di Julius Evola.
Pubblichiamo di seguito una serie di scritti di Julius Evola in cui si evidenziano le concezioni del pensatore tradizionalista rispetto al problema "razza". Da un colloquio avuto con Mussolini nel 1941 emerge un'identità di vedute, nel senso di considerare la razza non più per il suo aspetto biologico, bensì come "qualità", "carattere", "disciplina" e "forma", in grado di evocare e ridestare un ben preciso stile. Anche in questo campo, dunque, contrariamente a quanto affermato dalle tesi propagandistiche degli avversari, il capo del Fascismo seguì una sua visione autonoma e antimaterialista. Per il primato di quei valori dello spirito che sono parte essenziale dell'Idea fascista.
Nel settembre 1941 fui chiamato a Palazzo Venezia. Non supponevo che Mussolini stesso volesse parlarmi. A Lui fui accompagnato da Pavolini che presenziò al nostro colloquio. Mussolini mi disse di avere letto la mia opera "Sintesi di dottrina della razza", edita da Hoepli, di approvarla e di vedere, nelle idee in essa esposte, la base per dar forma ad un razzismo fascista autonomo e antimaterialista. "E il libro che ci occorreva" disse testualmente.
Per rendersi conto della portata di queste dichiarazioni, occorre ricordare come le cose, in Italia, stessero col razzismo. Già parecchi mesi prima, Mussolini aveva creduto necessario prender posizione rispetto al problema della razza e allinearsi con l'alleato tedesco anche a tale riguardo. Il movente più immediato era stato la volontà di energizzare il sentimento di razza e di dignità di razza nei rapporti con gli indigeni nel nuovo Impero. Avevano poi agito informazioni precise circa l'atteggiamento antifascista dell'ebraismo internazionale e soprattutto nord-americano. Vi si univano problemi d'ordine interno, selettivo, culturale e etnico. Per cui, Mussolini aveva promosso la pubblicazione del cosiddetto "Manifesto del razzismo italiano", comprendente una decina di punti; si mise su una rivista, "Difesa della Razza" e successivamente si crearono due uffici-razza, uno alla Cultura popolare e l'altro agli Interni.
Purtroppo l'insieme presentava tratti poco soddisfacenti. Si è che per un'azione del genere mancava in Italia ogni precedente di seria preparazione e di studi specifici, e le idee razziste erano terra affatto incognita per gli "intellettuali" italiani. Così già il gruppo che aveva compilato il "Manifesto", e quello stesso dei collaboratori di "Difesa della razza", si presentava quanto mai eteroclito e raffazzonato. A qualche antropologo del vecchio indirizzo scientista, si univano giornalisti e letterati fattisi avanti per l'occasione e svegliatisi razzisti dall'oggi al domani. Per cui, l'impressione generale era quella di un dilettantismo ove troppo spesso la polemica spicciola e lo slogan tenevano il posto di una seria e unitaria dottrina: dottrina, che non avrebbe dovuto perdersi né nello specialismo biologista né nel volgare antisemitismo, ma presentarsi essenzialmente sul piano di una visione generale della vita, e agire come una idea politicamente ed eticamente formatrice. In buona parte, furono dei giudizi poco lusinghieri uditi all'estero sul rivolgimento razzista del fascismo che m'indussero ad applicarmi a tale materia. Dalle idee, di carattere tradizionale e aristocratico, cui io mi collegavo, mi detti a trarre tutto ciò che in sede di applicazione e deduzione particolare, poteva valere come una dottrina organica della razza. Furono prima articoli e saggi accolti in vari periodici fascisti, poi fu il libro già accennato.
La tesi centrale da me difesa era, in breve, questa: per l'uomo, il problema della razza non può porsi negli stessi termini, né avere lo stesso significato, che in un gatto o in un cavallo purosangue. L'uomo vero, infatti, oltre alla parte biologica e somatica, è anima e spirito. Quindi, un razzismo completo deve considerare tutti e tre questi termini: corpo, anima e spirito. Si avrà così un razzismo di primo grado, riguardante i problemi strettamente biologici, antropologici e eugenici; poi, un razzismo di secondo grado, riguardante la "razza dell'anima", cioè la forma del carattere e delle reazioni affettive; infine, come coronamento, la considerazione della "razza dello spirito", riguardante le supreme frontiere che in fatto di visione generale del mondo e dell'aldilà, del destino, della vita, dell'azione, insomma, di "valori supremi", differenziano e rendono disuguali gli uomini. L'ideale classico, razzisticamente interpretato, è l'armonia e l'unità di queste tre "razze" in un tipo superiore.
Mussolini approvò incondizionatamente siffatte vedute. La responsabilità di tanti memorialisti, che mettono senz'altro fra virgo-lette le parole testuali che il Duce avrebbe detto loro, non me la prenderò. Posso però rispondere senz'altro del senso di ciò che Mussolini mi disse, dimostrando una singolare preparazione. "La concezione del razzismo tripartito - disse dunque Mussolini - evita l'errore zoologistico e biologistico proprio a un certo razzismo germanico; in essa vi è posto per il primato di quei valori dello spirito, che fan parte essenziale della nostra tradizione e dell'idea fascista. Inoltre essa ha un alto valore politico. Voi avete messo in relazione i tre aspetti del problema della razza con le tre parti dell'essere umano, quali anche Aristotele le distinse. Ma un miglior riferimento sarebbe stato Platone (qui oso dire di ripetere proprio le parole di Mussolini), che, in più, quelle tre parti mette in relazione con tre strati del corpo sociale. Perché la razza del corpo corrisponde nello Stato alla mera massa, al demos, "che in sé non è nulla ma che è la forza con cui i dominatori agiscono" (parole testuali); la razza dell'anima può corrispondere ai "guerrieri" o "guardiani" di Platone, mentre alla razza dello Spirito potrebbe corrispondere l'apice, essa comprenderebbe i pensatori, i filosofi, gli artisti."
A dir vero, a questo punto, malgrado i segni allarmati che mi faceva l'amico Pavolini, mi permisi di interrompere Mussolini, dicendo: "Badate, Duce, che Platone i pensatori, i filosofi e gli artisti in senso moderno, li avrebbe messi al bando dal suo Stato. Sono invece i sapienti - sophoi - i quali rappresentano tutt'altra cosa, non degli "intellettuali", che Platone vedeva al vertice del suo Stato ideale".
"Ebbene, diciamo i sapienti", fece Mussolini sorridendo.
Il mito della Nuova Italia
Mentre la razza viene abitualmente considerata come un dato fisso, naturalistico e fatale, nel mio libro avevo sostenuto una concezione dinamica: razze nuove possono formarsi, altre mutare o tramontare per effetto di fattori interni, spirituali, ossia di ciò che avevo chiamato la "razza interna". Come esempio di ciò indicavo lo stesso tipo ebraico, derivato non da una razza pura originaria, ma plasmato da una tradizione millenaria; e oggi un tipo yankee sta sorgendo con tratti già abbastanza uniformi e caratteristici da un inverosimile miscuglio etnico, sotto la influenza di una data forma di civiltà, o di pseudociviltà, quale quella U.S.A. Mussolini nel nostro colloquio approvò incondizionatamente questa idea, come base di un "razzismo attivo" che andava incontro a compiti formativi, corrispondenti alla più alta aspirazione del fascismo. L'ideale era che - per opera di fattori interni, di precise discipline e di un'alta tensione ideale - prendesse via via forma e si stabilizzasse, dalla sostanza eterogenea del popolo italiano un tipo nuovo d'elite, la "razza dell'uomo fascista". Il Duce mi disse di esser convinto della profondità a cui possono giungere processi del genere; mi accennò di essere stato colpito dall'avere egli stesso riscontrato più di una volta, nella gioventù del Littorio e nella Milizia, un tipo nuovo non solo come atteggiamento ma, appunto, persine nei tratti fisici, somatici, quasi come effetto spontaneo di una selezione e formazione nel senso che io avevo detto. Un inizio, che purtroppo è stato stroncato. Col tracollo dell'Italia, non la nuova superrazza ma la sub-razza del popolo nostro doveva venire alla superficie e determinare le glorie della "liberazione" e del "secondo Risorgimento".
Il razzismo politico e spirituale abbisogna di un "mito", cioè di una idea-forza atta a cristallizzare le energie di un dato ambiente collettivo. Tale è appunto l'idea della razza superiore. Si sa che, nel riguardo, già da tempo era stato messo su il mito ario; cosa che, del resto, se intesa nei giusti termini, è assai più di un "mito". Infatti non dai soli razzisti vien riconosciuto che le antiche civiltà dell'India, dell'Iran, della Grecia, di Roma, e poi quella germanica, derivarono da ceppi di un'unica razza o superrazza primordiale preistorica, detta "aria", allo stesso modo che le rispettive lingue, religioni, concezioni del diritto ecc., denotano comuni radici. Naturalmente, il razzismo tedesco aveva cercato di volgere la cosa pro domo sua, considerando i ceppi nordico-germanici come gli eredi diretti della pura razza "aria" delle origini e ponendo l'idea nordico-aria al centro dell'azione politica e della visione nazionalsocialista della vita. Ma una tale pretesa mono-polizzatrice è priva di ogni serio fondamento. Partendo dalle stesse premesse, io avevo posto l'idea aria-romana come punto centrale di riferimento per il razzismo fascista: il riferimento andava a quelle forze che, differenziatesi dal comune ceppo ario, avevano dato alla romanità originaria e virile il suo volto. L'idea ario-romana, pur essendo parallela a quella nordico-aria, manteneva una sua autonomia e una sua propria dignità; cosa, l'una e l'altra, che potevano venir assicurate al nostro movimento, allontanando il sospetto di esser comunque succubi delle concezioni naziste, senza però perder quota rispetto ad esse, superandole anzi pel rifermento a valori e ad elementi di stile di una tradizione più augusta e universale.
