FASCISMO E COMUNISMO
Fino all'arrivo della Seconda guerra mondiale, sia il Fascismo di Mussolini che il generico Fascismo erano materia di appassionati dibattiti. Vi erano discussioni perfettamente razionali ed oggettive riguardo i rispettivi meriti ed ammanchi. Il Fascismo di Mussolini ad esempio, si poteva dire che aveva una "filosofia completa" articolata da un numero di "giovani intellettuali" completamente in grado di difendere la propria posizione. Gli economisti, invece potevano parlare delle "perdite e degli utili" della politica economica Fascista, affermando che " il popolo italiano apprezzava il Fascismo, e nel complesso, approvava il Regime" (4). Dopo la guerra, invece niente di tutto questo fu piu' possibile. L'antifascismo assunse il valore della negazione, unificando il capitalista e democratico Occidente, con il socialista e antidemocratico Oriente. Il Fascismo fu bandito dall'umanita', diventando oggetto di generale riprovazione. L'essenza stessa considerata incivile ed arretrata, stimolato unicamente dalla violenza e dalla guerra. Al contrario, per anni dopo la Seconda guerra mondiale, l'Unione sovietica di Stalin, uscita trionfante dal conflitto, e presunta rappresentazione del Marxismo, divenne la speranza di una sorprendentemente grande minoranza di intellettuali Occidentali. Il Fascismo invece, ricordato come mero strumento usato da un moribondo capitalismo - che tentava di preservare il suo profitto anche a costo di guerre e pestilenze. Estremo nemico del Socialismo Sovietico. Tutte le semplificazioni sul concetto d'interpretazione Marxista del Fascismo negli anni intercorsi tra le due grandi guerre, furono per molti confermate proprio durante la guerra. Molti a sinistra, furono persuasi a credere che il capitalismo, ormai prossimo alla fine, aveva liberato il Fascismo sul mondo nell'ultimo disperato tentativo di fermare il corso della storia. La Seconda Guerra Mondiale fu' concepita come lotta tra imperialisti alla ricerca di vantaggi gli uni sugli altri. L'Unione Sovietica, unica innocente tra tutti, divenne la vittima del Nazionalsocialismo tedesco - riuscendo pero' eroicamente a non soccombere ed emergere vittoriosa. L'Armata Rossa venne raffigurata come un esercito di antifascisti sacrificati in difesa dell'umanita'. Da parte loro, le potenze occidentali, venivano viste come vili approfittatrici, che dalla sconfitta del Fascismo ricercavano soltanto profitto ed egemonia mondiale. Alcuni intellettuali in Europa e Nord America trovarono un tale resoconto convincente. Winston Churchill e Charles De Gaulle, i piu' coerenti antifascisti europei prima dell'inizio della guerra, vennero in qualche modo trasformati in "criptofascisti". Il discorso sulla "Cortina di Ferro" pronunciato da Churchill a Fulton dopo la guerra nel 1946, fu inteso come provocazione a sostegno degli sforzi degli "industriali", che speravano di usare la contesa con l'Unione Sovietica come pretesto per "contenere le proteste delle classi lavoratrici con l'aiuto delle autorita', e quindi completare il processo (del dopoguerra) di riorganizzare la produzione su linee di monopolio a spese della comunita'". Il generale De Gaulle a sua volta, conosciuto da sempre come anticomunista, poteva soltanto essere un nemico dei poveri e svantaggiati, e quindi ci si aspettava da lui soltanto aiuto e conforto ai fascisti e "reazionari" di ogni sorta.(5) Alcuni intellettuali europei ed americani erano cosÏ convinti che parlarono del Fascismo solo come strumento di ascesa del capitalismo. Alcuni europei ebbero solennemente a dire a " coloro i quali non avevano nulla da dire sul capitalismo, di rimanersene in silenzio anche sul Fascismo" (6) Come se tra i due vi fosse un'implicazione logica. I Marxisti per quasi un mezzo centinaio di anni, dichiararono che erano possibili solo "due strade...aperte innanzi alla societa' attuale...la strada del Fascismo, verso la quale la borghesia dei paesi piu' moderni.... guardava sempre piu' interessata... o la strada del comunismo" (7). I Marxisti ed i liberali di sinistra occidentali si convinsero durante la guerra sulla correttezza dei teorici sovietici. Il capitalismo era la base del Fascismo, e l'unica via di salvezza per l'umanita' era di sostenere, tutelare, proteggere ed intensificare il socialismo Sovietico e le sue varianti. Solo con le pubbliche denunce di Nikita Khrushchev dei crimini commessi da Stalin, fatte al ventesimo Congresso del Partito Comunista, il sostegno della sinistra occidentale all'Unione Sovietica, mostro' dei segni di cedimento. Subito dopo la morte di Stalin nel Marzo del 1953, critiche indirette verso il suo regime, da parte dei dirigenti del Partito comunista dell'Unione Sovietica, avevano preannunciato l'imminente denuncia - e nel Febbraio del 1956 khrushchev elenco' tutte le accuse rivolte al defunto leader in un "discorso segreto" avuto con la direzione del Partito. In quello stesso discorso la dittatura di Stalin venne definita tirannica, illegittima, omicida, avendo creato un sistema in cui molti, troppi innocenti persero la vita, e dove furono sprecate quantita' enormi di risorse nazionali. Inaspettata, sia all'interno che all'esterno dell'Unione Sovietica fu' la scoperta della tensione venutasi a creare a conclusione del Congresso, tra il Partito e i simpatizzanti sovietici in tutto l'Occidente. I successori di Stalin, erano gravati cosÏ dall' imprevista necessita' di rinunciare ai metodi tirannici legati al suo nome, pur cercando di mantenere intatto il regime da lui creato. Furono obbligati, data la loro importanza in seno al Partito, a continuare a parlare di un " Socialismo in un solo paese", e allo stesso tempo a denunciarne il fondatore. E proprio mentre abbandonavano le politiche piu' importanti di Lenin, parlarono di un "ritorno al Leninismo". Dichiararono l'impegno verso il Marxismo classico, mentre la creazione di uno "Stato socialista per tutto il popolo" iniziava a prendere forma - un completo insulto al Marxismo classico accentuato dall'insistente affermazione secondo cui anche il socialismo avrebbe visto l'inevitabile "dissolvimento dello Stato"(8). Nikita khrushchev divenne padrone di un sistema che si rivelo' essere di grande ispirazione nazionalistica, con una condotta militarista, intenti di industrializzazione e statalista per scelta. Un sistema che cercava di controllare tutti i fattori di produzione, arruolati al servizio di un piano economico atto a rendere la nazione una grande potenza internazionale, capace di riportare in patria le "terre perdute" e proteggere i confini da "imperialisti" esterni. Un sistema di Èlite, con esigue regole legittimate da una presunta conoscenza delle leggi atte a disciplinare l'evoluzione dialettica della societa' (9). Negli anni a seguire sempre piu' intellettuali sovietici, giudicarono sempre piu' criticamente la qualita' del loro sistema politico ed economico. Sembrarono riconoscere, almeno in parte, che la presunta saggezza e virtu' morali vantate dall'Èlite dirigente aveva provocato un "culto della personalita" di