martedì 13 maggio 2014

13 MAGGIO 1945 LA VIGLIACCHERIA COMUNISTA COMPIE UNO DEI GESTI PIU' INFAMI A GUERRA FINITA



L'eccidio dell'ospedale psichiatrico di Vercelli fu l'esecuzione somm...aria ad opera di alcuni partigiani della 182ª Brigata Garibaldi "Pietro Camana" di un gruppo di militi della Repubblica Sociale Italiana (RSI) prelevati dallo stadio di Novara, allora adibito a campo di prigionia. Secondo le diverse fonti, i militi uccisi furono tra cinquantuno e sessantacinque. L'eccidio ebbe luogo in parte nel comune di Vercelli e in parte nel comune di Greggio tra il 12 ed il 13 maggio 1945. La memoria dell'evento fu per decenni tramandata quasi unicamente dai reduci della RSI: solo in anni più recenti alcuni storici hanno ripreso il tema, oggi ricostruito in modo sufficientemente esauriente nelle sue linee generali.
Il 12 maggio, un gruppo di partigiani della 182ª Brigata Garibaldi "Pietro Camana" partì alla volta di Novara con un autobus ed un autocarro, fornito di un elenco di 170 nomi di prigionieri fascisti da prelevare. Giunti sul posto, chiamarono tramite appello i fascisti dell'elenco: ne individuarono in tutto 75, li caricarono sugli automezzi e li portarono a Vercelli, rinchiudendoli all'interno del locale ospedale psichiatrico dopo aver costretto il personale ospedaliero ad uscire. Lì vennero percossi violentemente e divisi in gruppi. Fra il pomeriggio del 12 e le prime ore del 13 maggio, la maggioranza dei prigionieri venne eliminata, secondo le seguenti modalità:
Undici vennero trasportati nella vicina frazione di Larizzate, fucilati e sommariamente seppelliti in una trincea di difesa antiaerea.
Secondo la ricostruzione della procura di Torino, poco più di dieci prigionieri furono legati col fil di ferro, stesi a terra nel piazzale dell'ospedale e schiacciati sotto le ruote di due autocarri, utilizzati "a guisa di due rulli compressori". Cesare Bermani ricostruisce l'episodio specifico in modo dubitativo: i prigionieri "sarebbero stati legati col fil di ferro, stesi a terra e schiacciati sotto le ruote di due autocarri". Per Uboldi, invece, venti prigionieri furono "trucidati" all'interno dell'ospedale psichiatrico e successivamente "i corpi vennero portati sul piazzale antistante l'ospedale e una camionetta vi passò ripetutamente sopra ". I corpi di questi prigionieri non sono mai stati ritrovati.
Altri prigionieri sarebbero stati defenestrati o uccisi alla spicciolata, sempre nei locali o nell'orto dell'ospedale.
Il grosso dei prigionieri fu portato a Greggio, comune in provincia di Vercelli, e fu ucciso in piena notte sul ponte del Canale Cavour alla luce dei fari di due camion. Il numero delle vittime riportato dalle fonti è variabile da un minimo di 20 ad un massimo di 50. I loro corpi vennero gettati in acqua: alcuni furono ritrovati solo dopo alcuni giorni e in certi casi anche diversi chilometri a valle del luogo in cui furono uccisi.
Secondo la Procura di Torino, una dozzina di prigionieri venne tradotta dall'ospedale psichiatrico di Vercelli al locale carcere giudiziario, contribuendo successivamente alla ricostruzione dei fatti con la propria testimonianza.
Le vittime
Il numero esatto delle vittime è ignoto. La questura di Vercelli ne indicò nominativamente cinquantuno, ma la Procura di Torino nel 1949 ipotizzò che fosse "lecito" ritenere che il loro numero "superi notevolmente" tale cifra, tenuto conto "che nelle acque del canale Cavour, alle chiuse di Veveri, vennero pescati nel secondo semestre del 1945 una cinquantina di cadaveri che dei 75 prelevati a Novara poco più di una dozzina ebbe salva la vita; che altri militi fascisti catturati fuori del campo di concentramento di Novara ebbero morte la stessa notte del 12 maggio". La questione è stata affrontata in tempi recenti solo dalle associazioni dei reduci della Repubblica Sociale Italiana o da autori di aree politiche affini: il numero in tali casi sale a circa sessantacinque vittime.
I presunti responsabili, il procedimento giudiziario e le polemiche politiche
Malgrado le indagini sul caso ebbero inizio fin dal 1946, il procedimento giudiziario per l'uccisione dei prigionieri di Vercelli non arrivò mai alla fase dibattimentale: di conseguenza, non esiste alcuna condanna per l'eccidio del 12-13 maggio.
Il 24 giugno 1949 il procuratore generale del Tribunale di Torino, Ciaccia, inviò al presidente della Camera dei Deputati Gronchi, per il tramite del ministro di Grazia e Giustizia Grassi, una domanda di autorizzazione a procedere in giudizio contro i deputati Moranino e Ortona, entrambi del Partito Comunista Italiano, in relazione all'eccidio. Il reato ipotizzato era quello di omicidio aggravato continuato. Il capo di imputazione faceva espresso riferimento ad una «soppressione in massa» effettuata «con crudeltà» di «51 miliziani fascisti» che «essendosi arresi alle forze della Resistenza avevano definitivamente cessato di costituire ostacolo o remora alla conclusione della lotta contro il fascismo».
Il 9 maggio 1961 infine, il giudice Giuseppe Ottello, presidente della Sezione Istruttoria della Corte d'Appello di Torino, prosciolse gli imputati coinvolti «per la natura politica del reato» ed emise una sentenza di non luogo a procedere anche nei confronti di Francesco Moranino, all'epoca ancora latitante, sia pure solamente per insufficienza di prove, revocando così il mandato di cattura emesso nei suoi confronti.
 

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