Mussolini mi disse che anche questa parte del mio libro l'aveva particolarmente interessato. Un suo detto era già stato: "Sogniamo un'Italia romana". Si presentava ora la possibilità di concretizzare questa formula. Riprendere, fuor dalla retorica e dalle riesumazioni accademiche, l'idea ario-romana come forza formatrice, in primo luogo, di una visione generale della vita ("razza dello Spirito"), poi del carattere, di uno stile del comportamento ("razza dell'anima"), infine, se possibile, persine di un nuovo tipo somatico, fisico ("razza del corpo"), affinchè la stessa esteriorità riflettesse degnamente la razza interna; per contro, limitare e rettificare le componenti sospette del nostro popolo, denunciare le promiscuità "mediterranee" e le "fratellanze bastarde" (in tali termini Mussolini aveva già parlato della cosidetta "latinità") affiancandosi così anche spiritualmente agli eredi del Sacro Romano Impero - questo era il programma di massima del razzismo attivo che Mussolini veniva ad approvare. Come dottrina, nel nostro colloquio il Duce toccò anche problemi alquanto tecnici come quello dell'ereditarietà. Poi si parlò di alcune iniziative pratiche. Di esse dirò nel prossimo articolo. Ma qui vale accennare ad un punto particolare. Vi è della gente per la quale dire razzismo vorrebbe solo dire antisemitismo, campi di concentramento, camere a gas e simili. Ora, bisogna mettere in chiaro che di un razzismo serio l'antisemitismo non è che un capitolo particolare e subordinato, per nulla l'essenziale. Nella fattispecie, esiste certo un pericolo ebraico, ma esso bisogna sentirlo e individuarlo come un pericolo interno, oltre, e perfino più, che non come un pericolo esterno. Questo era un punto fondamentale nelle idee da me formulate: poco vale esser degli "arii" e di "razza pura" nel corpo e nel sangue ove si sia ebrei, levantini o giù di lì nello spirito e nel carattere, nella "razza ulteriore". Grave responsabilità, dunque, nel dirsi "arii", quando questa non debba essere una vuota e presuntuosa designazione. Così era data la possibilità di affrontare i problemi razziali fuor da ogni fanatismo e da ogni faziosità, guardando all'essenziale, dando ad ognuno il suo. Con l'approvare le mie formulazioni, Mussolini entrava in quest'ordine di idee, che avrebbe differenziato il razzismo fascista da quello nazista, negli aspetti estremistici e poco meditati di esso.
Sangue e Spirito
Dopo che Mussolini ebbe trattato gli argomenti accennati nei miei precedenti articoli, io gli dissi che l'approvazione da Lui data al mio inquadramento dei problemi razziali andava incontro a iniziative che avevo già preso all'estero, sotto la mia responsabilità. In effetti, da ambienti tedeschi, a cui da tempo ero legato, ero già stato invitato a tener conferenze ed esposizioni, e i problemi della razza erano fra i soggetti da me trattati. Ora, le mie formulazioni avevano destato un particolare interesse, e si vedeva nell'incontro del Mito ario-romano con quello nordicoario la base per una collaborazione in profondità, atta a cementare spiritualmente l'alleanza politica dell'Asse. Pertanto, si era parlato di fondare, a questo scopo, una nuova rivista italo-germanica. E la cosa interessava soprattutto gli amici tedeschi cui ho accennato, perché mentre da parte di un Tedesco certe necessarie critiche contro il razzismo biologista, materialista e violentemente nazionalista non sarebbero state tollerate, altrimenti potevano andare le cose ove fosse stato un Italiano a prender la parola.
Tutto ciò riferii dunque a Mussolini, e gli domandai se sulla base del suo apprezzamento più che lusinghiero, ero autorizzato a sviluppare tali iniziative e a presentare come espressioni ufficiali fasciste le mie formulazioni. Mussolini rispose senz'altro di sì. Così egli mi autorizzò a dare alla traduzione tedesca del mio libro, che si stava preparando, un crisma fascista (il titolo tedesco fu "Sintesi di dottrina fascista della razza" - Grundrisse der faschistischen Rassentehre (Runge Verlag, Berlino) e a farvi cenno della Sua alta approvazione.
Quanto alla progettata rivista, il cui titolo sarebbe stato: "Sangue e Spirito - rivista italo-germanica per i problemi della visione del mondo e della razza", Mussolini mi disse che, parimenti, egli l'approvava. Essa avrebbe potuto uscire nelle due lingue, per esser diffusa rispettivamente, a cura del partito fascista e di quello nazionalsocialista. Mussolini però volle che prima fossero fissati dei punti programmatici fondamentali, d'accordo con gli eventuali collaboratori italiani.
E qui prese inizio un lavoro alquanto ingrato, perché si trattava di tirar fuori elementi più o meno qualificati e di metterli d'accordo. Come capo dell'Ufficio razza della Cultura popolare, a un certo Guido Landra, razzista d'occasione, che dopo il 25 luglio doveva "smaterializzarsi", era fortunatamente succeduto uno dei fascisti più qualificati e preparati, ricco di relazioni internazionali, il dr. Alberto Luchini. E, d'accordo con lui, fu organizzata una serie di laboriose riunioni con elementi che, la cosa essendosi risaputa, subito si erano fatti avanti dai vari settori del fascismo (sarebbe piccante darne i nomi, per vedere che fine questi fascisti e razzisti oggi abbiano fatto). Alla fine si fissarono i desiderati punti programmatici. Li sottoposi personalmente a Mussolini. Egli li approvò per intero, dopo di che si trattava di andare a Berlino per un'analoga azione organizzatrice. Nella capitale tedesca ripresi contatto con Alfred Rosenberg, con Walter Cross ed altre personalità, e ci demmo a discutere i punti formulati e le direttive per la rivista. Senonché ad un dato momento seppi di alcuni passi dell'Ambasciata italiana che misero i miei amici in perplessità, tanto che, non potendo venire a qualcosa di impegnativo tornai a Roma. E qui venni a sapere di manovre sabotatrici sviluppatesi durante la mia assenza. Anzitutto vi era stata una levata di scudi da parte degli esponenti del primo "Manifesto razzista", da me in vari punti attaccato, i quali temevano di essere scalzati dalla nuova e più organica iniziativa. Poi vi era stata una manovra cattolica. Un certo professore trovò modo di farsi ricevere da Mussolini col pretesto di offrirgli alcuni volumi di archeologia cristiana. Ma in verità l'occasione fu sfruttata per dire al Duce della preoccupazioni destate negli ambienti cattolici dalle mie iniziative, dopo l'alta approvazione. Perché se i cattolici potevano anche tollerare una dottrina biologistica della razza avvertivano il pericolo insito nel porre il problema della razza sul piano dello spirito e nella revisione "aria" di tanti valori convenuti, di origine sospetta, presenti nelle stesse credenze e nella morale venute a predominare in Occidente. Il pericolo aumentava per la progettata, più stretta e ufficiale collaborazione con lo schieramento tedesco. Ma la persona in questione, con gesuitica diplomazia, ancor più che questo cercò di mettere in luce, tendenziosamente, gli aspetti secondo cui la dottrina della razza, coi suoi principi di selezione, di supremazia e differenza entro la stessa compagine di un popolo, poco si confaceva con le premesse di un nazionalismo di massa. E via di questo passo. Tutto ciò, io essendo assente, aveva destato in Mussolini una certa perplessità, di cui avevo avvertito il riflesso a Berlino. Chiesi spiegazioni e istruzioni, e la risposta fu di attendere. Intanto si poteva dar corso ad un'altra iniziativa da me proposta, tramite Luchini.
Si trattava di pubblicare un "Atlante della razza italiana", come risultato di una prima sistematica indagine. Naturalmente "razza italiana" è una espressione priva di senso. Le razze sono delle realtà elementari che non si identificano con un popolo, che in un popolo entrano in varie combinazioni, esercitando una influenza alterna, essendo dominati ora le une ed ora le altre. Si trattava di un primo saggio di tali componenti. In varie regioni d'Italia i prefetti dovevano segnalarci alcune famiglie tipiche e antiche, i cui esponenti avrebbero dovuto esseri esaminati da un'apposita commissione, presieduta da Luchini, con un dr. Rossi per il lato antropologico (razza del corpo), col titolare di psicologia sperimentale all'Università di Firenze e, in più, il noto prof. E L. Clauss di Berlino per la "razza dell'anima", e, infine con me stesso per quel che riguarda la "razza spirituale". I risultati sarebbero stati raccolti in una bella pubblicazione, riccamente illustrata con fotografìe espressive per i tipi più significativi che avessimo incontrato nella nostra ricerca, e soprattutto per quelli in cui ancora si conservasse il tipo superiore, originario, "ario-romano" della nostra stirpe Tutto era stato già preparato. Purtroppo nel frattempo gli eventi precipitarono, tutte le energie dovettero esser raccolte verso più urgenti compiti ed un rivolgimento, che avrebbe potuto avere, nello sviluppo del fascismo, un significato da non sottovalutare, non ebbe seguito. Tuttavia è bene che di esso si sappia, donde la ragione di questi articoli retrospettivi.
Ancora due parole per un fatto personale. Dopo che Mussolini mi parlò in così alti, inaspettati termini circa il mio libro, disse a Pavolini di segnalarlo alla stampa, perché voleva aver un senso dell'impressione che avrebbe suscitato. Così fu mandata ai giornali una delle ben note "veline"; ma di esse negli ultimi tempi se ne ricevevano tante, che poco caso se ne faceva; e gli "intellettuali" italiani erano quasi tutti d'accordo nel sabotare idee comunque "razziste" - pour cause. Cosi sulla "grande stampa" di articoli sul mio libro non ne uscirono che pochi. Ciò irritò Mussolini, che ordinò una più perentoria segnalazione. Ne seguì, naturalmente, una pioggia d'articoli, e, si capisce, tutti laudativi. Per tal via il mio nome acquistò una notorietà che, se mai, per ben altri libri esso avrebbe meritata. Così è unicamente come "razzista" che molti mi conobbero, e la cosa ancora perdura. Ma, come ho detto, di razzismo io non mi sono occupato che in via accidentale, in sede di deduzione da un più vasto insieme di idee politiche tradizionali, e con l'intento di prevenire deviazioni già visibili in tale dominio, così in Italia come in Germania.