cui tutti avevano sofferto, attorno al loro capo Joseph Vissarionovich Stalin. Apprezzavano il fatto che Stalin avesse proceduto ad incrementare la visione che "in realta' non aveva niente in comune con il Marxismo e Leninismo" - anche se in realta' le invocava spesso per "tentare di legittimare almeno teoricamente, le prevaricazioni e le continue rappresaglie contro coloro che non si volevano adattare" (10). In possesso di un "potere illimitato" in un "sistema amministrativo" - caratterizzato da "un processo decisionale centralizzato, ed un puntuale, rigoroso svolgimento delle direttive provenienti dall'alto, soprattutto da Stalin"- lo Stalinismo, evolse in un sistema moralmente inadeguato, assoggettato al solo capriccio di un' uomo, il cui senso di onnipotenza ed infallibilita' lo avevano portato inesorabilmente verso la totale "irrazionalita" (11). Prima della fine del sistema, i teorici Sovietici, avevano iniziato a tracciare una conclusione sul ruolo avuto da Stalin nella storia rivoluzionaria della loro nazione. Insinuarono come "Stalin era avvezzo all'uso della violenza come elemento indispensabile per mantenere un potere illimitato" - fino a concepirla uno "strumento universale"- un concetto che apri' le porte ad "un tragico trionfo delle forze del male" (12). Gli analisti sovietici conclusero affermando che tutto cio', apparentemente, "era il prezzo da pagare per aver voluto instaurare il Socialismo in un paese arretrato - sospinti dal bisogno di costruire in poco tempo una forte industria (soprattutto nel reparto della difesa) e migliaia di imprese in quegli stessi settori" in un momento in cui la Patria era "circondata dai nemici "(13). Al momento del suo passaggio sotto la guida incerta di Mikhail Gorbachev, i difensori del sistema Sovietico, avevano preso misura del sistema da loro organizzato. Cercarono di abbandonare tutte le pretese ideologiche cosi' come le forme istituzionali, per sostituirle con i valori ed i modelli del Liberalismo cosi' duramente condannati dal Marxismo-Leninismo. Negli anni intercorsi tra la morte di Stalin e l'entrata in scena di Gorbachev, tutte le proprieta' collegate al Bolscevismo di Lenin ed al "Socialismo in un unico paese" di Stalin, furono sottoposte ad una feroce modifica da parte degli stessi Marxisti-Lenisti Sovietici. Le reazioni a tali modifiche riscontrate nelle accademie occidentali variarono da persona a persona (14). Alcuni videro nel proprio legame con l'Unione Sovietica, l'entusiasmo per un sogno irraggiungibile - abbandonando il Socialismo come unica alternativa al Fascismo. Altri invece videro negli eventi Sovietici, le inevitabili conseguenze della follia di un uomo. Altri ancora invece, spostarono semplicemente l'attenzione verso nuove forme di socialismo - In Cina, Cuba o Etiopia. La schematizzazione della storia, con il capitalismo speculatore da una parte e la liberazione socialista dall'altra, era semplicemente troppo allettante per poter essere ignorata. Sarebbe cambiato soltanto il paese Socialista verso cui obbedire. Il Socialismo Marxista da esempio di virtu', appare mutevole negli scritti odierni dei vari intellettuali (15). Che non furono mai sfiorati dal dubbio che il Socialismo da loro appoggiato, nella forma assunta nel XX secolo, poteva a stento rappresentarsi nel Marxismo da loro elogiato ed approvato.
COMUNISMO SOVIETICO, NAZIONALISMO E FASCISMO
Prima del "discorso segreto" di Khrushchev al ventesimo Congresso del Partito nel 1956 c'era stata ben poca tolleranza verso un qualsiasi tipo di resistenza al sistema politico imposto dai Sovietici all'Europa orientale, al termine della Seconda Guerra mondiale. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale molti intellettuali occidentali videro nell'ingresso dell'Armata Rossa nel cuore dell'Europa, l'arrivo di una schiera portatrice di moderazione e liberazione. Presto tuttavia l'insofferenza dei "liberati" e la conseguente pesante repressione, fece sorgere inquietudine tra gli intellettuali delle democrazie industriali. Il sistema imponeva ad esempio che la Germania, o quel che ne rimaneva, divenisse un territorio d'espiazione per le atrocita' commesse dal Nazionalsocialismo di Adolf Hitler. La Germania dell'est, sotto occupazione Sovietica e governata direttamente da Mosca, avrebbe dovuto provvedere a fornire enormi quantita' di beni industriali e risorse materiali all'Unione Sovietica, come compensazione per l'invasione Nazista in Patria, e la conseguente distruzione di beni e perdita di vite umane. Anche con l'uscita della Germania dell'est dalla desolazione della guerra, la "Repubblica democratica tedesca" messa in piedi dai Sovietici, si rivelo' presto essere un sistema di polizia inefficace, incompetente ed impopolare, giustificato solo per le sue credenziali "antifasciste" (16). Infatti, negli anni intercorsi tra la fine della Seconda Guerra mondiale ed il crollo dell'Unione Sovietica, Mosca uso' proprio queste sue credenziali antifasciste, per legittimare il suo ruolo in gran parte dell'Europa orientale. Nello stesso periodo, il comunismo internazionale, con Mosca al centro - avendo raggiunto l'apoteosi sconfiggendo il Fascismo durante la guerra mondiale- affronto' la sua prima sfida, con la rivolta di Tito in Yugoslavia, contro il proprio dominio. Fu' subito chiaro che la rivolta di Tito, con un'organizzazione fortemente centralizzata intorno al centro Sovietico, non era la semplice conseguenza di un disaccordo ideologico. Non vi erano infatti problemi di origine dottrinale tra Tito e Stalin. Nonostante la condivisione ideologica, Tito si rifiutava semplicemente di cedere il controllo della sovranita' nazionale a Mosca. La rivolta scoppiata in Yugoslavia "dall'Internazionalismo Proletario" porto' all'attenzione pubblica quello che da tempo preoccupava i pensatori Marxisti. il "Titoismo" era indicatore dei reali problemi che affliggevano il "Socialismo Internazionale". Sin dalla nascita, il Bolscevismo, aveva dovuto lottare non soltanto contro la "borghesia nazionalista", ma anche contro le fazioni "comuniste nazionali". Anche prima della rivoluzione bolscevica, Lenin era tormentato dal nazionalismo dei rivoluzionari polacchi, baltici e giudaici. Destituiti per apostasia, da Lenin ed i suoi seguaci dopo la rivoluzione di Ottobre, i dirigenti di queste fazioni, vennero incarcerati, esiliati o uccisi. Nei rapporti con Tito non poteva esserci niente di tutto questo. Tito era un dissidente di altro spessore. Era a capo di una Nazione indipendente, ed il suo comunismo nazionale aveva preannunciato un possibile aumento delle agitazioni. Mentre in passato, molti dissidenti marxisti avevano sostenuto la nascita di un proprio comunismo nazionale, solo Tito riusci' realmente a diffondere l'idea in uno stato gia' esistente. La "deviazione nazionalista" di Tito aveva compromesso il proletariato internazionale. La visione di una possibile rivoluzione del proletariato internazionale avente come fine il socialismo mondiale, perse ogni tipo di credibilita' di cui aveva fino ad allora goduto.
