre una lapide commemorativa.
Per ora, l’unica testimonianza documentata è rappresentata da un articolo di giornale, che riporta la data del giorno seguente, dal titolo “Cannibali”.

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