Riemerge
proprio ora da luoghi mai del tutto disertati della memoria la vicenda dei fascisti “repubblichini” trucidati a Vercelli all’Ospedale
Psichiatrico, nei giorni 12 e 13 maggio 1945.
I fatti sono
ormai noti, esaminati, non senza iniziali, poi vinte, difficoltà, dai Magistrati
e dagli Storici.
Mai del tutto,
spontaneamente e liberamente, affrontati dai politici che ne hanno piuttosto
avuto un approccio obbligato, quando non svogliato oppure animato da spirito,
anche comprensibilmente, di parte.
Sono
fatti che riportiamo in calce al presente testo.
Una memoria che
non riesce a liberarsi di un episodio mai completamente metabolizzato, elaborato
come un lutto collettivo, così che il suo rifluire ciclicamente nella cronaca
ricorda piuttosto l’idea della morte offerta da Cesare Pavese, quella morte:“che ci accompagna, dal mattino
alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio
assurdo”.
Passa qualche
tempo di silenzio, quando il ricordo dei 60 giovani macellati nell’area del
Ospedale Psichiatrico, all’inizio di Via Trino a Vercelli, è affidato solo alla
cadenza commemorativa della cerimonia che ogni anno si tiene anche a Greggio ed
a Novara. Luogo, quest’ultimo, della loro breve prigionia, prima del fatale
trasferimento a Vercelli.
Sicchè le cose
paiono destinate a consegnarsi ad un passato che però - ed è una evidenza sempre
uguale e sempre nuova - non passa; non può passare proprio perché non diventa, a
suo modo, “parte” di noi, come può diventare solo dopo una riflessione
oggettiva, critica ed infine liberatoria.
Fino a che
questa vicenda sarà riguardata tra esponenti di fronti reducisti, oppure
negazionisti, non diventerà patrimonio di tutti, simbolo eloquente e condiviso
di ciò che non deve accadere di nuovo.
E sarà bene
colmare questa lacune – si diceva in esergo – proprio ora, quando il pendolo
della Storia pare oscillare nuovamente ed in modo sinistro sul versante della
pace compromessa secondo modalità forse inedite, inedite eppure foriere – è
questo il rischio – di odio sempre nuovo e sempre uguale, antico come la
pulsione ad alzare la mano armata contro il proprio fratello finchè il suolo ne
beva – anche se è il suolo patrio dove si combattono le guerre civili – il
sangue.
Ma ora un breve
riassunto dei fatti, sui quali
torneremo nei prossimi giorni, quando potremo fare i sopralluoghi sul
posto.
E’
il 12 maggio 1945, il regime
fascista è sconfitto ed allo sbando, la lotta di liberazione partigiana è
vittoriosa ormai in tutta Italia e molte città sono di fatto governate dalle
“brigate” partigiane.
Lo
Stadio di calcio di Novara diventa così una sorta di campo di
concentramento dove sono
tenuti prigionieri in particolare i militi della Repubblica Sociale Italiana, la
Repubblica di Salò, in disfatta.
Un
gruppo di questi uomini, qualcuno solo un ragazzo, di età comprese tra i 17 e 45
anni, viene prelevato dai partigiani
della 182.ma Brigata “Garibaldi”, agli ordini di Silvio Ortona che
più tardi ammetterà, nel corso del processo di avere ordinato la strage, insieme
al comandante della Piazza, Francesco Moranino.
Nei
giorni 12 e 13 maggio i “repubblichini” sono tutti torturati ed
uccisi.
E’ inutile in
questa sede soffermarci sui particolari, sulla cronaca di un orrore che non è
diverso da quello di Srebrenica e di tanti altri luoghi di cui è punteggiata la
storia.
Basti dire che,
in occasione del processo che si istruì più tardi, era compito delle impiegate
di Cancelleria del Tribunale di Vercelli trascrivere a macchina i verbali degli
interrogatori: quasi nessuna riusciva e resistere e le povere ragazze svenivano
prima che la pagina fosse terminata.