All'epoca, gli osservatori, non potevano sapere che con la risoluzione Cominform anti-Tito del Giugno 1948, stava per iniziare un nuovo capitolo nella storia del comunismo. Tito aveva dimostrato come possibile l'unione tra idea di nazione e rivoluzione. Nel dichiarare la sua indipendenza dallo Stalinismo istituzionale, Tito riuscÏ infatti a dimostrare come il sentimento patriottico poteva essere usato come incentivo per mobilitazioni rivoluzionarie - nonostante tutte le tesi Leniniste a sostegno del contrario. Il dissidente di Belgrado, aveva alzato questioni sul comunismo internazionale, che non potevano essere messe a tacere con repressione politica, esilio, incarcerazione o terrore. Il comunismo nazionale aveva dimostrato una risonanza inaspettata, fino ad allora. Dieci anni piu' tardi invece, la malevolenza di Mao Zedong, divenne di pubblico dominio - e confermato anche dai piu' scettici che videro il comunismo internazionale scivolare nella sua era piu' buia. Il comunismo nazionale si rivelo' essere una minaccia endemica per il marxismo rivoluzionario - con l'abbandono di Mao, ed a seguire con il Marxismo nazionale in Albania, Fidel Casto a Cuba ed il nazionalismo di Ho Chin Minh. Persino il Regime di Kim Il Sung prese una piega nazionalistica. Non era piu' possibile considerare il Titoismo come una insofferenza personale, stava diventando un incubo continuo per il Marxismo-Leninismo internazionale. Il comando dei Soviet da sempre orgoglioso di aver risolto il "problema della nazionalita'" entro i suoi confini, non poteva pero' controllare il nazionalismo politico nel resto del mondo. Sarebbe stata questa una preoccupazione ricorrente per gli ex dirigenti di quello che era stato un presunto proletariato internazionale. Tito, da ex militante Stalinista, era deciso ad opporsi a Stalin nella speranza di riuscire a mantenere un'autonomia politica da Mosca - un'autonomia che poteva favorire l'insorgere di sentimenti nazionalistici. Mentre Tito permetteva un'esplicita espressione di tali valori, un'opzione simile nelle altre nazioni del "blocco Sovietico "era invece fuori discussione. Anche se, si potrebbe controbattere, come dopo il 1948, furono proprio questi sentimenti a rendere il comunismo una via del tutto praticabile nelle nazioni Sovietiche satelliti. Quello che fu chiaro era che la maggior parte dei governi comunisti sostenuti da Mosca nell'Europa orientale, rimasero fedeli al comunismo proprio grazie al sostegno di quei sentimenti nazionalistici. I comunisti nazionali avevano saputo unire il nazionalismo con l'avversione tedesca post bellica, che come i Nazisti, nella loro conquista dell'Europa, avevano razziato e distrutto vasti territori. Queste circostanze fornirono a Mosca una valida ragione d'essere "antifascista". Il comportamento Sovietico, verso gli stati dell'Europa orientale, era infatti giustificato da una continua preoccupazione di una possibile rivalsa della Germania "neonazista", che avrebbe potuto minacciare in futuro la sicurezza regionale. Piu' che su un presunto merito del comunismo di essere riuscito a tenere uniti i suoi paesi satelliti, Mosca crollo' sulle sue credenziali antifasciste (17). A tenere legati i paesi dell'Europa dell'Est a Mosca, non era stato infatti il Marxismo-Leninismo, ma il suo essere "antifascista". Per questo, negli anni a seguire, i sentimenti nazionalistici, liberati dall'opprimente antifascismo comunista, avrebbero con successo animato la vita politica nazionale attraverso tutti i paesi satelliti dell'Europa orientale, dalla Polonia, all' Ungheria, alla Romania e Cecoslovacchia. Gradualmente il comunismo nazionale presente in queste nazioni trovo' espressione di sviluppo nel "Socialismo in un solo paese", ognuno con il proprio "dirigente carismatico" ed un proprio partito unitario - fino a quando l'indipendenza nazionale da Mosca divenne un imperativo dominante. La verita' e' che la questione relativa al legame tra nazionalismo e rivoluzione, non venne mai risolta dai Marxisti rivoluzionari nel XX secolo.
