mercoledì 15 gennaio 2014

STRAGE DELL’ OSPEDALE PSICHIATRICO .

Riemerge proprio ora da luoghi mai del tutto disertati della memoria la vicenda dei fascisti “repubblichini” trucidati a Vercelli all’Ospedale Psichiatrico, nei giorni 12 e 13 maggio 1945.




I fatti sono ormai noti, esaminati, non senza iniziali, poi vinte, difficoltà, dai Magistrati e dagli Storici.

Mai del tutto, spontaneamente e liberamente, affrontati dai politici che ne hanno piuttosto avuto un approccio obbligato, quando non svogliato oppure animato da spirito, anche comprensibilmente, di parte.

 
Sono fatti che riportiamo in calce al presente testo.
Una memoria che non riesce a liberarsi di un episodio mai completamente metabolizzato, elaborato come un lutto collettivo, così che il suo rifluire ciclicamente nella cronaca ricorda piuttosto l’idea della morte offerta da Cesare Pavese, quella morte:“che ci accompagna, dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo”.
Passa qualche tempo di silenzio, quando il ricordo dei 60 giovani macellati nell’area del Ospedale Psichiatrico, all’inizio di Via Trino a Vercelli, è affidato solo alla cadenza commemorativa della cerimonia che ogni anno si tiene anche a Greggio ed a Novara. Luogo, quest’ultimo, della loro breve prigionia, prima del fatale trasferimento a Vercelli.
Sicchè le cose paiono destinate a consegnarsi ad un passato che però - ed è una evidenza sempre uguale e sempre nuova - non passa; non può passare proprio perché non diventa, a suo modo, “parte” di noi, come può diventare solo dopo una riflessione oggettiva, critica ed infine liberatoria.
Fino a che questa vicenda sarà riguardata tra esponenti di fronti reducisti, oppure negazionisti, non diventerà patrimonio di tutti, simbolo eloquente e condiviso di ciò che non deve accadere di nuovo.
E sarà bene colmare questa lacune – si diceva in esergo – proprio ora, quando il pendolo della Storia pare oscillare nuovamente ed in modo sinistro sul versante della pace compromessa secondo modalità forse inedite, inedite eppure foriere – è questo il rischio – di odio sempre nuovo e sempre uguale, antico come la pulsione ad alzare la mano armata contro il proprio fratello finchè il suolo ne beva – anche se è il suolo patrio dove si combattono le guerre civili – il sangue.
Ma ora un breve riassunto dei fatti, sui quali torneremo nei prossimi giorni, quando potremo fare i sopralluoghi sul posto.
E’ il 12 maggio 1945, il regime fascista è sconfitto ed allo sbando, la lotta di liberazione partigiana è vittoriosa ormai in tutta Italia e molte città sono di fatto governate dalle “brigate” partigiane.
Lo Stadio di calcio di Novara diventa così una sorta di campo di concentramento dove sono tenuti prigionieri in particolare i militi della Repubblica Sociale Italiana, la Repubblica di Salò, in disfatta.
Un gruppo di questi uomini, qualcuno solo un ragazzo, di età comprese tra i 17 e 45 anni, viene prelevato dai partigiani della 182.ma Brigata “Garibaldi”, agli ordini di Silvio Ortona che più tardi ammetterà, nel corso del processo di avere ordinato la strage, insieme al comandante della Piazza, Francesco Moranino.
Nei giorni 12 e 13 maggio i “repubblichini” sono tutti torturati ed uccisi.
E’ inutile in questa sede soffermarci sui particolari, sulla cronaca di un orrore che non è diverso da quello di Srebrenica e di tanti altri luoghi di cui è punteggiata la storia.
Basti dire che, in occasione del processo che si istruì più tardi, era compito delle impiegate di Cancelleria del Tribunale di Vercelli trascrivere a macchina i verbali degli interrogatori: quasi nessuna riusciva e resistere e le povere ragazze svenivano prima che la pagina fosse terminata.
Sappiamo che la creatura fatta “ad immagine e somiglianza” del Creatore è capace, quando lo rinnega, di una efferatezza ben diversa e superiore a quella di qualsiasi animale.
Furono recuperati, più tardi, i resti mortali solo di qualcuna delle vittime.
Per anni si è cercato il luogo dove potessero essere stati gettati gli altri.
Nulla si è mai trovato, forse anche perché non si è mai cercato con metodo.
Sicchè ciclicamente la diffusione di un particolare nuovo, da parte di qualche testimone o, ormai, di qualcuno che ne ha sentito raccontare da parenti spettatori del dramma, riaccende le speranze.
E la domanda è sempre quella: conviene che quei poveri morti siano lasciati, dopo tanto tempo, in pace?
Oppure questo cercare, quasto “scavare”, è invece necessario?
Necessario proprio perché mediante l’atto simbolico della ricerca delle loro povere spoglie – a prescindere dalle possibilità di successo che essa abbia – si può incominciare quella ricognizione collettiva del nostro passato utile a tutti (anche e forse soprattutto a chi allora non c’era) certo più della rimozione, di un oblio impossibile,  del “seppellimento” di quei giorni e di quei fatti, sotto la coltre di una forse ostentata, certo tormentata, ma sempre, infine, incrinata indifferenza. Fino alla prossima occasione.
***
Ora l’occasione è data dalla notizia che Ludovico Ellena, storico serio “di destra”, che ha seguito con metodo di studioso tutte le tracce possibili per pervenire alla auspicato rinvenimento dei cadaveri, ha ricevuto una indicazione plausibile sul luogo dove potrebbero trovarsi seppelliti.
Sarebbe a ridosso del muro di cinta dell’ex Opn.
Glielo avrebbe rivelato un testimone dei fatti, dopo avere letto che in quell’area ci si appresta a realizzare un’opera di trivellazione: quindi c’è il rischio che si perda per sempre l’ultima occasione per tornare in possesso dei reperti.
 
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Ellena ha acquisito anche la disponibilità a collaborare di un gruppo di specialisti che impiegherebbero attrezzature moderne per una preliminare ispezione del sottosuolo.
Sull’argomento i Consiglieri comunali Emanuele Pozzolo ed Anna Rosso, di Avanguardia Vercellese, hanno presentato una interrogazione al Sindaco, di cui riportiamo il testo:
“Con la presente si domanda al Signor Sindaco se, contemporaneamente all’avvio dei lavori per la costruzione del nuovo “Centro pozzi” dietro all’ex Opn, intende riavviare la ricerca dei resti mortali dei militi che, sul finire delle guerra civile italiana, furono trucidati da milizie partigiane presso l'ex ospedale psichiatrico di Vercelli: sulla base di ricerche storiche e di recenti indicazioni testimoniali si ha infatti ragione di credere che i resti dei corpi delle persone trucidate siano stati sotterrati in un non meglio specificato campo che si troverebbe dietro al muro di cinta posteriore all'edificio dove si trovava l'ospedale psichiatrico stesso.
Tale gesto sarebbe utile semplicemente per rendere cristiana sepoltura a cittadini italiani che, a distanza di più di mezzo secolo dalla fine dell'orrenda guerra civile italiana, non sono stati ritenuti degni nemmeno di essere restituiti, da morti, alle loro rispettive famiglie.
Siamo speranzosi in una Vostra positiva risposta e nella Vostra sensibilità nei confronti di decine di famiglie che tuttora non hanno una tomba su cui pregare e ricordare i propri cari”.
 
 

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