Ha preceduto Giorgio Almirante di poche ore nel viaggio verso l’aldilà. Nettuno Romualdi detto Pino è morto il 21 maggio del 1988, Almirante il giorno successivo. Il popolo della destra li ha salutati insieme nel corso di esequie comuni. Almirante sarà ricordato la prossima settimana con cerimonie ufficiali che per un giorno vedranno riunite le anime inquiete e frammentate della destra. Pino Romualdi invece è stato e continua ad essere ingiustamente trascurato.
A Salò ricoprì l’incarico di vicesegretario del Partito Fascista Repubblicano, braccio destro del segretario Alessandro Pavolini. Nell’immediato dopoguerra fu condannato a morte e dovette vivere in clandestinità per alcuni mesi, fino a quando non arrivò l’amnistia voluta dal leader comunista Palmiro Togliatti. I maligni sostengono che Togliatti abbia “graziato” Romualdi dopo che questi gli ebbe assicurato il massiccio consenso dei molti fascisti rimasti a lui fedeli, in favore dell’opzione repubblicana nel referendum del giugno 1946.
Fra i fondatori del Movimento Sociale Italiano, Romualdi restò sempre fedele agli ideali fascisti che cercò di attualizzare, pur nella consapevolezza dell’irripetibilità del fascismo come regime. Negli anni cinquanta sostenne la politica del segretario Arturo Michelini contrastando il socialismo nazionale del primo Almirante. Appoggiò il progetto di una destra anticomunista, conservatrice, alleata della borghesia tradizionale, fedele al Patto Atlantico pur essendo lui un figlio di Salò. Quando però Michelini a metà degli anni sessanta sancì l’alleanza con un Almirante in rotta di collisione con le frange radicali, vedendo fortemente ridimensionato il peso della sua componente, scelse di passare all’opposizione. L’alleanza di ferro fra Almirante e Romualdi, che porterà a quella diarchia durata quasi un ventennio, si concretizzò negli anni settanta, quando si andò rafforzando nel Msi l’ala di sinistra capeggiata da Pino Rauti, fautrice di una destra anti borghese, anti capitalista, anti americana, non alternativa ma competitiva al Partito Comunista sul piano dei diritti sociali. Con il contributo determinante di Romualdi, Almirante vinse tutti i congressi affermando l’idea della destra conservatrice anti-sistema, anti comunista, indisponibile a fare da stampella alla Dc (provocando la scissione di Democrazia Nazionale), una destra “non cattolica” ma “di cattolici”, rispettosa della tradizione, orgogliosa del proprio passato ma proiettata verso il futuro. Una politica che negli anni 80 trovò il gradimento e l’attenzione di Bettino Craxi che, sfidando l’arco costituzionale, cercò il dialogo e la collaborazione anche con i missini.
Come ha ricordato Donna Assunta Almirante nel libro La Mia Vita con Giorgio (I libri del Borghese-Ed. Pagine) non mancarono fra il marito e Romualdi i momenti di tensione e le divergenze di vedute, superate il più delle volte anche grazie alla sua mediazione. Fra loro c’era, prima che una vicinanza politica ed ideale, un affetto profondo ed una stima reciproca. Sono morti insieme come insieme avevano guidato le fasi più difficili della vita della destra, non ultima la battaglia per affidare la guida dell’Msi al giovane Gianfranco Fini.
Romualdi ha avuto il merito di mantenere vivo il suo orgoglio di fascista ma senza mai farsi condizionare nelle scelte dai rimpianti o dalla nostalgia. Comprese meglio di altri che la storia non poteva essere riproposta e che gli ideali fascisti andavano contestualizzati. Lui e Michelini lo capirono sin dall’inizio rigettando il radicalismo di Salò, Almirante arrivò in un secondo tempo, ma alla fine arrivò. Oggi non resta che il rimpianto di questi grandi e indiscutibili leader di fronte al fallimento di quei giovani che nel 1987 anche Romualdi aveva creduto vincenti.
Di Americo Mascarucci
Fonte http://www.intelligonews.it
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