CONCETTO DI "FASCISMO" E "NEOFASCISMO"
Prima del collasso dell'intero sistema, "l'antifascismo" era servito come elemento risolutivo nelle politiche internazionali dell'Unione Sovietica. Per almeno due decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale, Mosca aveva ribadito la sua "interpretazione del Fascismo" gia' articolata a meta' del 1930, identificandolo come "strumento terroristico" del "capitalismo finanziario" (18). L'unica particolare differenza a dispetto della prima interpretazione, era che Mosca, dopo la Seconda Guerra Mondiale, aveva iniziato ad identificare non solo come "capitalista" ma anche come "neofascista" qualsiasi movimento politico, sistema politico o dirigente politico che tentava di opporsi al Marxismo-Leninismo Sovietico. Quindi, quasi immediatamente subito dopo la fine della guerra, personaggi come Winston Churchill, Harry Truman e Charles De Gaulle che avevano avvertito le democrazie industriali del pericolo Sovietico, erano diventati per Mosca "neo" o "protofascisti". Per rientrare nella categoria dei "neofascisti" secondo l'opinione di Mosca, bastava che una sola politica venisse concepita come "anticomunista" o "capitalista". Quindi in quest'ottica, " l'era di McCarthy" negli Stati Uniti con il suo "anticomunismo isterico" segnalava nell'emisfero occidentale una "rinascita del fascismo" . Alla fine del 1960 nonostante la reinterpretazione Sovietica della "versione primaria" del "Fascismo", Mosca continuo' ad usare il termine per identificare i suoi "nemici di classe". Il significato di "fascismo" venne cosÏ standardizzato e alienato dalla storia. Nelle migliore delle ipotesi, i portavoce Sovietici identificavano il Fascismo con una lunga scia di orrori. I conti da pagare per il "Fascismo" aumentavano sempre di piu' e la domanda di appello era terminata con una sentenza inconsistente. Secondo l'opinione prevalente di Mosca dal 1920 al 1930, la casta aristocratica tedesca, aveva invocato, mobilitato, organizzato, diretto e portato al potere Adolf Hitler ed i suoi scagnozzi.(19)Durante gli anni che precedettero la scomparsa dell'Unione Sovietica, Mosca era convinta che la stessa casta aristocratica negli Stati Uniti e nelle Potenze industrializzate occidentali, nella loro eterna ricerca di "profitto", stessero pianificando un ritorno degli stessi orrori. Allo stesso tempo, guidata dal modo astratto e confuso di interpretare la storia, Mosca penso' di aver scoperto un nuovo focolaio "Fascista" lungo il proprio confine orientale. Verso la meta' degli anni sessanta, i teorici Sovietici, indentificarono nel Maoismo un "nazionalismo medio borghese anti-Marxista".(20) Rientrando quindi nella categoria dei "Fascismi", la Repubblica Popolare Cinese, era diventata agli occhi di Mosca una potenza fascista intenzionata ad unirsi in un'unica causa comune con la finanza capitalista internazionale. La fine degli anni sessanta, vide le due potenze "socialiste" affrontarsi in un conflitto armato lungo il confine Sino-Sovietico. Nel corso del quale, Beijing fece le sue valutazioni in base a cio' che si era palesato in Unione Sovietica. I Maoisti indentificarono come "sostenitori dei capitalisti" alcuni dirigenti del regime post-stalinista a Mosca. Si parlava di un "ritorno del capitalismo" in Unione Sovietica.(21) E proprio a fronte di questo presunto ritorno, per Beijing, i Sovietici rapidamente passarono da "imperialismo sociale" a "fascismo sociale"(22). Sinceramente confusi dalla nascita del "Fascismo" in paesi "socialisti", gli opinionisti occidentali, rinunciarono ad esaminare un simile accostamento sotto un profilo pedagogico. Un simile concetto infatti portava solo confusione nel loro programma antifascista. Si limitarono quindi ad identificare un simile cambiamento come un abuso politico dovuto alle tensioni militari, politiche ed economiche tra i due "socialismi". I commentatori anglofoni estesero invece il merito al comunismo generico, attribuendogli il giusto rispetto dovuto agli ideali Marxisti, che si supponeva rappresentassero. Gli sembrava impossibile l'idea che l'Unione Sovietica, erede di Lenin, o la Cina, creata dalla "lunga marcia Marxista", potessero in qualche modo qualificarsi come "fascisti". Qualunque cosa fossero diventati, gli intellettuali occidentali avevano non poca difficolta' ad immaginare possibile un Fascismo tra gli eredi del Marxismo classico o del Marxismo-Leninismo. Il fatto che entrambi i sistemi socialisti rivoluzionari, usavano identificare il nemico come fascista, era da attribuirsi alle tensioni internazionali. In un simile scambio, il termine usato non poteva significare nulla. Da allora, la cultura occidentale ha cercato, in vano, una qualche definizione di "fascismo" in grado di soddisfare minimamente i requisiti di ricerca. Ad oggi ancora niente e' stato trovato - o almeno niente che abbia soddisfatto tutti i partecipanti alla ricerca del Fascismo e Neofascismo. (23) Nel frattempo, centinaia di libri e migliaia di articoli, sono stati scritti al riguardo, nessuno dei quali ha avuto un particolare successo. Con il termine "Fascismo" e "Neofascismo", veniva identificato, chi prima chi dopo, l'anticomunismo, la difesa del capitalismo, l'estrema destra, genocidi vari, razzismo di qualsiasi tipo, violenza di ogni specie, intolleranza, militarismo, governo militarizzato, autoritarismo, xenofobia, omofobia, proteste fiscali, terrore continuo, fondamentalismo religioso, irrazionalismo, sessismo, violenza negli stadi, bigottismo religioso, vandalismo cimiteriale, incitamento all'odio (24). L'unica cosa con cui non siano stati identificati e' il comunismo - nonostante la dittatura brutale ed omicida di alcuni Marxisti. (25) Una parte di responsabilita' di tutto questo, deriva direttamente dal fatto che durante la Seconda Guerra Mondiale, gli alleati, decisero di identificare il conflitto con l'Asse una guerra "contro il Fascismo" - con il Socialismo Nazionale di Hitler convogliato nel Fascismo di Mussolini, a diventare un generico "Fascismo", a volte allargandosi anche al "Fascista" Giappone. Con la fine della guerra, il "Fascismo" veniva identificato con ogni genere di brutalita', da attacchi non provocati, a stragi di innocenti, che potevano essere collegati al Socialismo Nazionale o al Giappone Imperiale. Le potenze alleate non comuniste, per svariate ragioni, furono pronte, proprio come Mosca, ad indentificare ogni nemico in guerra come "Fascista". Di conseguenza ogni atto compiuto dagli Alleati dell'Asse, in qualsiasi parte del mondo, nella Seconda Guerra Mondiale, era identificato in un generico atto "fascista". Ormai il termine aveva assunto cosÏ larghi connotati, da aver perso ogni riferimento cognitivo. Ciononostante, le forze Sovietiche ed i partigiani comunisti per quanto egregia la loro condotta ,non vennero mai associati al Fascismo.