Razzismo e altri "orrori" (compreso il Ghibellinismo)
Da un episodio recente, di carattere personale, prendo solo lo spunto per un chiarimento di alcune idee che, forse, sarà utile per chi, negli ambienti di Destra, non s'interessi soltanto ai problemi relativi alle forme più contingenti della lotta politica. L'episodio è questo. A Roma, una organizzazione del MSI aveva pensato a dedicare una conferenza alle idee da me difese. In ciò vi era anche una specie di punto d'onore, pel fatto che poco prima un circolo culturale romano facente capo a persona non fascista e non "ariana", si era interessato, in una tornata, alla presentazione e diffusione di uno dei miei più recenti libri. Ebbene, all'ultimo momento la conferenza del MSI è stata "bloccata". Qualcuno aveva fatto presente il pericolo che essa rappresentava pel Partito, dato che io sarei un "razzista" e un nemico della Chiesa. E strano che coteste etichette che finora erano state usate solo da parte antifascista al fine di una congiura del silenzio e di uno ostracismo contro la mia attività in generale, abbiano trovato credito anche presso degli elementi del MSI, che evidentemente non hanno nessuna esatta conoscenza delle dottrine su cui ho scritto e che si sono limitati a raccogliere delle dicerie, senza darsi alcuna pena per controllarle. Trattandosi poi di persone che professano un incondizionata fedeltà per Mussolini, è anche strano che non sappiano che Mussolini ebbe ad approvare le idee che più sembrano impaurirle, e dette ad esse una specie di crisma essendo d'accordo che il mio libro "Sintesi di dottrina della razza" recasse nella edizione tedesca, in più, il termine "fascista", intitolandosi dunque: "Sintesi di dottrina fascista della razza". Ciò a parte, v'è anzitutto da rilevare che la parte essenziale delle idee da me difese non ha a che fare con quegli orientamenti, ed è essa che in prima linea dovrebbe essere presa in considerazione; e, poi, che sta di fatto che da dopo la guerra io non ho ripreso in alcun modo problemi riguardanti la razza o la polemica con le concezioni cattoliche: non perché io rinneghi qualcosa, ma perché, data la mutata situazione, di essi ho riconosciuto l'inattualità, secondo quel che dirò più giù. Non è certo colpa mia se alcuni giovani hanno fatto un uso arbitrario, confuso e poco serio di alcune idee dei miei libri, scambiando piani molto diversi. Su questa base, un giornale milanese giunse perfino a concepire un qualche rapporto fra quelle idee e un attentato privo di senso all'Arcivescovato, allo stesso modo che la polizia romana nel processo dei FAR (1951) aveva visto in me il "personaggio malefico e tenebroso" ( sic ) che stava dietro al complotto "fascista" da essa fantasticato. Anche recentemente dei giovani hanno ristampato un mio opuscolo, "Orientamenti", senza esserne in alcun modo autorizzati, mettendovi un "ghibellino" e la data della nascita di Roma al posto di quella dell'era volgare (tratto fanciullesco). Cose del genere, che non è in mio potere impedire, sono le uniche che possono eventualmente spiegare, ma per nulla giustificare, le accennate angoscie. Dico "per nulla giustificare", perché, ripeto, può arrestarsi a tanto solo chi, a differenza di quei più autorevoli amici che già ebbero ripetutamente ad invitarmi a collaborare a fogli ufficiali o fiancheggiatori del MSI, nessuna pena si è presa per conoscere ciò che effettivamente mi si può, oggi, attribuire.
Con questo, chiudo il fatto personale. Il quale, dunque, qui servirà unicamente di occasione per una messa a punto riguardante alcune idee prese in se stesse: cosa non inopportuna, perché oggi fra i "neofascisti" non manca chi, anche senza rendersene conto, fa proprie le parole d'ordine dei nuovi tempi democratici, pensa per esempio che il rivolgimento "razzista" nel fascismo sia stato una triste cosa che è bene passare sotto silenzio, e che oggi ci si debba tenere ad una linea di conformismo quasi da parrocchia, ben guardandosi dal mettere in discussione in una qualunque sede le idee e le pretese del clericalismo. Il che, non direi che sia indice di eccessivo coraggio intellettuale e politico. Comunque, veniamo al merito. Circa il "razzismo", e cosa stupida, quanto oggi corrente, farne un semplice sinonimo di antisemitismo, di Buchenwald, di camere a gas e di tutto il resto che è stato propinato dalla propaganda alleata con largo impiego di esagerazioni e perfino di falsi. Dal punto di vista politico Mussolini prese posizione contro l'ebraismo non per ricopiare passivamente l'esempio tedesco, ma semplicemente perché vi fu costretto: in base a precise informazioni circa l'atteggiamento aggressivamente antifascista che caratterizzava senza eccezione e sempre più l'ebraismo internazionale. Ma assai prima Mussolini aveva riconosciuto la parte che l'ebraismo ha nella finanza e nella vita dei paesi democratici, specie negli Stati Uniti, e ne aveva denunciato il pericolo. Che le cose oggi non siano cambiate, ma al contrario, ognuno può vederlo. La documentazione precisa e inconfutabile che Giovanni Preziosi, collaboratore fedelissimo di Mussolini, aveva raccolto, oggi potrebbe essere moltiplicata, se in base alle parole d'ordine correnti non vigesse un veto sull'argomento. Per non andar lontano, in ordine ad un dominio particolare, basterà rileggere, per esempio, l'ottimo articolo sul cinema americano uscito nel precedente fascicolo di questa stessa rivista.
Ciò, circa l'atteggiamento di Mussolini sul piano politico, con riferimento agli ebrei veri e propri. Per quel che mi riguarda, non è su questa linea (di cui purtuttavia riconoscevo la legittimità, pur condannando ogni eccesso) che ho svolto la mia attività. La teoria della razza da me formulata e che Mussolini approvò, intendeva superare il razzismo biologico, materialistico, facendo valere, oltre la razza del corpo, la razza dell'anima e dello spirito, facendo anzi cadere l'accento su di queste: non importa tanto la razza fisica quanto quella intcriore, che può non corrispondere affatto alla prima, dati i processi irreversibili di mescolanza etnica verificatesi in ogni popolo attraverso i secoli. Su tale base, 1 '"ebraicità" e l'"aria-nità" dovevano essere definite anzitutto come due modi d'essere, in sé e per sé, in universale, dunque a prescindere dal loro più o meno prevalente manifestarsi nell'una o nell'altra razza, jiell'u-no o nell'altro individuo. È facile vedere la portata di questo punto di vista, il quale permetteva, e permette, di togliere al concetto di razza ogni unilateralità, e, nello stesso tempo, di estendere la difesa dei valori superiori a noi propri, l'attacco contro valori inferiori o estranei. Infatti, in tale quadro, la qualità "ebrea" deve essere combattuta, nei suoi lati negativi, dovunque essa si trovi, indipendentemente dal sangue, si manifesti, essa, anche neh""ariano", anzi qui più che mai. Ora, se dopo il crollo provocato dall'ultima guerra, io mi sono astenuto dal riprendere la polemica antiebraica, una delle principali ragioni di ciò sta nel fatto che, purtroppo, quel che si può condannare nell'ebreo come carattere e mentalità, oggi lo vediamo prorompere dappertutto: e se per l'ebreo può esservi eventualmente la scusa, che un tale comportamento è dovuto all'eredità, tale scusa manca del tutto nel caso di quegli "ariani" o cristiani che oggi come carattere e come "razza interna" danno prova di un ebraismo al 100%. Così oggi non sarebbe onesto insistere su certe posizioni e denominazioni. E contro tutto un modo di essere che ci si dovrebbe schierare, ma purtroppo con ben scarse prospettive di venir a capo di qualcosa, dato il clima generale, il "razzismo" di Mussolini ebbe un secondo aspetto, non riguardante più il problema ebraico ma la difesa del prestigio della razza bianca nei confronti dei popoli di colore, cosa che assumeva un carattere particolare di attualità dopo la creazione dell'Impero africano. In ciò Mussolini seguì semplicemente la linea praticata da tempo adottata da tutti coloro che ebbero a cuore l'egemonia europea, anche senza sbandiera-menti "razzisti": a partire dall'Inghilterra. Oggi che molti "bianchi" con una specie di masochismo, nel segno della democrazia e dell'umanitarismo si rallegrano dell'emancipazione e dell'insorgenza minacciosa dei popoli di colore e del tramonto definitivo del prestigio europeo, le cose possono stare altrimenti. Ci si potrà mettere sulla stessa linea di quegli americani irresponsabili che s'inteneriscono pel "povero negro", che esaltano le promiscuità inter-razziali, che non trovano troppo da ridire se le ragazze bianche vanno a letto e procreano con negri, in attesa che al negro USA si sostituisca il Mau-Mau o addirittura l'australiano. In tutto ciò, è semplice quistione di "razza interna" (si vede bene quanto utile sia tale concetto), di un collasso della razza interna e di ogni corrispondente sensibilità. Non credo che gli amici del MSI se la sentano di seguire questa linea, in omaggio al principio della universale eguaglianza sia degli individui che delle razze, e che quindi sia il caso di vergognarsi anche di questo secondo aspetto del "razzismo" (se così piace chiamarlo) di Mussolini. Ancor meno credo che di ciò possa essere il caso nei riguardi un terzo e ultimo aspetto del "razzismo" mussoliniano, che era l'aspetto positivo, creativo. Non si trattava soltanto di difendersi da influenze negative, di porre delle barriere protettive, non si trattava dunque più di ebrei e dell'ebraismo internazionale, di meticci, o di popoli di colore, bensì di tutto ciò che in Italia attraverso misure precise poteva modellare e potenziare un tipo umano superiore (superiore sia spiritualmente che, se possibile, tìsicamente, il più alto ideale non potendo non includere l'una e l'altra cosa), il quale avrebbe dovuto costituire la spina dorsale esistenziale dello Stato fascista e assicurare la continuità del movimento fascista nel futuro. Questo "razzismo" positivo equivaleva insomma alla creazione dell'Italiano nuovo, del fascista non come il semplice "inscritto al partito" indossatore di camicia nera e esaltatore del Duce, bensì come un tipo umano ben differenziato, pel quale avrebbero dovuto essere decisive non tanto le qualità generiche, spesso senz'altro negative, dell"'italia-no", bensì, tendenzialmente, quelle del più alto tipo romano: qualità affini, peraltro, a quelle presentate anche, nelle origini, da altre civiltà dello stesso ceppo, cioè di ceppo indoeuropeo, o "ario" che dir si voglia. In questo quadro, Mussolini approvò assolutamente le idee che avevo cercato di formulare, con l'intento di creare una controparte originale a quel che in Germania si cercava di fare, basandosi però sul tipo "nordico" come punto di riferimento per l'azione formativa all'interno della sostanza nazionale. Ora, non si dovrebbe forse riconoscere nel fatto, che un processo formatore di "razza" in tale senso qualitativo in Italia non ebbe luogo o fu sincopato dalla catastrofe militare, sta la ragione principale del pauroso cedimento del popolo italiano e dell'attuale livello sociale, politico e morale della nostra nazione? Credo pertanto che vi sarebbe poco da ridire se qualcuno, di là da qualsiasi attivismo politico spicciolo, oggi riprendesse esigenze del genere, riconoscendo l'essenziale per un qualsiasi risollevamento la formazione rigorosa di un italiano nuovo, di un nuovo carattere, pur senza farsi illusioni - anche qui -circa ciò che praticamente si può raggiungere.
