sabato 13 aprile 2013

Le "Leggi Fascistissime"

Dopo il colloquio decisivo avuto con Vittorio Emanuele III il 6 settembre 1924, Mussolini iniziò una resistenza passiva nei confronti dell’opposizione, che la Corona contribuiva a rendere inoperante, sperando che l’iniziativa promessa venisse dal Quirinale. Dopo numerose dichiarazioni di sprezzo per la libertà e per l’opposizione, dopo che Mussolini ebbe compiuto tra ottobre e novembre un giro propagandistico, con numerosi discorsi, nell’Italia settentrionale, dopo che il voto del 5 dicembre al Senato ebbe dato un risultato per lui positivo, anche se non così favorevole come in precedenza (vi furono 54 voti contrari e 35 astenuti), e dopo che il 31 dicembre un gruppo di consoli della Milizia, in un drammatico colloquio, posero a Mussolini l’aut-aut, o egli abbandonava la politica incerta e possibilista o lo avrebbero sconfessato, il segno che la tempesta era ormai superata Mussolini lo diede col discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera, al quale egli fu spinto anche dalla diffusione del memoriale con cui Cesare Rossi, uno dei suoi più intimi collaboratori, lo accusava di essere il responsabile dei peggiori crimini del fascismo. Con quel discorso, giustamente considerato come tale da segnare una svolta saliente nella storia del fascismo e dell’Italia, Mussolini annunciò le misure restrittive che infatti il governo si accinse subito a prendere e che, susseguitesi nel corso del 1925 e del 1926, e chiamate "leggi fascistissime", mutarono definitivamente la struttura costituzionale e parlamentare dello Stato italiàno e attuarono in pieno la dittatura del fascismo e sempre di più entro di essa venne realizzandosi la dittatura personale di Mussolini.
Nel gennaio 1925 fu approvata alla Camera e al Senato la nuova legge elettorale basata sul ritorno al sistema uninominale. Nel febbraio Mussolini fù costretto dagli estremisti a nominare segretario del partito fascista Roberto Farinacci, che ne era il capo (rimase poi in carica fino al 30 marzo 1926). Fù completamente soffocata la libertà di stampa, dapprima con i sequestri, poi, come diremo, con misure più radicali. Intanto la violenza contro gli oppositori si scatenava ancora una volta in modo selvaggio: Amendola, principale capo dell’opposizione dopo la morte di Matteotti, fù nuovamente aggredito, il 20 luglio 1925, da una squadra guidata da Carlo Scorza, futuro segretario del partito, e morì nell’aprile successivo in Francia; la famiglia Rosselli subì tre "azioni punitive"; Filippo Turati e Gaetano Salvemini furono forzati a seguire in esilio Sturzo e Nitti.
Dell’aggressione a Piero Gobetti si è già detto. Il 4 ottobre 1925 si ripeté a Firenze una strage di antifascisti come quella del 18 dicembre 1922 a Torino (la "notte di San Bartolomeo"). Anche alla Camera dei deputati, del resto chiusa per lunghi periodi agli oppositori i fascisti, non permettevano praticamente più di prendere la parola. Mussolini si esprimeva contro "il parlamentarismo parolaio", che, diceva, gli faceva solo perdere tempo.
Approfittando dell’attentato progettato dal deputato Tito Zaniboni, denunciato in anticipo da una spia (4 novembre 1925), Mussolini fece occupare le logge massoniche, sciolse il Partito Socialista Unitario e ne soppresse l’organo La Giustizia, s’impadronì del Corriere della Sera e della Stampa, sciolse centinaia di associazioni, decretò il licenziamento di migliaia di impiegati statali, tolse la cittadinanza agli esuli politici, varò la legge sulle attribuzioni del primo ministro e capo del Governo (non più presidente del Consiglio), potenziò la figura del prefetto e abolì l’elettività dei sindaci.
Un altro attentato Mussolini subì il 7 aprile 1926 a opera di una squilibrata zitella inglese, Violet Gibson; e il giorno dopo partì, come precedentemente stabilito, per la Tripolitania, per affermare il programma coloniale del fascismo. Altro attentato il settembre 1926, quando contro la sua automobile l’anarchico Gino Lucetti lanciò, nel piazzale di Porta Pia a Roma, una bomba a mano. Lucetti sarà poi condannato a trent’anni di reclusione. Ricordiamo ancora, sia pure con un salto di parecchi anni, i due episodi legati ai nomi di Michele Schirru e di Angelo Sbardellotto. Il primo, un anarchico sardo rientrato in Italia da New York, nel 1931 fu arrestato e dichiarò che aveva avuto l’intenzione di attentare alla vita del Duce: fu condannato a morte e fucilato. Il secondo, arrestato l’anno dopo mentre si aggirava in piazza Venezia, fece la stessa ammissione, e fu anch’egli fucilato.
In seguito all’attentato assai misterioso che venne attribuito al giovinetto Anteo Zamboni, linciato sul posto a Bologna il 31 ottobre 1926, Mussolini sciolse tutti i partiti — a eccezione, naturalmente, di quello fascista —, soppresse i giornali antifascisti, istituì la pena del confino, introdusse la pena di morte, creò il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato e la polizia segreta (OVRA), proclamò la decadenza di 120 deputati d’opposizione accusati di aver disertato i lavori parlamentari (come se si trattasse di reato punibile!), compresi però i comunisti che a Montecitorio erano rientrati tentando di far sentire la loro voce di opposizione. Tutti questi provvedimenti, che tra l’altro aumentavano i poteri dell’esecutivo sul legislativo, passarono in novembre alla Camera e al Senato senza che fosse consentita la minima discussione. Durissime condanne furono comminate agli oppositori (da 20 a 23 anni di carcere a Gramsci, Terracini, Scoccimarro, ma furono centinaia gli antifascisti che riempirono le carceri). Al processo, poi, Zaniboni e il generale Capello furono condannati a 30 anni di carcere. In compenso Mussolini amava far mostra di umanità intervenendo talvolta col graziare oppositori condannati: manifestazioni anche queste di una concezione che faceva coincidere lo Stato con la sua persona. Le investigazioni e la repressione furono attuate soprattutto dagli uffici speciali di polizia che costituirono l’OVRA, la cui sigla, sempre rimasta misteriosa, fu inventata personalmente da Mussolini.
Col novembre 1926 si può dire che si abbia in Italia la fine di ogni vita politica e l’inizio del "regime". Comincia la "fascistizzazione" di tutte le istituzioni e di tutti i settori dell’attività nazionale: stampa, scuola, magistratura, diplomazia, esercito, organizzazioni giovanili e professionali. La soppressione di libere elezioni completa l’opera.
Come uomo di governo, Mussolini si rivelò fin dall’inizio un grande propagandista, grazie alla sua indubbia capacità giornalistica, ma anche un grande mistificatore, generoso di promesse mirabolanti, come quando annunciò che la questione meridionale sarebbe stata risolta, e in Sicilia, dove arrivò a bordo di una corazzata, dichiarò che, perfettamente informato di tutti i problemi dell’isola, avrebbe mutato la sua povertà in ricchezza. Nessuno di questi e altri consimili impegni fu mantenuto, anche se in Sicilia la mafia fu affrontata con nuovo vigore dal prefetto Mori, che però venne rimosso dall’incarico e trasferito quando stava per giungere ai vertici dell'organizzazione mafiosa.

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