Come indicato, era in un tale contesto, che il termine prese posto nelle ricerche accademiche occidentali. Era usato, e lo e' tutt’ oggi, per indicare sia il Socialismo Nazionale di Hitler, sia il Fascismo di Mussolini (cosi' come ad indicare un variegato numero sempre crescente di sistemi sociopolitici). Insieme ad un' eterna gratitudine nel Marxismo della sinistra liberale, tutto cio' rinforzava l'interpretazione della politica contemporanea divisa sulle varie colpe attribuite al "Fascismo-capitalismo" o "Socialismo". Gli intellettuali di sinistra Europei allora, come oggi, continuano ad elaborare tesi secondo cui il Fascismo altro non era che un'inevitabile sotto prodotto del capitalismo. Nella Repubblica Federale Tedesca e in Gran Bretagna, professori, accademici e giornalisti regolarmente portano avanti l'dea di un'essenza "capitalista" e "borghese" del Fascismo. Il Fascismo e' stato, e continua ad essere raffigurato "come una forma di controrivoluzione che agiva a vantaggio del capitale". L'unica "alternativa possibile" al Fascismo era, ed e' ancora, la creazione di un "Socialismo radicale" che renderebbe impossibile l'esistenza stessa del capitalismo e della borghesia.(26) In mano a coloro il cui unico scopo era di plasmare le opinioni, la lunga rivoluzione anticapitalista ed anti borghese dell'Italia Fascista, scomparve in una ricostruzione storica del tutto inaccurata. Ma non tutta la storia intercorsa tra le due guerre ando' perduta. Alcuni studiosi rievocarono un concetto usato in quel periodo e quasi dimenticato, per classificare sia il Fascismo che il Comunismo. In quegli anni, gli stessi intellettuali fascisti, riconobbero similitudini strutturali ed istituzionali dello "Stato corporativo" con "la dittatura del proletariato". Queste similitudini furono riunite sotto un unico termine "Totalitarismo". I teorici fascisti riconobbero la logica che sosteneva il sistema del Partito unico - in questo molto simile ai comunisti. Nella identificazione dell'individuo nel Partito Unico, ed il Partito Unico in un capo "il cui volere era il volere del popolo"(27), riconoscevano un condiviso "Totalitarismo". Il fondamento logico del totalitarismo, fu' articolato prima della Grande guerra del 1914-1918 da Giovanni Gentile - autore della variante dell'idealismo Hegeliano, che finira' per animare il Fascismo di Mussolini. Gia' prima della Grande Guerra, Gentile propose un nuovo tipo di governo politico che concepiva l'individuo organicamente unito in una societa' identificata nello "Stato Etico", Gentile concepiva lo stato e la societa' come elementi intrinseci, piu' che estrinseci, all'individuo. Come Hegel e Aristotele prima di lui, anche Gentile concepiva l'individuo fuori dalla societa' e lo Stato "una astrazione".(28) Dalla natura fondamentale dell'individuo, della societa' e dello Stato, seguirebbero le identita' successive. Ne segui' un concetto unitario di opinioni politiche e culturali - e la creazioni di strutture istituzionali che diedero corpo a queste identita'. L'ideologia Fascista non aveva soltanto visto in questa filosofia sociale il fondamento ideologico del proprio sistema - ma aveva riconosciuto la sua prima comparsa nel governo di Lenin nella Russia bolscevica. Il "Totalitarismo" era inteso a ricoprire il sistema politico antiparlamentare ed antidemocratico sia della sinistra che della destra. Nel Dicembre del 1921 Mussolini stesso si accorse delle affinita' esistenti tra il suo Fascismo ed il Bolscevismo di Lenin. Riconobbe ad entrambi il merito di voler costruire "uno stato unitario e centralizzato, che imponeva a tutti una disciplina di ferro"(29). Nel corso del tempo, gli intellettuali fascisti identificarono un fondamento ideologico simile nel Nazionalsocialismo di Adolf Hitler, e nella politica del Kuomintang di Chiang Kaishek. I Fascisti videro nel Totalitarismo, una nuova forma di governo, un prodotto della rivoluzione del XX secolo. In origine ne' di destra ne' di sinistra.
TOTALITARISMO
Gli ideologi Fascisti parlarono a favore del "Totalitarismo". Affermarono l'importanza della politica sull'economia e la supremazia decisionale del gruppo dirigente sulle consultazioni popolari. Parlarono di fede, obbedienza, e di lotta contro le forze reazionarie ricche e privilegiate. Parlarono di creare "l'uomo nuovo" per una "nuova societa'" sotto gli auspici di uno "Stato etico". Il totalitarismo veniva visto come una creazione politica dell'eta' moderna. I nemici del Fascismo, all'inizio del 1923, identificarono invece il totalitarismo come un oppressivo sistema di "assoluto dominio politico" sulla cittadinanza (30). Da allora, il termine raramente venne usato al di fuori del contesto Fascista - e quasi sempre accompagnato da connotazioni negative. Nell'autunno del 1929, ad esempio, il termine fu' usato sul Times di Londra, ed applicato sia al Fascismo italiano che alla Russia Stalinista. Nel 1934, George Sabine parlo' di un "nuovo tipo" di Stato, di cui si poteva trovare espressione non solo nel "totalitarismo fascista" ma anche nel concetto "simile" manifestato da Stalin in Russia (31). A meta' degli Anni '30, il termine "totalitarismo" veniva usato frequentemente per identificare non solo i sistemi politici di Mussolini ed Hitler - cioe' stati fascisti, ma anche la Russia Stalinista (32). I Marxisti-Leninisti ovviamente, ebbero da ridire sull' uso del termine. E dopo averlo usato nel 1928, lo applicarono esclusivamente per identificare gli stati considerati fascisti. Decisero che il totalitarismo non era altro che una conseguenza della crisi finale del capitalismo industriale (33). Con l'arrivo della Seconda Guerra Mondiale, il termine "Totalitarismo" venne usato quasi esclusivamente per riferirsi alle potenze dell'Asse. L'Unione Sovietica, divenuta un alleato nella "guerra contro il Fascismo" era generalmente esente, grazie anche all'idea spesso nascosta che la Russia di Stalin in realta' altro non fosse che una nascente democrazia. Coloro che simpatizzavano con Stalin, Marxisti di diverso grado, data la loro identificazione del Fascismo e del monopolio capitalistico, invece che al "totalitarismo" potevano fare riferimento soltanto al sistema Fascista - in quanto rappresentante della patologica reazione del capitalismo in declino.(34) L'identificazione del totalitarismo con la Russia di Stalin, fu lasciata in gran parte ai democratici, o Anti-Soviet, Marxisti - Menscevichi, Trotskisti e socialdemocratici. Solo con la fine della Seconda Guerra Mondiale, il termine amplio' il suo significato, inglobando non piu' solo i sistemi fascisti ma anche socialisti. L'uso del termine cosi' inteso, e' sopravvissuto agli anni della guerra, per essere ritrovato in diverse pubblicazioni come ad esempio in "Darkness at noon" di Arthur Koestler, o in lavori piu' accademici come "Behemoth" di Franz Neumann o "Permanent revolution" di Sigmund Neumann. George Orwell, disse invece che l'idea di scrivere un romanzo anti totalitario "Nineteen Eighty-four" gli venne in mente nel 1943. Secondo Orwell, un'Unione Sovietica vittoriosa, avrebbe portato a ben altro che ad una democrazia sociale. