lunedì 12 maggio 2014

21 aprile, Fascismo e Romanità

Il saluto, il passo, il linguaggio, l'iconografia, l'impostazione dello Stato: tutto richiama la grandezza della Città Eterna
Il mito dell'Urbe, evocato in ogni aspetto della società, permea la spiritualità mussoliniana del Regime

"Noi sogniamo l'Italia romana, cioè saggia e forte, disciplinata e imperiale". Sono le parole con cui Benito Mussolini saluta il Natale di Roma del 1922 sulle colonne del Popolo d'Italia. Mancano ancora sei mesi alla Marcia su Roma, ma Mussolini ha già scelto i principi a cui ispirare l'azione fascista. Lo aveva anticipato già nel gennaio dello stesso 1922, durante il primo Convegno sindacale fascista di Bologna, quando aveva predisposto un ordine del giorno che istituiva la festa del lavoro nella giornata del 21 aprile, contrapponendosi così a quella individuata dai socialisti nel primo maggio.
Il modello ideale che propone Mussolini è un modello dunque che affonda le sue radici nella storia, in quella più gloriosa di tutti i tempi: Roma. La "romanità", intesa prima di tutto come spiritualità, è tratto essenziale della mentalità fascista; il linguaggio, l'urbanistica, lo stile, il pensiero sono soffusi di romanità nell'arco di tutto il Ventennio.
Lo stesso concetto di antidemocrazia trae le sue origini da Roma antica, una civiltà basata sul comando di un uomo solo, il quale  ha l'onore e l'onere di condurre il popolo verso la vittoria, che ha il dovere di badare alle esigenze del popolo che egli governa  e il cui operato non è discutibile.
Ma gli elementi che richiamano alla romanità sono numerosissimi e rinvenibili in ogni ambito: Roma viene latinizzato in Urbe, al fianco di ogni anno di quel Ventennio si trovano numeri romani, ad indicare a quale anno dell'Era Fascista esso corrisponde. L'aquila delle Legioni romane fa bella mostra di sé in tutta l'iconografia del Regime, essa diventa il simbolo dell'idea fascista di amministrare lo Stato in tutte le sue declinazioni: la si trova sui monumenti, sugli edifici pubblici, sui volumi, sulle pagelle di scuola, sulle divise, nei documenti di ogni genere. Il fascio littorio è ancora mutuato dall'iconografia romana: i "fasces lictoriae" sono bastoni di legno fissati da nastri di cuoio intorno ad un'ascia, portati dai "littori", uomini assegnati dai tempi di Romolo alla sicurezza del re, che con il tempo avevano assunto il significato di simbolo del potere e insieme di unità inscindibile, nel concetto dell'unione che fa la forza. Molti bastoncini, infatti, presi singolarmente si spezzano con facilità, ma uniti e fissati strettamente tra loro da cinghie possenti diventano indistruttibili.
Ancora: un piano regolatore del 1926 prevede interventi portentosi tra il Colosseo e Piazza Venezia, la costruzione di una grande e rivoluzionaria "Via del Mare" che da Roma conduca ad Ostia, il ripristino del Mausoleo di Augusto. Così nasce la Via dell'Impero, oggi via dei Fori Imperiali: 850 metri di lunghezza per 30 metri di carreggiata, la strada più larga d'Italia. Pensata nel 1926, la straordinaria realizzazione inizia nel 1931 e viene inaugurata il 21 aprile del 1933, in occasione del 2.686esimo Natale di Roma.
Le città figlie del Fascismo richiamano tutte all'ordine di romana  memoria, l'impiego di materiali come il marmo, pulito, eterno, indistruttibile, è un altro chiaro richiamo alla romanità; le parate militari, la disciplina, il rispetto della gerarchia, l'estremo rigore nelle Forze Armate riportano alla memoria proprio le antiche Legioni, come pure lo spirito di sacrificio, la grande considerazione della terra come origine e madre e la ritrovata importanza dell'agricoltura sono tutti esempi di spiritualità romana. Ma già nel concetto stesso di "fondazione" è insita la romanità: i Romani furono infatti un popolo di grandi costruttori. Le grandi opere di Roma hanno sfidato il tempo ed hanno resistito. E dopo settant'anni dalla caduta del Fascismo, si possono cominciare a trarre i primi bilanci anche di questa straordinaria capacità edificatoria del Regime. Le costruzioni realizzate nel Ventennio non cedono, ve ne sono numerosi esempi: il terremoto che sventrò L'Aquila nel 2009 rivelò come strutture recenti, edificate dagli anni Cinquanta in poi, fossero crollate sbriciolandosi, mentre gli edifici realizzati durante il Regime avessero "miracolosamente" tenuto. Non solo: la maestosità di città come Sabaudia o Littoria - oggi Latina - è rimasta intatta. Ancora: edifici lasciati abbandonati a se stessi resistono nonostante l'incuria e i tentativi subito successivi al 25 luglio '43 di distruggerli. Un  esempio concreto è la Casa del Fascio di Predappio: di rotto ha solo i vetri e sembra che l'amministrazione abbia intenzione di realizzare al suo interno un museo. Dovevano passare settant'anni perché questo accadesse. Ma non è mai troppo tardi.
Rispetto a tutto questo, non può restare fuori il cinema. Il grandioso "Scipione l'Africano", miglior film alla Mostra Cinematografica di Venezia  del 1937 (anch'essa voluta dal Fascismo, a partire dal 1929), è un'altra forma di esaltazione della romanità.
 