E con questo si può far punto, per quel che riguarda il "razzismo". Per non irritare nessuno, non aggiungerò che, psicanaliticamente, chi reagisce oltre misura, quasi istericamente, non appena sente pronunciare quella parola, con ciò stesso da prova che la sua razza - o fisica o interna - è poco in ordine.
Ed ora, qualche parola sul "ghi-bellinismo" e sull'attitudine di fronte a Chiesa e a cristianesimo. Nel 1927 uscì un mio libro, "Imperialismo pagano", che oggi in nessun modo permetterei che si ristampasse. Si era prima del Concordato, e il problema in esso posto era il seguente: il fascismo aveva ripreso il simbolo romano, ne aveva fatto il punto di riferimento sia per una nuova idea dello Stato e dell'autorità che per un nuovo stile di vita. Ora, se con tutto ciò non ci si voleva arrestare alla superficie, si poteva prescindere dai presupposti spirituali dell'antica romanità, e si poteva ignorare il contrasto fondamentale che esistette fra la visione romana antica della vita e quella cristiana? Non si sarebbero dovute rimettere in discussione non poche delle idee che nel cristianesimo non sono di origine romana o comunque "aria" (indoeuropea) malgrado il loro essere state assorbite dalla successiva umanità occidentale? Ed anche nei riguardi politici si poteva ignorare che la ripresa dell'idea romana quale si verificò nel Medioevo col Sacro Romano Impero, portò necessariamente ad un conflitto con la Chiesa, al "ghibellinismo", per ragioni assai più profonde di quelle che i più suppongono?
Proprio perché quel libro toccava problemi vivi e scottanti, ed ebbe risuonanze anche all'estero, esso provocò una generale allarmata levata di scudi negli ambienti guelfi e conformisti italiani. Ma presto si dovette constatare che praticamente non v'era nulla da fare. Quegli esponenti del fascismo che in un primo momento mi avevano appoggiato, di fronte al baccano, mi lasciarono in asso (fra di essi vi era Bottai, che in tale congiuntura dette prova della stessa "fedeltà" che doveva dimostrare nel 25 luglio); con Mussolini, a quel tempo, non potei avere contatti diretti, e, infine, apparve che di persone qualificate e dotate di sufficiente autorità e di sufficiente coraggio per seguire una tale linea, non ve n'erano. La partita fu chiusa.
Tutto questo, dunque, nel lontano 1927. Dopo di allora, non credetti opportuno sollevare problemi del genere, né nella rivista che diressi "La Torre" (1930), né nei molti anni di collaborazione con Roberto Farinacci: è il concetto universale di Tradizione, che fu invece messo in primo piano. Anzi non esitai a prender posizione di fronte ad alcuni orientamenti problematici del "paganesimo" nazista. In una conferenza stampa a Vienna nel 1936 ebbi per esempio a dichiarare che rivolgimenti del genere erano tali da indurre a divenir cattolici perfino chi avesse avuto le migliori disposizioni "pagane". E in più di un ambiente, in Germania la mia opera principale, "Rivolta contro il mondo moderno", uscita anche in tedesco, valse proprio come punto di riferimento per rimettere diverse cose a posto, dal punto di vista tradizionale.
Tanto più ciò vale per questo dopoguerra italiano. Se si vuole sapere quale siano le mie idee, data l'attuale situazione, occorre rifarsi al mio libro "Gli uomini e le rovine", uscito nel 1951 con una presentazione del comandante Valerio Borghese, scritto con l'intento di fornire un orientamento essenziale per un eventuale schieramento di pura Destra: non già a scritti di un precedente periodo, che avevano in vista circostanze diverse, o a libri di carattere tecnico e specialistico, e estranei al campo politico.
Ne "Gli uomini e le rovine" le cose vengono chiarite anche nei riguardi del "ghibellinismo". Qui mi limiterò a ripetere, che oggi un tale termine è fonte di equivoco, perché, con una interpretazione illegittima, esso è stato applicato ad una affermazione dell'idea politica o dello Stato in quadri laici, liberal-massonici se non pure materialistici e antireligiosi. Nulla di simile appartiene alla linea che, se le circostanze fossero diverse, si dovrebbe difendere. Il riconoscimento di valori spirituali, sacrali e trascendenti (nell'accezione più rigorosa di tali termini) di contro a tutte le idee dei filosofi "immanentistici" d'estrazione più o meno liberale, Gentile e Croce compresi, contro tutte le istanze massoniche e repubblicane dovrebbe essere il punto di partenza e la base del vero Stato: il quale solo a tale stregua e, propriamente, solo perché quei valori li assume in una diversa, ma non meno legittima forma, escludente tutto ciò che può pregiudicare una concezione affermativa, virile e ben differenziata dell'esistenza, potrebbe contrapporsi alla Chiesa, contestarle il diritto di essere l'arbitra suprema nel campo dello spirito e dell'etica, limitarne le pretese egemonistiche e le indebite interferenze.
Tale sarebbe lo sfondo serio di un eventuale "ghibellinismo". Ma, di nuovo, con questi chiari di luna un assunto del genere appare del tutto utopico. Se prima non si risolve il problema puramente politico, cioè quello della ricostruzione del vero Stato (la quale presuppone il trionfo di una pura Destra contro ogni democrazia e ogni marxismo) è inutile puntare così in alto ed affrontare problemi spirituali e trascendenti. Può restare solo un "ghibellinismo" approssimativo, di modesto formato: perfino nell'attuale clima democratico, contrapporsi a interventi clericali e guelfi troppo sfacciati nel campo della politica, non ignorare, è vero, il peso che in Italia hanno il cattolicesimo e il cristianesimo come forze sociali, senza però illudersi quanto alla palese discesa di livello di essi quali potenze spirituali: essendo sempre più evidente che nel cattolicesimo di oggi i valori veramente spirituali - quelli della pura trascendenza, dell'ascesi, della contemplazione -hanno sempre meno rilievo di fronte alle preoccupazioni mora-listiche e puramente devozionali, mentre, a parte qualche saltuaria presa di posizione di contro a collusioni proprio sfacciate con le sinistre, appare sempre meno probabile un risoluto ragioni intrin-seche, sia perché nel mondo d'oggi non v'è nessun blocco di forze a cui tale atteggiamento potesse fare da crisma e che ad esso potesse offrire, nel contempo, una base concreta.
Di ghibellinismo in senso proprio oggi dunque non è il caso di parlare. I problemi superiori intorno alla visione del mondo, alle varie forme della Tradizione, alla filosofia della storia, possono essere proposti soltanto a dei gruppi di studiosi: non ad un qualche partito esistente. Desiderabile e possibile sarebbe però una certa linea di distacco e di dignità. Non diremmo che valga proprio la pena di darsi a premure e a profusioni di affetto nei riguardi della Chiesa e fare il gioco del cattolicesimo politico guelfo in nome non della Tradizione in senso superiore e severo, bensì di un mero generico "tradizionalismo" sinonimo, da noi, di conformismo, di mediocrità borghese, di bigotteria, di piccola morale al posto della grande morale, e via dicendo. Tutto ciò, non lo nego, potrà anche avere un suo peso sul piano elettorale, forse anche su di un piano di tattiche spicciole parlamentari. Ma dubito assai che ci si possa mettere su di un piede di efficace, vittoriosa concorrenza, rifacendosi a tanto, data l'opera di accaparramento che in vasti strati del popolo e della borghesia italiani, su questa stessa base, la democrazia cristiana ha da tempo organizzato con potenti mezzi. Questo, quanto a mia opinione personale.
Ciò basterà per chiarire l'essenziale nei riguardi degli argomenti trattati e per far vedere che dei complessi d'angoscia, a tale proposito, possono nascere solo in chi non sa di che si tratti perché è male informato ovvero perché ha l'una o l'altra ragione per cambiare le carte in tavola. Infine, che dei travisamenti siano avvenuti, sporadicamente, spesso in buona fede, in base ad "atteggiamenti" giovanili poco meditati e lontani da un qualsiasi senso della realtà, ciò non dovrebbe pregiudicare il significato intrinseco che, in sé stesso, dovrebbero avere alcune linee di pensiero agli occhi di coloro i cui interessi non si esauriscono nel campo delle cose immediate e vicine, sempreché di tali persone ne esista una quantità degna di nota. Per tempi migliori (se verranno), alcune posizioni fondamentali è bene che non siano del tutto abbandonate.