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale, il termine riprese ad identificare anche l'Unione Sovietica di Stalin. Il principio che disciplinava l'ammissione nella categoria includeva tutti i tratti caratteristici comuni del totalitarismo fin dai primi Anni '30. Tra gli altri, includeva "un capo carismatico" ispirato da una formazione ideologica considerata infallibile, a guida di una elite d'avanguardia, unita in un unico , Partito dominante , che amministrava un sistema disciplinato di controllo sopra tutti gli aspetti della vita civile, spaziando dall'economia, all'informazione, alla cultura (35). Avendo vinto la guerra, i capi delle democrazie industrializzate, non dovevano piu' preoccuparsi della sensibilita' della loro controparte a Mosca. Talmente tante erano le critiche rivolte al sistema politico Sovietico, che fu possibile di nuovo occuparsi della questione che legava il totalitarismo con le politiche democratiche. Le relazioni sempre piu' deboli tra Washington e Mosca fecero precipitare lo sviluppo - e segnarono l'inizio della "guerra fredda" (36). Un'ondata di pubblicazioni, sia popolari che accademiche, alzarono il caso sulla "minaccia del totalitarismo". Nel 1950, il Congresso degli Stati Uniti, approvo' la legge sulla sicurezza interna di McCarren, che vietava l'entrata del "totalitarismo" negli Stati Uniti - un divieto che esplicitamente includeva i "comunisti" - trascendendo l'abituale distinzione tra politica di destra e di sinistra. Per un certo periodo il termine "Fascismo rosso" ando' di moda. (37) Gli Anti Sovietici di sinistra, continuarono a voler includere nel "Totalitarismo, durante tutta la guerra lo Stalinismo - per essere in linea con Washington. I Marxisti Sovietici, al contrario riaffermarono la loro linea teorica primaria. Nel 1946, un'officiale sovietico affermo' che nonostante la guerra contro il Fascismo di Hitler e Mussolini era stata vinta, la minaccia del Fascismo rimaneva ancora. Il "Fascismo" dichiaro "e' una manifestazione della societa' capitalista nella sua fase imperialistica" e potrebbe quindi riemergere qualora i capitalisti sentissero il bisogno di "opporsi alla democrazia Sovietica"(38). Durante la Guerra fredda, il termine "Totalitarismo" divenne un concetto politico contestato. Il Senatore Joseph McCarthy creo' una vera e propria tempesta politica con la sua crociata contro il comunismo ed i suo "compagni di viaggio". I giornalisti liberali, obiettarono come il Senatore stesse prendendo lineamenti "Totalitari" - obiezione che suggeriva come anche i sistemi democratici liberali avessero caratteristiche in comune con il totalitarismo. Il Totalitarismo, come si sosterra', non era limitato al Fascismo o al comunismo. I suoi tratti potevano essere trovati ovunque. Questa e' un'ipotesi, che ancora oggi, trova risonanza nel mondo accademico occidentale e tra la comunita' giornalistica. In concomitanza alle riunioni del comitato di McCarthy, i liberali di sinistra svilupparono una strategia per fronteggiare il totalitarismo. Il termine "Totalitarismo" era usato infatti contro ogni "reazionario" o "quasi fascista" nemico della "democrazia". Fascismo e capitalismo rimanevano i referenti primari, ma poteva applicarsi, a fatica, anche al sistema Marxista o Marxista-Leninista dato che il Marxismo era inteso come una tradizione democratica propria della Rivoluzione francese. (39) Piu' il concetto entrava a far parte del mondo accademico e piu' si arricchiva di sfumature complesse ed incerte. Hannah Arendt per il suo "Origin of Totalitarism" nel 1951 ricevette un plauso generale, anche se il concetto da lei espresso fu fonte di problemi (40). Infatti nel suo lavoro, scriveva come il termine "totalitarismo" poteva identificare non solo il sistema di Adolf Hitler ma anche quello Sovietico - anche se le sue argomentazioni nei confronti dell'Unione sovietica apparvero un po' forzate, quasi un ripensamento. Era riuscita a rintracciare il Totalitarismo della Germania Socialista nella condizione creata dalla "borghesia" nel XIX secolo - una competizione economica sfrenata, con la scomparsa delle classi e delle identita' di casta, con conseguente alienazione, e la creazione di una "marmaglia" politica. Il sistema economico borghese aveva svuotato l'individuo della sua peculiarita', riducendolo alla continua ricerca, attraverso un vago concetto di razza, della propria identita'. E' stata questa la benzina che ha alimentato il pensiero volkisch (razzista) Tedesco del XIX secolo, che a sua volta contribui' alla realizzazione dell'ideologia Nazionalsocialista. Dall'altra parte, il lavoro di Arendt sul totalitarismo Sovietico, e' stato ritenuto, persino dai suoi sostenitori, poco sostanziale e perspicace.(41) Nel suo scritto Arendt attribuisce qualche responsabilita' a Marx colpevole di aver ridotto le leggi ed il governo ad un semplice "riflesso" di fattori economici, alludendo agli aspetti collettivisti e deterministici come fattori della sua filosofia sociale. Come questo si collegasse alla logica del totalitarismo non era chiaro. Alla fine quello che emerge dal suo testo, e' la sensazione che in un modo o nell'altro, il "capitalismo" e la "borghesia", e non Marx, siano i veri responsabili del totalitarismo. Di conseguenza, le principali fonti del totalitarismo Sovietico, vengono quasi del tutto ignorate . Il testo di Arendt e' uno dei tanti lavori degni di nota usciti nello stesso periodo. "The open society and its enemies" di Karl Popper, e "The origins of totalitarian democracy" di Jacob Talmon insieme al suo "Political Messianism" contribuirono a mantenere viva la discussione. Nel 1970, l'interesse per l'origine del totalitarismo, in qualche modo, andava scemando, e molti accademici trovarono la scusa per opporsi al concetto fin li elaborato. La "destalinizzazione" aveva fatto presa nell'Unione Sovietica, ed in molti cercarono di ridurre le tensioni internazionali evitando di evocare definizioni politiche "provocatorie". Inoltre, fu sostenuto come il termine "totalitarismo" non avesse abbastanza sfumature per permettere di essere usato nelle scienze sociali o nelle esposizioni storiche. Come per esempio nelle idee di Lenin e di altri Bolscevichi, ritenute troppo complesse. I loro comportamenti individuali e collettivi infatti non potevano ritenersi la sola conseguenza di convinzioni politiche. Erano al piu', il risultato di una molteplice miscela di fattori troppo numerosi per essere catalogati in un termine misurato come poteva essere "un'ideologia totalitaria formale"(42). Fu inoltre sostenuto, che nonostante la spavalderia del Duce, il Regime di Mussolini non fu' mai del tutto totalitario. Il Fascismo non riuscÏ mai ad assorbire la Monarchia Italiana, la Chiesa Cattolica Romana, o il corpo ufficiale delle forze armate.(43) Peggio ancora, Mussolini a stento commise massacri. Colpevole di aver usato gas tossici nella guerra in Etiopia, e di aver represso brutalmente le rivolte in Libia, Mussolini uccise un numero ridottissimo di suoi concittadini durante il suo comando durato un quarto di secolo.