Sappiamo che la
creatura fatta “ad immagine e somiglianza” del Creatore è capace, quando lo rinnega, di una
efferatezza ben diversa e superiore a quella di qualsiasi animale.
Furono
recuperati, più tardi, i resti mortali solo di qualcuna delle
vittime.
Per anni si è
cercato il luogo dove potessero essere stati gettati gli altri.
Nulla si è mai
trovato, forse anche perché non si è mai cercato con metodo.
Sicchè
ciclicamente la diffusione di un particolare nuovo, da parte di qualche
testimone o, ormai, di qualcuno che ne ha sentito raccontare da parenti
spettatori del dramma, riaccende le speranze.
E la domanda è
sempre quella: conviene che quei poveri morti siano lasciati, dopo tanto tempo, in pace?
Oppure questo
cercare, quasto “scavare”, è invece necessario?
Necessario
proprio perché mediante l’atto simbolico della ricerca delle loro povere spoglie
– a prescindere dalle possibilità di successo che essa abbia – si può
incominciare quella ricognizione collettiva del nostro passato utile a tutti
(anche e forse soprattutto a chi allora non c’era) certo più della rimozione, di
un oblio impossibile, del “seppellimento” di quei giorni e di quei fatti, sotto
la coltre di una forse ostentata, certo tormentata, ma sempre, infine, incrinata
indifferenza. Fino alla prossima occasione.
***
Ora l’occasione
è data dalla notizia che Ludovico Ellena,
storico serio “di destra”, che ha seguito con metodo di studioso tutte le tracce
possibili per pervenire alla auspicato rinvenimento dei cadaveri, ha ricevuto
una indicazione plausibile sul luogo dove potrebbero trovarsi
seppelliti.
Sarebbe a
ridosso del muro di cinta dell’ex Opn.
Glielo avrebbe
rivelato un testimone dei fatti, dopo avere letto che in quell’area ci si
appresta a realizzare un’opera di trivellazione: quindi c’è il rischio che si
perda per sempre l’ultima occasione per tornare in possesso dei
reperti.
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Ellena ha
acquisito anche la disponibilità a collaborare di un gruppo di specialisti che
impiegherebbero attrezzature moderne per una preliminare ispezione del
sottosuolo.
Sull’argomento
i Consiglieri comunali Emanuele Pozzolo ed
Anna Rosso, di Avanguardia
Vercellese, hanno presentato una interrogazione al Sindaco, di cui
riportiamo il testo:
“Con
la presente si domanda al Signor Sindaco se, contemporaneamente all’avvio dei
lavori per la costruzione del nuovo “Centro pozzi” dietro all’ex Opn, intende
riavviare la ricerca dei resti mortali dei militi che, sul finire delle guerra
civile italiana, furono trucidati da milizie partigiane presso l'ex ospedale
psichiatrico di Vercelli: sulla base di ricerche storiche e di recenti
indicazioni testimoniali si ha infatti ragione di credere che i resti dei corpi
delle persone trucidate siano stati sotterrati in un non meglio specificato
campo che si troverebbe dietro al muro di cinta posteriore all'edificio dove si
trovava l'ospedale psichiatrico stesso.
Tale
gesto sarebbe utile semplicemente per rendere cristiana sepoltura a cittadini
italiani che, a distanza di più di mezzo secolo dalla fine dell'orrenda guerra
civile italiana, non sono stati ritenuti degni nemmeno di essere restituiti, da
morti, alle loro rispettive famiglie.
Siamo speranzosi in una Vostra positiva risposta e nella Vostra sensibilità nei confronti di decine di famiglie che tuttora non hanno una tomba su cui pregare e ricordare i propri cari”.
Siamo speranzosi in una Vostra positiva risposta e nella Vostra sensibilità nei confronti di decine di famiglie che tuttora non hanno una tomba su cui pregare e ricordare i propri cari”.
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