Pubblichiamo di seguito una serie di scritti di Julius Evola in cui si evidenziano le concezioni del pensatore tradizionalista rispetto al problema "razza". Da un colloquio avuto con Mussolini nel 1941 emerge un'identità di vedute, nel senso di considerare la razza non più per il suo aspetto biologico, bensì come "qualità", "carattere", "disciplina" e "forma", in grado di evocare e ridestare un ben preciso stile. Anche in questo campo, dunque, contrariamente a quanto affermato dalle tesi propagandistiche degli avversari, il capo del Fascismo seguì una sua visione autonoma e antimaterialista. Per il primato di quei valori dello spirito che sono parte essenziale dell'Idea fascista.
Nel settembre 1941 fui chiamato a Palazzo Venezia. Non supponevo che Mussolini stesso volesse parlarmi. A Lui fui accompagnato da Pavolini che presenziò al nostro colloquio. Mussolini mi disse di avere letto la mia opera "Sintesi di dottrina della razza", edita da Hoepli, di approvarla e di vedere, nelle idee in essa esposte, la base per dar forma ad un razzismo fascista autonomo e antimaterialista. "E il libro che ci occorreva" disse testualmente.
Per rendersi conto della portata di queste dichiarazioni, occorre ricordare come le cose, in Italia, stessero col razzismo. Già parecchi mesi prima, Mussolini aveva creduto necessario prender posizione rispetto al problema della razza e allinearsi con l'alleato tedesco anche a tale riguardo. Il movente più immediato era stato la volontà di energizzare il sentimento di razza e di dignità di razza nei rapporti con gli indigeni nel nuovo Impero. Avevano poi agito informazioni precise circa l'atteggiamento antifascista dell'ebraismo internazionale e soprattutto nord-americano. Vi si univano problemi d'ordine interno, selettivo, culturale e etnico. Per cui, Mussolini aveva promosso la pubblicazione del cosiddetto "Manifesto del razzismo italiano", comprendente una decina di punti; si mise su una rivista, "Difesa della Razza" e successivamente si crearono due uffici-razza, uno alla Cultura popolare e l'altro agli Interni.
Purtroppo l'insieme presentava tratti poco soddisfacenti. Si è che per un'azione del genere mancava in Italia ogni precedente di seria preparazione e di studi specifici, e le idee razziste erano terra affatto incognita per gli "intellettuali" italiani. Così già il gruppo che aveva compilato il "Manifesto", e quello stesso dei collaboratori di "Difesa della razza", si presentava quanto mai eteroclito e raffazzonato. A qualche antropologo del vecchio indirizzo scientista, si univano giornalisti e letterati fattisi avanti per l'occasione e svegliatisi razzisti dall'oggi al domani. Per cui, l'impressione generale era quella di un dilettantismo ove troppo spesso la polemica spicciola e lo slogan tenevano il posto di una seria e unitaria dottrina: dottrina, che non avrebbe dovuto perdersi né nello specialismo biologista né nel volgare antisemitismo, ma presentarsi essenzialmente sul piano di una visione generale della vita, e agire come una idea politicamente ed eticamente formatrice. In buona parte, furono dei giudizi poco lusinghieri uditi all'estero sul rivolgimento razzista del fascismo che m'indussero ad applicarmi a tale materia. Dalle idee, di carattere tradizionale e aristocratico, cui io mi collegavo, mi detti a trarre tutto ciò che in sede di applicazione e deduzione particolare, poteva valere come una dottrina organica della razza. Furono prima articoli e saggi accolti in vari periodici fascisti, poi fu il libro già accennato.
La tesi centrale da me difesa era, in breve, questa: per l'uomo, il problema della razza non può porsi negli stessi termini, né avere lo stesso significato, che in un gatto o in un cavallo purosangue. L'uomo vero, infatti, oltre alla parte biologica e somatica, è anima e spirito. Quindi, un razzismo completo deve considerare tutti e tre questi termini: corpo, anima e spirito. Si avrà così un razzismo di primo grado, riguardante i problemi strettamente biologici, antropologici e eugenici; poi, un razzismo di secondo grado, riguardante la "razza dell'anima", cioè la forma del carattere e delle reazioni affettive; infine, come coronamento, la considerazione della "razza dello spirito", riguardante le supreme frontiere che in fatto di visione generale del mondo e dell'aldilà, del destino, della vita, dell'azione, insomma, di "valori supremi", differenziano e rendono disuguali gli uomini. L'ideale classico, razzisticamente interpretato, è l'armonia e l'unità di queste tre "razze" in un tipo superiore.
Mussolini approvò incondizionatamente siffatte vedute. La responsabilità di tanti memorialisti, che mettono senz'altro fra virgo-lette le parole testuali che il Duce avrebbe detto loro, non me la prenderò. Posso però rispondere senz'altro del senso di ciò che Mussolini mi disse, dimostrando una singolare preparazione. "La concezione del razzismo tripartito - disse dunque Mussolini - evita l'errore zoologistico e biologistico proprio a un certo razzismo germanico; in essa vi è posto per il primato di quei valori dello spirito, che fan parte essenziale della nostra tradizione e dell'idea fascista. Inoltre essa ha un alto valore politico. Voi avete messo in relazione i tre aspetti del problema della razza con le tre parti dell'essere umano, quali anche Aristotele le distinse. Ma un miglior riferimento sarebbe stato Platone (qui oso dire di ripetere proprio le parole di Mussolini), che, in più, quelle tre parti mette in relazione con tre strati del corpo sociale. Perché la razza del corpo corrisponde nello Stato alla mera massa, al demos, "che in sé non è nulla ma che è la forza con cui i dominatori agiscono" (parole testuali); la razza dell'anima può corrispondere ai "guerrieri" o "guardiani" di Platone, mentre alla razza dello Spirito potrebbe corrispondere l'apice, essa comprenderebbe i pensatori, i filosofi, gli artisti."
A dir vero, a questo punto, malgrado i segni allarmati che mi faceva l'amico Pavolini, mi permisi di interrompere Mussolini, dicendo: "Badate, Duce, che Platone i pensatori, i filosofi e gli artisti in senso moderno, li avrebbe messi al bando dal suo Stato. Sono invece i sapienti - sophoi - i quali rappresentano tutt'altra cosa, non degli "intellettuali", che Platone vedeva al vertice del suo Stato ideale".
"Ebbene, diciamo i sapienti", fece Mussolini sorridendo.
Il mito della Nuova Italia
Mentre la razza viene abitualmente considerata come un dato fisso, naturalistico e fatale, nel mio libro avevo sostenuto una concezione dinamica: razze nuove possono formarsi, altre mutare o tramontare per effetto di fattori interni, spirituali, ossia di ciò che avevo chiamato la "razza interna". Come esempio di ciò indicavo lo stesso tipo ebraico, derivato non da una razza pura originaria, ma plasmato da una tradizione millenaria; e oggi un tipo yankee sta sorgendo con tratti già abbastanza uniformi e caratteristici da un inverosimile miscuglio etnico, sotto la influenza di una data forma di civiltà, o di pseudociviltà, quale quella U.S.A. Mussolini nel nostro colloquio approvò incondizionatamente questa idea, come base di un "razzismo attivo" che andava incontro a compiti formativi, corrispondenti alla più alta aspirazione del fascismo. L'ideale era che - per opera di fattori interni, di precise discipline e di un'alta tensione ideale - prendesse via via forma e si stabilizzasse, dalla sostanza eterogenea del popolo italiano un tipo nuovo d'elite, la "razza dell'uomo fascista". Il Duce mi disse di esser convinto della profondità a cui possono giungere processi del genere; mi accennò di essere stato colpito dall'avere egli stesso riscontrato più di una volta, nella gioventù del Littorio e nella Milizia, un tipo nuovo non solo come atteggiamento ma, appunto, persine nei tratti fisici, somatici, quasi come effetto spontaneo di una selezione e formazione nel senso che io avevo detto. Un inizio, che purtroppo è stato stroncato. Col tracollo dell'Italia, non la nuova superrazza ma la sub-razza del popolo nostro doveva venire alla superficie e determinare le glorie della "liberazione" e del "secondo Risorgimento".
Il razzismo politico e spirituale abbisogna di un "mito", cioè di una idea-forza atta a cristallizzare le energie di un dato ambiente collettivo. Tale è appunto l'idea della razza superiore. Si sa che, nel riguardo, già da tempo era stato messo su il mito ario; cosa che, del resto, se intesa nei giusti termini, è assai più di un "mito". Infatti non dai soli razzisti vien riconosciuto che le antiche civiltà dell'India, dell'Iran, della Grecia, di Roma, e poi quella germanica, derivarono da ceppi di un'unica razza o superrazza primordiale preistorica, detta "aria", allo stesso modo che le rispettive lingue, religioni, concezioni del diritto ecc., denotano comuni radici. Naturalmente, il razzismo tedesco aveva cercato di volgere la cosa pro domo sua, considerando i ceppi nordico-germanici come gli eredi diretti della pura razza "aria" delle origini e ponendo l'idea nordico-aria al centro dell'azione politica e della visione nazionalsocialista della vita. Ma una tale pretesa mono-polizzatrice è priva di ogni serio fondamento. Partendo dalle stesse premesse, io avevo posto l'idea aria-romana come punto centrale di riferimento per il razzismo fascista: il riferimento andava a quelle forze che, differenziatesi dal comune ceppo ario, avevano dato alla romanità originaria e virile il suo volto. L'idea ario-romana, pur essendo parallela a quella nordico-aria, manteneva una sua autonomia e una sua propria dignità; cosa, l'una e l'altra, che potevano venir assicurate al nostro movimento, allontanando il sospetto di esser comunque succubi delle concezioni naziste, senza però perder quota rispetto ad esse, superandole anzi pel rifermento a valori e ad elementi di stile di una tradizione più augusta e universale.