(44) Hannah Arendt, nel suo lavoro sottolineo' quest'aspetto, decidendo che il Fascismo italiano non aveva le caratteristiche necessarie per rientrare nella classe dei regimi totalitari. Altri sottolinearono come il termine "totalitario" suggeriva l'integrazione sistematica di tutte le parti componenti una societ‡ sotto il controllo di uno Stato onnicompetente. I critici infatti, sostennero che il sistema totalitario altro non era che onnicompetente. Il regime di Hitler, era disorganizzato, ed in molti continuarono a vivere senza grandi cambiamenti nella vita quotidiana - almeno fino alla devastazione della Seconda Guerra Mondiale. Nell'Unione Sovietica, le regole del partito cambiavano da posto a posto, e nella Cina Maoista c'era molto disordine e all'epoca anche una diffusa incompetenza. In un modo o nell'altro, per amor di critica, tutto questo sembrava significare che il "totalitarismo" come concetto scientifico sociale era poco rilevante. Alcuni addirittura ne consigliarono l'abbandono. L'uso aveva infatti provocato ostilit‡ tra le grandi potenze ed in compenso non aveva fornito che scarse conoscenze. Oltre questo, molti intellettuali decisero che un qualsiasi accostamento tra socialismo, di qualsiasi forma, con il fascismo, di qualsiasi tipo, era da rigettare. Qualsiasi suggerimento a possibili accostamenti poteva soltanto essere utile al capitalismo nella sua continua lotta contro la liberazione socialista.(45) Ci fu un esagerato incoraggiamento all' uso del termine "anti-fascismo" al posto di "antitotalitarismo" nell'identificare i veri nemici della democrazia moderna.(46) Il vero nemico era il Fascismo non il Socialismo. Cio' nonostante c'era chi ancora si ostinava a dire che il totalitarismo poteva essere usato sia per identificare regimi politici di destra che di sinistra, e che questi nuovi modelli di regimi erano particolari del XX secolo.(47) I regimi totalitari avevano regole politiche distintive, quali il potere in mano ad un unico capo, la sua ideologia imperante, ed il partito dominante da lui stesso guidato. Non un semplice Stato di polizia - o una semplice dittatura personale. Era un sistema politico con pieno potere legislativo, che non aveva bisogno dei classici "controlli e contrappesi" caratteristici dei sistemi pluralistici. In questo sistema, la distinzione tra ramo legislativo ed esecutivo, era considerato anacronistico - e l'dea di un organo giurisdizionale indipendente dal governo, considerato disfunzionale. Questo sistema poteva essere diretto da partiti politici di destra come di sinistra, da socialisti o fascisti, a seconda del caso. In un simile sistema, la legge era concepita come complemento all'ideologia - un'espressione "del volere di tutti". Era generalmente amministrata attraverso burocrati statali - i tribunali avevano un incerto ed indefinito ruolo. L'apparato dello Stato, era progettato per portare avanti i fini ideologici del partito, come intesi dai dirigenti. Gli individui, sotto il controllo del partito e della polizia, venivano iscritti in base all'eta' ad associazioni politiche o paramilitari, dove avrebbero potuto generosamente servire il sistema. Sembra evidente, che un tale comportamento sintomatico serviva al solo scopo euristico, didattico e mnemonico.(48) Indicava possibili argomenti di ricerca, organizzava materie complesse per fini pedagogici ed aiutava a ricordare e memorizzare fugaci informazioni. Il "totalitarismo" non era una "teoria". Non poteva essere spiegato in un qualsiasi senso scientifico, ne' predetto. Al massimo, avanzava un quadro generale di tratti legati l'un l'altro. Non era chiaro se tutti i membri condividevano la stessa definizione di "tratti" - ne' tantomeno era chiaro, in che misura questi tratti erano importanti per rientrare nella categoria. In passato, questo concetto aveva aiutato i sociologi ad esplorare il funzionamento di questi sistemi provvisoriamente identificati come totalitari. Alcuni sembravano avere piu' tratti caratteristici di altri, ed alcuni piu' accentuati di altri. Alcuni di questi sistemi passarono attraverso delle fasi. Lo Stalinismo ad esempio, era qualcosa di totalmente diverso prima della morte di Stalin. Il Maoismo, venne trasformato dalla morte del suo "intramontabile sole rosso". Al contrario la Repubblica Democratica Popolare Coreana di Kim John I rimase invariata anche dopo la morte di Kim Il Sung. Il Regime di Castro a Cuba mostrava le caratteristiche principali del totalitarismo, ma nonostante questo era in qualche modo diverso. Stalinisti, Maoisti e Marxisti di ogni tipo, smontarono tutte le caratteristiche del totalitarismo, anche nel sistema pluralistico. I tratti negativi associati al termine "totalitarismo", venivano rivolti ad una forma di governo ben definito che aveva avuto inizio nell'era delle mobilitazione delle masse, dei nazionalismi, della rapida industrializzazione e delle moderne tecnologie. Per il nostro scopo, e' interessante notare come alcuni specialisti, insistevano nel dire che solo i movimenti politici di destra vicini al capitalismo potessero mai essere totalitari - mentre altri sostenevano che solo un "sistema comunista o socialista poteva realizzare in pieno il totalitarismo, dato che un totale controllo, aveva bisogno di una rivoluzione istituzionale totale che poteva essere messa in atto solo da uno Stato socialista" (49)
Nell'Europa Orientale, nel 1980 mentre il controllo Sovietico andava scemando, sempre piu' studiosi socialisti ammisero similitudini tra il Fascismo ed il sistema Marxista-Lenista (50). A meta' degli anni '80 accademici e scrittori Sovietici , iniziarono a riconoscere il loro sistema come Totalitario , in particolare nel periodo Stalinista.(51) Da allora, inconsciamente gli studiosi anglofoni iniziarono a descrivere l'intera fase storica sovietica con tali caratteristiche (52)
Quello che sembrava emergere era l'ammissione che il Fascismo, qualsiasi forma intedessero , ed il Marxismo-Lenismo, in tutte le varianti, condividessero delle caratteristiche comuni. Solo i Marxisti piu' ostinati continuavano a vedere unicamente nel Fascismo, l'intento e l'azione totalitaria.Molti comparatisti,si prepararono, senza troppo entusiasmo, a riconoscere una certa importanza a queste similitudini.
A partire dall'ultimo decennio del XX secolo, il dibattito sulla portata, l'interpretazione e l'applicazione del Totalitarismo, aveva esaurito il suo corso.
Il Fascismo, in alcune sue interpretazioni, era in qualche modo legato al Marxismo, in alcune sue forme. In pochi erano concordi sulle similitudini di questi due sistemi politici, ma molti attestarono le relative somiglianze.
Dagli anni intercorsi fra le due guerre, quando il Fascismo ed il Comunismo erano identificabili nella stessa categoria, attraverso gli anni della guerra quando al contrario solo il Fascismo veniva identificato come Totalitario, per terminare negli ultimi anni del XX secolo quando ancora una volta vennero trovate similitudini tra Comunismo e Fascismo anche se in forme attenuate, una ricerca seria sulle origini storiche ed ideologiche diveniva quasi obbligatoria.Inoltre l'esistenza attuale di sistemi politici con tratti totalitari, meritava la perdita di tempo ed energia necessari per portare avanti quest'impresa.
Tutto cio' nonostante, verso la fine del secolo scorso, alcuni espressero dubbi riguardo un possibile interesse sul totalitarismo generico, nelle odierne scienze sociali.