Salve, Dea Roma
Anche la musica è un'invocazione ai passati fasti e uno slancio verso l'avvenire, ma non è solo folklore: è scelta di uno stile di vita
È il culto di Roma imperiale a riprendere vita durante il Ventennio, anche nei vocaboli in uso: il Mediterraneo diventa il Mare Nostrum, il capo del Governo diventa il Duce, richiamando il concetto legato ai generali vittoriosi di ritorno dalle battaglie; per salutare si alza il braccio destro tenendo la mano tesa nel "saluto - appunto - romano". Stesso discorso per il "passo romano" citato anche dalle canzoni dell'epoca, spesso evocanti il culto della romanità come la famosissima "Vincere": "Elmetto, pugnale, moschetto, a passo romano si va". Questa, tra le molte canzoni del periodo, è certamente una della maggiormente evocative quanto a romanità: "Temprata da mille passioni/ la voce d'Italia squillò!/ Centurie, coorti, legioni,/ in piedi che l'ora suono!/ Avanti gioventù!/ Ogni vincolo, ogni ostacolo superiamo,/ spezziam la schiavitù/ che ci soffoca prigionieri del nostro Mar!"
A proposito di musica: l'Inno a Roma, tradotto dal poeta romano Fausto Salvatori dal Carmen saeculare che Orazio aveva scritto  duemila anni prima per l'imperatore Augusto, musicato da Giacomo Puccini nel 1919, diventa l'inno della romanità fascista, con i suoi riferimenti al "Campidoglio dove eterno verdeggia il sacro alloro", chiamando l'Urbe "Dea Roma", invocando "Sole che sorgi libero e giocondo, sui colli nostri i tuoi cavalli doma, tu non vedrai nessuna cosa al mondo maggior di Roma". Il riferimento alla "pace del mondo" che "oggi è latina", il chiamare Roma "Madre che doni ai popoli la legge" e, non ultimo, il riferimento a "l'aratro antico e il gregge folto che pasce".
Ancora in tema musicale, la "Marcia delle Legioni" è talmente ricca di spiritualità romana che vale la pena riportarla per intero: "Roma rivendica l'impero/ l'ora dell'Aquile sonò./ Squilli di tromba salutano il vol/ dal Campidoglio al Quirinal!/ Terra ti vogliamo dominar./ Mare ti vogliamo navigar./ Il Littorio ritorna segnal di forza, di civiltà!/ Sette colli nel ciel,/ sette glorie nel sol!/ Dei Cesari il genio e il fato/ rivivono nel Duce liberator!/ Sotto fasci d'allor,/ nella luce del dì,/ con mille bandiere passa/ il popolo d'Italia trionfator!/ Di Roma, o sol,/ mai possa tu rimirar/ più fulgida città./ O sole, o sol,/ possa tu sempre baciar/ sulla fronte invitta/ i figli dell'Urbe immortal!"
Ancora, il Fascismo organizza, dal 23 settembre 1937 al 23 settembre 1938 la Mostra della Romanità: l'occasione è il bimillenario della nascita di Augusto, l'imperatore che aveva conquistato l'Egitto estendendo i suoi domini fino all'Etiopia, recente riconquista dello Stato fascista.
"Celebrare il Natale di Roma - scrive ancora Mussolini nel 1922 - significa celebrare il nostro tipo di civiltà, significa esaltare la nostra storia, poggiare fermamente sul passato per meglio slanciarsi verso l'avvenire. Roma e Italia sono infatti due termini inscindibili. Nelle epoche grigie o tristi della nostra storia, Roma è il faro dei naviganti e degli aspettanti".
L'espansione territoriale è, ancora una volta, spiritualità romana che affonda le sue radici in un concetto di  Impero che sia civilizzatore. Stesso concetto emerge nella volontà bonificatrice: quello romano è un popolo "realizzatore", Roma è "divina" al punto di riuscire a portare la civiltà, la disciplina, l'ordine, la pulizia, l'igiene, laddove c'era sporcizia, malaria, insetti e degrado. Al posto delle paludi ecco il marmo bianco, imponente e pulito. In breve tempo, perché la volontà è  tanta e tale che nessuno ostacolo la può fermare. Le città più grandi realizzate dal Fascismo nell 'Agro Pontino sono ad una distanza di circa 15-25 km l'una dall'altra, esattamente come le "stationes" delle consolari romane. E poi il Fascismo fu "romano" anche nelle opere pubbliche quali, per esempio, le grandi realizzazioni di irrigazione e di gestione dell'acqua.
E poi il mito di Roma si estrinseca anche nel concetto di "virilità", strettamente connesso a quello di demografia ma anche inteso come forza, audacia ed estetica dell'uomo.
Qualche esempio mutuato dalla musica del tempo, nella canzone "Adua": Ecco: gli italiani già/Hanno preso la città... belli, nel maschio viso/ in un sorriso/ vogliono cantar".
"Molto di quel che fu lo spirito immortale di Roma risorge nel Fascismo - scrive ancora Mussolini, sempre nel 1922 - romano è il Littorio, romana  è la nostra organizzazione di combattimento, romano è il nostro orgoglio e il nostro coraggio ... con questi pensieri, i fascisti italiani ricordano oggi il giorno in cui duemilasettecentocinquantasette anni fa - secondo la leggenda - fu tracciato il primo solco della città quadrata, destinata dopo pochi secoli a dominare il mondo".
 
 
 
Art. Di Emma Moriconi.

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