Mussolini mi disse che anche questa parte del mio libro l'aveva particolarmente interessato. Un suo detto era già stato: "Sogniamo un'Italia romana". Si presentava ora la possibilità di concretizzare questa formula. Riprendere, fuor dalla retorica e dalle riesumazioni accademiche, l'idea ario-romana come forza formatrice, in primo luogo, di una visione generale della vita ("razza dello Spirito"), poi del carattere, di uno stile del comportamento ("razza dell'anima"), infine, se possibile, persine di un nuovo tipo somatico, fisico ("razza del corpo"), affinchè la stessa esteriorità riflettesse degnamente la razza interna; per contro, limitare e rettificare le componenti sospette del nostro popolo, denunciare le promiscuità "mediterranee" e le "fratellanze bastarde" (in tali termini Mussolini aveva già parlato della cosidetta "latinità") affiancandosi così anche spiritualmente agli eredi del Sacro Romano Impero - questo era il programma di massima del razzismo attivo che Mussolini veniva ad approvare. Come dottrina, nel nostro colloquio il Duce toccò anche problemi alquanto tecnici come quello dell'ereditarietà. Poi si parlò di alcune iniziative pratiche. Di esse dirò nel prossimo articolo. Ma qui vale accennare ad un punto particolare. Vi è della gente per la quale dire razzismo vorrebbe solo dire antisemitismo, campi di concentramento, camere a gas e simili. Ora, bisogna mettere in chiaro che di un razzismo serio l'antisemitismo non è che un capitolo particolare e subordinato, per nulla l'essenziale. Nella fattispecie, esiste certo un pericolo ebraico, ma esso bisogna sentirlo e individuarlo come un pericolo interno, oltre, e perfino più, che non come un pericolo esterno. Questo era un punto fondamentale nelle idee da me formulate: poco vale esser degli "arii" e di "razza pura" nel corpo e nel sangue ove si sia ebrei, levantini o giù di lì nello spirito e nel carattere, nella "razza ulteriore". Grave responsabilità, dunque, nel dirsi "arii", quando questa non debba essere una vuota e presuntuosa designazione. Così era data la possibilità di affrontare i problemi razziali fuor da ogni fanatismo e da ogni faziosità, guardando all'essenziale, dando ad ognuno il suo. Con l'approvare le mie formulazioni, Mussolini entrava in quest'ordine di idee, che avrebbe differenziato il razzismo fascista da quello nazista, negli aspetti estremistici e poco meditati di esso.
Sangue e Spirito
Dopo che Mussolini ebbe trattato gli argomenti accennati nei miei precedenti articoli, io gli dissi che l'approvazione da Lui data al mio inquadramento dei problemi razziali andava incontro a iniziative che avevo già preso all'estero, sotto la mia responsabilità. In effetti, da ambienti tedeschi, a cui da tempo ero legato, ero già stato invitato a tener conferenze ed esposizioni, e i problemi della razza erano fra i soggetti da me trattati. Ora, le mie formulazioni avevano destato un particolare interesse, e si vedeva nell'incontro del Mito ario-romano con quello nordicoario la base per una collaborazione in profondità, atta a cementare spiritualmente l'alleanza politica dell'Asse. Pertanto, si era parlato di fondare, a questo scopo, una nuova rivista italo-germanica. E la cosa interessava soprattutto gli amici tedeschi cui ho accennato, perché mentre da parte di un Tedesco certe necessarie critiche contro il razzismo biologista, materialista e violentemente nazionalista non sarebbero state tollerate, altrimenti potevano andare le cose ove fosse stato un Italiano a prender la parola.
Tutto ciò riferii dunque a Mussolini, e gli domandai se sulla base del suo apprezzamento più che lusinghiero, ero autorizzato a sviluppare tali iniziative e a presentare come espressioni ufficiali fasciste le mie formulazioni. Mussolini rispose senz'altro di sì. Così egli mi autorizzò a dare alla traduzione tedesca del mio libro, che si stava preparando, un crisma fascista (il titolo tedesco fu "Sintesi di dottrina fascista della razza" - Grundrisse der faschistischen Rassentehre (Runge Verlag, Berlino) e a farvi cenno della Sua alta approvazione.
Quanto alla progettata rivista, il cui titolo sarebbe stato: "Sangue e Spirito - rivista italo-germanica per i problemi della visione del mondo e della razza", Mussolini mi disse che, parimenti, egli l'approvava. Essa avrebbe potuto uscire nelle due lingue, per esser diffusa rispettivamente, a cura del partito fascista e di quello nazionalsocialista. Mussolini però volle che prima fossero fissati dei punti programmatici fondamentali, d'accordo con gli eventuali collaboratori italiani.
E qui prese inizio un lavoro alquanto ingrato, perché si trattava di tirar fuori elementi più o meno qualificati e di metterli d'accordo. Come capo dell'Ufficio razza della Cultura popolare, a un certo Guido Landra, razzista d'occasione, che dopo il 25 luglio doveva "smaterializzarsi", era fortunatamente succeduto uno dei fascisti più qualificati e preparati, ricco di relazioni internazionali, il dr. Alberto Luchini. E, d'accordo con lui, fu organizzata una serie di laboriose riunioni con elementi che, la cosa essendosi risaputa, subito si erano fatti avanti dai vari settori del fascismo (sarebbe piccante darne i nomi, per vedere che fine questi fascisti e razzisti oggi abbiano fatto). Alla fine si fissarono i desiderati punti programmatici. Li sottoposi personalmente a Mussolini. Egli li approvò per intero, dopo di che si trattava di andare a Berlino per un'analoga azione organizzatrice. Nella capitale tedesca ripresi contatto con Alfred Rosenberg, con Walter Cross ed altre personalità, e ci demmo a discutere i punti formulati e le direttive per la rivista. Senonché ad un dato momento seppi di alcuni passi dell'Ambasciata italiana che misero i miei amici in perplessità, tanto che, non potendo venire a qualcosa di impegnativo tornai a Roma. E qui venni a sapere di manovre sabotatrici sviluppatesi durante la mia assenza. Anzitutto vi era stata una levata di scudi da parte degli esponenti del primo "Manifesto razzista", da me in vari punti attaccato, i quali temevano di essere scalzati dalla nuova e più organica iniziativa. Poi vi era stata una manovra cattolica. Un certo professore trovò modo di farsi ricevere da Mussolini col pretesto di offrirgli alcuni volumi di archeologia cristiana. Ma in verità l'occasione fu sfruttata per dire al Duce della preoccupazioni destate negli ambienti cattolici dalle mie iniziative, dopo l'alta approvazione. Perché se i cattolici potevano anche tollerare una dottrina biologistica della razza avvertivano il pericolo insito nel porre il problema della razza sul piano dello spirito e nella revisione "aria" di tanti valori convenuti, di origine sospetta, presenti nelle stesse credenze e nella morale venute a predominare in Occidente. Il pericolo aumentava per la progettata, più stretta e ufficiale collaborazione con lo schieramento tedesco. Ma la persona in questione, con gesuitica diplomazia, ancor più che questo cercò di mettere in luce, tendenziosamente, gli aspetti secondo cui la dottrina della razza, coi suoi principi di selezione, di supremazia e differenza entro la stessa compagine di un popolo, poco si confaceva con le premesse di un nazionalismo di massa. E via di questo passo. Tutto ciò, io essendo assente, aveva destato in Mussolini una certa perplessità, di cui avevo avvertito il riflesso a Berlino. Chiesi spiegazioni e istruzioni, e la risposta fu di attendere. Intanto si poteva dar corso ad un'altra iniziativa da me proposta, tramite Luchini.
Si trattava di pubblicare un "Atlante della razza italiana", come risultato di una prima sistematica indagine. Naturalmente "razza italiana" è una espressione priva di senso. Le razze sono delle realtà elementari che non si identificano con un popolo, che in un popolo entrano in varie combinazioni, esercitando una influenza alterna, essendo dominati ora le une ed ora le altre. Si trattava di un primo saggio di tali componenti. In varie regioni d'Italia i prefetti dovevano segnalarci alcune famiglie tipiche e antiche, i cui esponenti avrebbero dovuto esseri esaminati da un'apposita commissione, presieduta da Luchini, con un dr. Rossi per il lato antropologico (razza del corpo), col titolare di psicologia sperimentale all'Università di Firenze e, in più, il noto prof. E L. Clauss di Berlino per la "razza dell'anima", e, infine con me stesso per quel che riguarda la "razza spirituale". I risultati sarebbero stati raccolti in una bella pubblicazione, riccamente illustrata con fotografìe espressive per i tipi più significativi che avessimo incontrato nella nostra ricerca, e soprattutto per quelli in cui ancora si conservasse il tipo superiore, originario, "ario-romano" della nostra stirpe Tutto era stato già preparato. Purtroppo nel frattempo gli eventi precipitarono, tutte le energie dovettero esser raccolte verso più urgenti compiti ed un rivolgimento, che avrebbe potuto avere, nello sviluppo del fascismo, un significato da non sottovalutare, non ebbe seguito. Tuttavia è bene che di esso si sappia, donde la ragione di questi articoli retrospettivi.
Ancora due parole per un fatto personale. Dopo che Mussolini mi parlò in così alti, inaspettati termini circa il mio libro, disse a Pavolini di segnalarlo alla stampa, perché voleva aver un senso dell'impressione che avrebbe suscitato. Così fu mandata ai giornali una delle ben note "veline"; ma di esse negli ultimi tempi se ne ricevevano tante, che poco caso se ne faceva; e gli "intellettuali" italiani erano quasi tutti d'accordo nel sabotare idee comunque "razziste" - pour cause. Cosi sulla "grande stampa" di articoli sul mio libro non ne uscirono che pochi. Ciò irritò Mussolini, che ordinò una più perentoria segnalazione. Ne seguì, naturalmente, una pioggia d'articoli, e, si capisce, tutti laudativi. Per tal via il mio nome acquistò una notorietà che, se mai, per ben altri libri esso avrebbe meritata. Così è unicamente come "razzista" che molti mi conobbero, e la cosa ancora perdura. Ma, come ho detto, di razzismo io non mi sono occupato che in via accidentale, in sede di deduzione da un più vasto insieme di idee politiche tradizionali, e con l'intento di prevenire deviazioni già visibili in tale dominio, così in Italia come in Germania.