Il comunismo ormai crollato in Unione Sovietica cosi' come nei suoi paesi satelliti nell'Europa orientale ed il cambiamento significativo subito dopo la morte del suo "presidente" del comunismo Maoista nella Repubblica Popolare Cinese, porto' ad un cambiamento radicale dell'attenzione politica. Tra le altre cose, il Fascismo torno' ad essere la sola preoccupazione. Solo nel Fascismo, si trovo' la causa "patologica" di tutti i massacri avvenuti nel periodo storico piu' buio del XX secolo. Il Fascismo venne inteso come alternativa politica cosi' distruttiva, che poteva occupare da solo, una posizione unica nella storia ideologica ed istituzionale del nostro tempo. Il Marxismo, in tutte le sue varianti, andava invece sfumando nella storia.
Fu il "Fascismo" e non il "Totalitarismo", ad essere invocato per "capire" l'inumana barbaria, che apparentemente superava qualsiasi cosa fosse mai emersa sotto l'egida Comunista.
Ondate di monografie iniziarono ad apparire a testimonianza della sola responsabilita' Fascista sugli orrori commessi nel XX secolo. Questo perche' il Marxismo ed il Fascismo di fatto erano diametralmente opposti. Il Marxismo era un prodotto dell'illuminismo, ed era un'ideologia progressiva e razionale - mentre il Fascismo era irrazionale, reazionario, naturalmente malvagio e portato esclusivamente alla "violenza ed alla guerra" fine a se stessa.
Il Marxismo invece era sia "una dottrina etica che economica"(53) Quello che distingueva i due sistemi era proprio la diversa visione etica e morale.
In generale si sosteneva che il Socialismo Nazionale di Hitlers, spregievole nel suo intendo distruttivo, era rappresentativo del "Fascismo". Partendo da questo dato, in molti
cercarono di allargare il termine "Fascismo" fino ad includervi una grande varieta' di altri sistemi politici - sistemi che ovviamente condividevano la stessa malvagita' del Nazismo.
Stabilito questo, al Marxismo in tutte le sue varianti, fu accordata una distintiva superiorita' morale. Una strategia intellettuale questa, che ha lasciato nel dubbio non pochi studiosi .
Nel 1994, Walter Laqueur, parlava ancora delle similitudini tra lo Stalinismo dell'Unione Sovietica ed il Socialismo Nazionale tedesco di Hitler -in molti cercavano ancora di catalogare la lunga lista di inimagginabili attentati morali,che macchiarono la storia di entrambi (54).
ALCUNE QUESTIONI IRRISOLTE NELLA STORIA INTELLETTUALE DELLA RIVOLUZIONE
Nonostante tutti gli sforzi compiuti per distinguere il Marxismo dal Fascismo, nella sua forma reale od immaginaria, rimane comunque persistente un dubbio su alcuni tratti comuni delle due ideologie. Queste similitiduni, si fecero notare ancora prima della completa maturita' politica del Fascismo italiano. Molti Marxisti erano presenti alla nascita del Fascismo.
E nonostante l'ostinazione di alcuni, l'analogia veniva riconosciuta proprio nel totalitarismo . Durante il Regime, anche molti teorici Fascisti ammisero questo legame. E dopo la scomparsa del comunismo Lenista, il suo rapporto con il Fascismo in generale, venne riconosciuto anche dai suoi esperti.(55)
La difficolta' ad ammettere tale teoria risiedeva nei giudizi emessi dalla scienza politica secondo cui il Fascismo era l'esatto contrario del Marxismo in ogni sua forma. Questi giudizi erano cosi' radicati che nello studio della politica comparata, ogni suggerimento su una qualsiasi affinita' tra le due ideologie veniva respinta. Ma nonostante questo, alcuni comparatisti contemporanei, ammisero che ci furono inconfondibili "affinita' ideologiche" tra il Fascismo e Leninismo. Fu altrettanto chiaro come in "alcuni essenziali momenti ideativi gli estremi tendevano a toccarsi"(56)
E' importante provare a capire come questo fu possibile.Per rispondere pero'bisogna prima capire il concetto di "Totalitarismo" - che ha come referenti sia il Fascismo che il Marxismo nelle sue varianti.Cercare di spiegare questo legame e' compito della storia del pensiero rivoluzionario a cavallo del XX secolo. Una storia che merita di essere raccontata. Ed e' parte di un complicato resoconto lungo tutta la storia ideologica intellettuale. Una storia che spero, fornira' ulteriori prove del legame esistente tra il Marxismo, nelle sue varie forme moderne - ed il Fascismo di Mussolini. Una storiografia che forse servira' anche a distinguere il vero Fascismo da altri presunti Fascismi.
Il Fascismo italiano non fu il Socialismo Nazionale di Hitler, e nemmeno il Bolscevismo di Lenin - anche se tutti e tre condividevano alcune affinita' benche' minimali.
Ai fini della presente esposizione, quello che ci interessa e' il legame tra il Bolscevismo di Lenin ed il Fascismo di Mussolini. Parlero' delle affinita' ideologiche condivise dal Fascismo italiano ed alcune varianti del Marxismo, aiutando a capire perche' similitudini cosi' importanti, emergano regolarmente in tutti gli studi riguardanti sistemi politici moderni rivoluzionari.E' una storia che racconta quasi mezzo secolo di pensiero radicale Europeo - nel quale si possono ritrovare anche i maggiori intellettuali del primo quarto del XX secolo.E nonostante non sia un filo necessario per ricomporre la complessa trama della rivoluzione nel nostro tempo, rimane comunque un'interessante ed importante punto di riferimento. E' una storia che affronta la rivoluzione morale ed il sistema etico che la sostiene. Accenna a come i teoristi rivoluzionari all'inizio del nostro tempo, cercarono di capire le scelte umane e le decisioni politiche e racconta dei motivi della rivoluzione e dell'uso della violenza.
Nel corso del tempo,tutti questi problemi furono gia' affrontati da alcuni selezionati Marxisti rivoluzionari verso la fine del XIX secolo, alcuni dei quali sarebbero poi diventati i capi dei movimenti rivoluzionari del XX secolo. La storia successivamente li identifichera' come "Marxisti" o "Fascisti". Coloro sui quali punteremo il nostro interesse sono stati tutti in un modo o nell'altro Marxisti. I piu' interessanti, al nostro scopo, sono i cosidetti "Mussoliniani", i dirigenti intellettuali del Fascismo italiano.
Sara' sorprendente scoprire per alcuni - sicuramente non per tutti - come tra le prime questioni da risolvere per i pensatori rivoluzionari a cavallo del XX secolo, vi furono problemi legati al determinismo, all'etica ed alla morale,al nazionalismo, alla dirigenza, alla mobilitazione delle masse , ed al problema della rivoluzione intesa nell'esteso arco della storia. Problemi questi, che ancora oggi continuano a dare forma ai pensieri rivoluzionari.
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