La consigliera provinciale altoatesina Eva Klotz preme per togliere il rilievo raffigurante il Duce a Bolzano
Un rilievo in marmo travertino lungo 36 metri, alto 5,5 e spesso 50 centimetri, scolpito su 57 lastre di marmo e disposto su un frontone della Casa Littoria a Bolzano, oggi sede di uffici finanziari, raffigura le tappe più importanti della storia d'Italia. Un'opera meravigliosa, realizzata dall'artista Hans Piffrader, che è finita nelle polemiche e nella strumentalizzazione. Ad alzare la voce nei giorni scorsi la consigliera provinciale Eva Klotz, che ritiene necessario spostare l'opera nella Fortezza asburgica, vicino Bressanone, perché "relitto dei tempi bui del fascismo". Questo concetto dei "tempi bui" piace molto all'antifascismo, bisogna prenderne atto. È un modo di dire che va bene per tutte le stagioni e che fa sempre comodo per attrarre l'attenzione, per accendere i riflettori su cosine di basso valore come è evidentemente quella di mettere sotto accusa un'opera d'arte.
Quelle 57 lastre incise, però - l'antifascista Klotz dovrebbe porre mente - sono un'opera di magistrale bellezza e hanno una storia: nel 1938 fu bandito un concorso che aveva come tema "La grandezza dell'era mussoliniana", al quale parteciparono 25 artisti. Diciotto di essi vennero premiati, tra cui Piffrader per l'opera dal titolo "Veni, vidi, vici", ispirato alla guerra d'Abissinia. Nel novembre dello stesso anno il Duce ricevette una rappresentanza di artisti altoatesini. In quell'occasione Piffrader fu incaricato di donare a Mussolini una piccola copia del rilievo, con la dedica "Al Duce, fondatore dell'Impero, gli artisti altoatesini - Anno XVIII". Piffrader fu così nominato cavaliere e gli vennero commissionati altri rilievi, ancora oggi in parte visibili sugli angoli della sede della Cassa di Risparmio, nonché quello del Duce a cavallo che oggi suscita tanta veemenza nell'amministratrice locale che evidentemente non ha di meglio di cui occuparsi.
Piffrader concluse l'opera proprio il 25 luglio 1943, quando il Duce venne destituito: dei 57 pannelli solo 54 erano stati montati. I tre che restavano da applicare erano proprio quelli raffiguranti Mussolini a cavallo. Rimasero in un magazzino finché, nel 1957, la visita del Presidente della Repubblica Gronchi non ne determinò la collocazione al loro posto: non si poteva certo lasciare l'opera con un vistoso buco al centro.
Sulla vicenda ha preso posizione nel 2012 Ugo Soragni, direttore regionale per i beni culturali, in risposta ad un altro "paladino della lotta ai tempi bui", Luis Durmwalder, che aveva all'epoca avuto l'idea di coprire il rilievo. Così si era espresso Soragni: "Come studioso - aveva detto - ritengo inopportuno alterare edifici distanti da noi oltre 80 anni. Dove esistono significati inaccettabili per qualcuno, la strada da percorrere è la loro spiegazione. Ricordiamo - aveva aggiunto, sempre in omaggio alla lotta senza quartiere al cosiddetto periodo buio - che la legge italiana condanna ogni nostalgia verso il fascismo".
Due affermazioni su tre di Soragni sono sicuramente condivisibili: di certo è "inopportuno alterare edifici distanti da noi oltre 80 anni", perché l'arte va rispettata sempre, e anzi va esaltata e celebrata. Inoltre è di sicuro interesse la parte in cui dice che la strada da percorrere è la spiegazione"dei significati "inaccettabili per qualcuno" . Una spiegazione che guardi alla nostra storia con obbiettività, però, e che racconti tutto, davvero tutto. Non accade, perché se accadesse cadrebbe il castello di carte costruito per far dire a personaggi come la consigliera altoatesina che il fascismo fu un "periodo buio".
La competenza ad esprimersi sull'opera, comunque, è della Provincia, e il palazzo è di proprietà del ministero delle Finanze. I quali ci si augura che considereranno due aspetti: innanzitutto che le priorità del popolo sono ben altre. In secondo luogo che sarebbe giusto lasciare l'arte all'arte, e la storia alla storia.
Art. Di Emma Moriconi.
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