Razzismo e altri "orrori" (compreso il Ghibellinismo)
Da un episodio recente, di carattere personale, prendo solo lo spunto per un chiarimento di alcune idee che, forse, sarà utile per chi, negli ambienti di Destra, non s'interessi soltanto ai problemi relativi alle forme più contingenti della lotta politica. L'episodio è questo. A Roma, una organizzazione del MSI aveva pensato a dedicare una conferenza alle idee da me difese. In ciò vi era anche una specie di punto d'onore, pel fatto che poco prima un circolo culturale romano facente capo a persona non fascista e non "ariana", si era interessato, in una tornata, alla presentazione e diffusione di uno dei miei più recenti libri. Ebbene, all'ultimo momento la conferenza del MSI è stata "bloccata". Qualcuno aveva fatto presente il pericolo che essa rappresentava pel Partito, dato che io sarei un "razzista" e un nemico della Chiesa. E strano che coteste etichette che finora erano state usate solo da parte antifascista al fine di una congiura del silenzio e di uno ostracismo contro la mia attività in generale, abbiano trovato credito anche presso degli elementi del MSI, che evidentemente non hanno nessuna esatta conoscenza delle dottrine su cui ho scritto e che si sono limitati a raccogliere delle dicerie, senza darsi alcuna pena per controllarle. Trattandosi poi di persone che professano un incondizionata fedeltà per Mussolini, è anche strano che non sappiano che Mussolini ebbe ad approvare le idee che più sembrano impaurirle, e dette ad esse una specie di crisma essendo d'accordo che il mio libro "Sintesi di dottrina della razza" recasse nella edizione tedesca, in più, il termine "fascista", intitolandosi dunque: "Sintesi di dottrina fascista della razza". Ciò a parte, v'è anzitutto da rilevare che la parte essenziale delle idee da me difese non ha a che fare con quegli orientamenti, ed è essa che in prima linea dovrebbe essere presa in considerazione; e, poi, che sta di fatto che da dopo la guerra io non ho ripreso in alcun modo problemi riguardanti la razza o la polemica con le concezioni cattoliche: non perché io rinneghi qualcosa, ma perché, data la mutata situazione, di essi ho riconosciuto l'inattualità, secondo quel che dirò più giù. Non è certo colpa mia se alcuni giovani hanno fatto un uso arbitrario, confuso e poco serio di alcune idee dei miei libri, scambiando piani molto diversi. Su questa base, un giornale milanese giunse perfino a concepire un qualche rapporto fra quelle idee e un attentato privo di senso all'Arcivescovato, allo stesso modo che la polizia romana nel processo dei FAR (1951) aveva visto in me il "personaggio malefico e tenebroso" ( sic ) che stava dietro al complotto "fascista" da essa fantasticato. Anche recentemente dei giovani hanno ristampato un mio opuscolo, "Orientamenti", senza esserne in alcun modo autorizzati, mettendovi un "ghibellino" e la data della nascita di Roma al posto di quella dell'era volgare (tratto fanciullesco). Cose del genere, che non è in mio potere impedire, sono le uniche che possono eventualmente spiegare, ma per nulla giustificare, le accennate angoscie. Dico "per nulla giustificare", perché, ripeto, può arrestarsi a tanto solo chi, a differenza di quei più autorevoli amici che già ebbero ripetutamente ad invitarmi a collaborare a fogli ufficiali o fiancheggiatori del MSI, nessuna pena si è presa per conoscere ciò che effettivamente mi si può, oggi, attribuire.
Con questo, chiudo il fatto personale. Il quale, dunque, qui servirà unicamente di occasione per una messa a punto riguardante alcune idee prese in se stesse: cosa non inopportuna, perché oggi fra i "neofascisti" non manca chi, anche senza rendersene conto, fa proprie le parole d'ordine dei nuovi tempi democratici, pensa per esempio che il rivolgimento "razzista" nel fascismo sia stato una triste cosa che è bene passare sotto silenzio, e che oggi ci si debba tenere ad una linea di conformismo quasi da parrocchia, ben guardandosi dal mettere in discussione in una qualunque sede le idee e le pretese del clericalismo. Il che, non direi che sia indice di eccessivo coraggio intellettuale e politico. Comunque, veniamo al merito. Circa il "razzismo", e cosa stupida, quanto oggi corrente, farne un semplice sinonimo di antisemitismo, di Buchenwald, di camere a gas e di tutto il resto che è stato propinato dalla propaganda alleata con largo impiego di esagerazioni e perfino di falsi. Dal punto di vista politico Mussolini prese posizione contro l'ebraismo non per ricopiare passivamente l'esempio tedesco, ma semplicemente perché vi fu costretto: in base a precise informazioni circa l'atteggiamento aggressivamente antifascista che caratterizzava senza eccezione e sempre più l'ebraismo internazionale. Ma assai prima Mussolini aveva riconosciuto la parte che l'ebraismo ha nella finanza e nella vita dei paesi democratici, specie negli Stati Uniti, e ne aveva denunciato il pericolo. Che le cose oggi non siano cambiate, ma al contrario, ognuno può vederlo. La documentazione precisa e inconfutabile che Giovanni Preziosi, collaboratore fedelissimo di Mussolini, aveva raccolto, oggi potrebbe essere moltiplicata, se in base alle parole d'ordine correnti non vigesse un veto sull'argomento. Per non andar lontano, in ordine ad un dominio particolare, basterà rileggere, per esempio, l'ottimo articolo sul cinema americano uscito nel precedente fascicolo di questa stessa rivista.
Ciò, circa l'atteggiamento di Mussolini sul piano politico, con riferimento agli ebrei veri e propri. Per quel che mi riguarda, non è su questa linea (di cui purtuttavia riconoscevo la legittimità, pur condannando ogni eccesso) che ho svolto la mia attività. La teoria della razza da me formulata e che Mussolini approvò, intendeva superare il razzismo biologico, materialistico, facendo valere, oltre la razza del corpo, la razza dell'anima e dello spirito, facendo anzi cadere l'accento su di queste: non importa tanto la razza fisica quanto quella intcriore, che può non corrispondere affatto alla prima, dati i processi irreversibili di mescolanza etnica verificatesi in ogni popolo attraverso i secoli. Su tale base, 1 '"ebraicità" e l'"aria-nità" dovevano essere definite anzitutto come due modi d'essere, in sé e per sé, in universale, dunque a prescindere dal loro più o meno prevalente manifestarsi nell'una o nell'altra razza, jiell'u-no o nell'altro individuo. È facile vedere la portata di questo punto di vista, il quale permetteva, e permette, di togliere al concetto di razza ogni unilateralità, e, nello stesso tempo, di estendere la difesa dei valori superiori a noi propri, l'attacco contro valori inferiori o estranei. Infatti, in tale quadro, la qualità "ebrea" deve essere combattuta, nei suoi lati negativi, dovunque essa si trovi, indipendentemente dal sangue, si manifesti, essa, anche neh""ariano", anzi qui più che mai. Ora, se dopo il crollo provocato dall'ultima guerra, io mi sono astenuto dal riprendere la polemica antiebraica, una delle principali ragioni di ciò sta nel fatto che, purtroppo, quel che si può condannare nell'ebreo come carattere e mentalità, oggi lo vediamo prorompere dappertutto: e se per l'ebreo può esservi eventualmente la scusa, che un tale comportamento è dovuto all'eredità, tale scusa manca del tutto nel caso di quegli "ariani" o cristiani che oggi come carattere e come "razza interna" danno prova di un ebraismo al 100%. Così oggi non sarebbe onesto insistere su certe posizioni e denominazioni. E contro tutto un modo di essere che ci si dovrebbe schierare, ma purtroppo con ben scarse prospettive di venir a capo di qualcosa, dato il clima generale, il "razzismo" di Mussolini ebbe un secondo aspetto, non riguardante più il problema ebraico ma la difesa del prestigio della razza bianca nei confronti dei popoli di colore, cosa che assumeva un carattere particolare di attualità dopo la creazione dell'Impero africano. In ciò Mussolini seguì semplicemente la linea praticata da tempo adottata da tutti coloro che ebbero a cuore l'egemonia europea, anche senza sbandiera-menti "razzisti": a partire dall'Inghilterra. Oggi che molti "bianchi" con una specie di masochismo, nel segno della democrazia e dell'umanitarismo si rallegrano dell'emancipazione e dell'insorgenza minacciosa dei popoli di colore e del tramonto definitivo del prestigio europeo, le cose possono stare altrimenti. Ci si potrà mettere sulla stessa linea di quegli americani irresponsabili che s'inteneriscono pel "povero negro", che esaltano le promiscuità inter-razziali, che non trovano troppo da ridire se le ragazze bianche vanno a letto e procreano con negri, in attesa che al negro USA si sostituisca il Mau-Mau o addirittura l'australiano. In tutto ciò, è semplice quistione di "razza interna" (si vede bene quanto utile sia tale concetto), di un collasso della razza interna e di ogni corrispondente sensibilità. Non credo che gli amici del MSI se la sentano di seguire questa linea, in omaggio al principio della universale eguaglianza sia degli individui che delle razze, e che quindi sia il caso di vergognarsi anche di questo secondo aspetto del "razzismo" (se così piace chiamarlo) di Mussolini. Ancor meno credo che di ciò possa essere il caso nei riguardi un terzo e ultimo aspetto del "razzismo" mussoliniano, che era l'aspetto positivo, creativo. Non si trattava soltanto di difendersi da influenze negative, di porre delle barriere protettive, non si trattava dunque più di ebrei e dell'ebraismo internazionale, di meticci, o di popoli di colore, bensì di tutto ciò che in Italia attraverso misure precise poteva modellare e potenziare un tipo umano superiore (superiore sia spiritualmente che, se possibile, tìsicamente, il più alto ideale non potendo non includere l'una e l'altra cosa), il quale avrebbe dovuto costituire la spina dorsale esistenziale dello Stato fascista e assicurare la continuità del movimento fascista nel futuro. Questo "razzismo" positivo equivaleva insomma alla creazione dell'Italiano nuovo, del fascista non come il semplice "inscritto al partito" indossatore di camicia nera e esaltatore del Duce, bensì come un tipo umano ben differenziato, pel quale avrebbero dovuto essere decisive non tanto le qualità generiche, spesso senz'altro negative, dell"'italia-no", bensì, tendenzialmente, quelle del più alto tipo romano: qualità affini, peraltro, a quelle presentate anche, nelle origini, da altre civiltà dello stesso ceppo, cioè di ceppo indoeuropeo, o "ario" che dir si voglia. In questo quadro, Mussolini approvò assolutamente le idee che avevo cercato di formulare, con l'intento di creare una controparte originale a quel che in Germania si cercava di fare, basandosi però sul tipo "nordico" come punto di riferimento per l'azione formativa all'interno della sostanza nazionale. Ora, non si dovrebbe forse riconoscere nel fatto, che un processo formatore di "razza" in tale senso qualitativo in Italia non ebbe luogo o fu sincopato dalla catastrofe militare, sta la ragione principale del pauroso cedimento del popolo italiano e dell'attuale livello sociale, politico e morale della nostra nazione? Credo pertanto che vi sarebbe poco da ridire se qualcuno, di là da qualsiasi attivismo politico spicciolo, oggi riprendesse esigenze del genere, riconoscendo l'essenziale per un qualsiasi risollevamento la formazione rigorosa di un italiano nuovo, di un nuovo carattere, pur senza farsi illusioni - anche qui -circa ciò che praticamente si può raggiungere.
E con questo si può far punto, per quel che riguarda il "razzismo". Per non irritare nessuno, non aggiungerò che, psicanaliticamente, chi reagisce oltre misura, quasi istericamente, non appena sente pronunciare quella parola, con ciò stesso da prova che la sua razza - o fisica o interna - è poco in ordine.
Ed ora, qualche parola sul "ghi-bellinismo" e sull'attitudine di fronte a Chiesa e a cristianesimo. Nel 1927 uscì un mio libro, "Imperialismo pagano", che oggi in nessun modo permetterei che si ristampasse. Si era prima del Concordato, e il problema in esso posto era il seguente: il fascismo aveva ripreso il simbolo romano, ne aveva fatto il punto di riferimento sia per una nuova idea dello Stato e dell'autorità che per un nuovo stile di vita. Ora, se con tutto ciò non ci si voleva arrestare alla superficie, si poteva prescindere dai presupposti spirituali dell'antica romanità, e si poteva ignorare il contrasto fondamentale che esistette fra la visione romana antica della vita e quella cristiana? Non si sarebbero dovute rimettere in discussione non poche delle idee che nel cristianesimo non sono di origine romana o comunque "aria" (indoeuropea) malgrado il loro essere state assorbite dalla successiva umanità occidentale? Ed anche nei riguardi politici si poteva ignorare che la ripresa dell'idea romana quale si verificò nel Medioevo col Sacro Romano Impero, portò necessariamente ad un conflitto con la Chiesa, al "ghibellinismo", per ragioni assai più profonde di quelle che i più suppongono?
Proprio perché quel libro toccava problemi vivi e scottanti, ed ebbe risuonanze anche all'estero, esso provocò una generale allarmata levata di scudi negli ambienti guelfi e conformisti italiani. Ma presto si dovette constatare che praticamente non v'era nulla da fare. Quegli esponenti del fascismo che in un primo momento mi avevano appoggiato, di fronte al baccano, mi lasciarono in asso (fra di essi vi era Bottai, che in tale congiuntura dette prova della stessa "fedeltà" che doveva dimostrare nel 25 luglio); con Mussolini, a quel tempo, non potei avere contatti diretti, e, infine, apparve che di persone qualificate e dotate di sufficiente autorità e di sufficiente coraggio per seguire una tale linea, non ve n'erano. La partita fu chiusa.
Tutto questo, dunque, nel lontano 1927. Dopo di allora, non credetti opportuno sollevare problemi del genere, né nella rivista che diressi "La Torre" (1930), né nei molti anni di collaborazione con Roberto Farinacci: è il concetto universale di Tradizione, che fu invece messo in primo piano. Anzi non esitai a prender posizione di fronte ad alcuni orientamenti problematici del "paganesimo" nazista. In una conferenza stampa a Vienna nel 1936 ebbi per esempio a dichiarare che rivolgimenti del genere erano tali da indurre a divenir cattolici perfino chi avesse avuto le migliori disposizioni "pagane". E in più di un ambiente, in Germania la mia opera principale, "Rivolta contro il mondo moderno", uscita anche in tedesco, valse proprio come punto di riferimento per rimettere diverse cose a posto, dal punto di vista tradizionale.
Tanto più ciò vale per questo dopoguerra italiano. Se si vuole sapere quale siano le mie idee, data l'attuale situazione, occorre rifarsi al mio libro "Gli uomini e le rovine", uscito nel 1951 con una presentazione del comandante Valerio Borghese, scritto con l'intento di fornire un orientamento essenziale per un eventuale schieramento di pura Destra: non già a scritti di un precedente periodo, che avevano in vista circostanze diverse, o a libri di carattere tecnico e specialistico, e estranei al campo politico.
Ne "Gli uomini e le rovine" le cose vengono chiarite anche nei riguardi del "ghibellinismo". Qui mi limiterò a ripetere, che oggi un tale termine è fonte di equivoco, perché, con una interpretazione illegittima, esso è stato applicato ad una affermazione dell'idea politica o dello Stato in quadri laici, liberal-massonici se non pure materialistici e antireligiosi. Nulla di simile appartiene alla linea che, se le circostanze fossero diverse, si dovrebbe difendere. Il riconoscimento di valori spirituali, sacrali e trascendenti (nell'accezione più rigorosa di tali termini) di contro a tutte le idee dei filosofi "immanentistici" d'estrazione più o meno liberale, Gentile e Croce compresi, contro tutte le istanze massoniche e repubblicane dovrebbe essere il punto di partenza e la base del vero Stato: il quale solo a tale stregua e, propriamente, solo perché quei valori li assume in una diversa, ma non meno legittima forma, escludente tutto ciò che può pregiudicare una concezione affermativa, virile e ben differenziata dell'esistenza, potrebbe contrapporsi alla Chiesa, contestarle il diritto di essere l'arbitra suprema nel campo dello spirito e dell'etica, limitarne le pretese egemonistiche e le indebite interferenze.
Tale sarebbe lo sfondo serio di un eventuale "ghibellinismo". Ma, di nuovo, con questi chiari di luna un assunto del genere appare del tutto utopico. Se prima non si risolve il problema puramente politico, cioè quello della ricostruzione del vero Stato (la quale presuppone il trionfo di una pura Destra contro ogni democrazia e ogni marxismo) è inutile puntare così in alto ed affrontare problemi spirituali e trascendenti. Può restare solo un "ghibellinismo" approssimativo, di modesto formato: perfino nell'attuale clima democratico, contrapporsi a interventi clericali e guelfi troppo sfacciati nel campo della politica, non ignorare, è vero, il peso che in Italia hanno il cattolicesimo e il cristianesimo come forze sociali, senza però illudersi quanto alla palese discesa di livello di essi quali potenze spirituali: essendo sempre più evidente che nel cattolicesimo di oggi i valori veramente spirituali - quelli della pura trascendenza, dell'ascesi, della contemplazione -hanno sempre meno rilievo di fronte alle preoccupazioni mora-listiche e puramente devozionali, mentre, a parte qualche saltuaria presa di posizione di contro a collusioni proprio sfacciate con le sinistre, appare sempre meno probabile un risoluto ragioni intrin-seche, sia perché nel mondo d'oggi non v'è nessun blocco di forze a cui tale atteggiamento potesse fare da crisma e che ad esso potesse offrire, nel contempo, una base concreta.
Di ghibellinismo in senso proprio oggi dunque non è il caso di parlare. I problemi superiori intorno alla visione del mondo, alle varie forme della Tradizione, alla filosofia della storia, possono essere proposti soltanto a dei gruppi di studiosi: non ad un qualche partito esistente. Desiderabile e possibile sarebbe però una certa linea di distacco e di dignità. Non diremmo che valga proprio la pena di darsi a premure e a profusioni di affetto nei riguardi della Chiesa e fare il gioco del cattolicesimo politico guelfo in nome non della Tradizione in senso superiore e severo, bensì di un mero generico "tradizionalismo" sinonimo, da noi, di conformismo, di mediocrità borghese, di bigotteria, di piccola morale al posto della grande morale, e via dicendo. Tutto ciò, non lo nego, potrà anche avere un suo peso sul piano elettorale, forse anche su di un piano di tattiche spicciole parlamentari. Ma dubito assai che ci si possa mettere su di un piede di efficace, vittoriosa concorrenza, rifacendosi a tanto, data l'opera di accaparramento che in vasti strati del popolo e della borghesia italiani, su questa stessa base, la democrazia cristiana ha da tempo organizzato con potenti mezzi. Questo, quanto a mia opinione personale.
Ciò basterà per chiarire l'essenziale nei riguardi degli argomenti trattati e per far vedere che dei complessi d'angoscia, a tale proposito, possono nascere solo in chi non sa di che si tratti perché è male informato ovvero perché ha l'una o l'altra ragione per cambiare le carte in tavola. Infine, che dei travisamenti siano avvenuti, sporadicamente, spesso in buona fede, in base ad "atteggiamenti" giovanili poco meditati e lontani da un qualsiasi senso della realtà, ciò non dovrebbe pregiudicare il significato intrinseco che, in sé stesso, dovrebbero avere alcune linee di pensiero agli occhi di coloro i cui interessi non si esauriscono nel campo delle cose immediate e vicine, sempreché di tali persone ne esista una quantità degna di nota. Per tempi migliori (se verranno), alcune posizioni fondamentali è bene che non siano del tutto abbandonate.
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