sabato 13 aprile 2013

Benito Mussolini
Lo Statista.

A Benito Mussolini non mancarono per decenni, insieme a doverosi e scontati osanna italiani, anche autorevoli riconoscimenti esteri delle sue qualità di statista. Gliene vennero in particolar modo dalla democratica e superciliosa Inghilterra: dove molti uomini eminenti, o considerati tali, ritenevano in definitiva che i rituali del sistema parlamentare si addicessero al loro Paese, ma che per la rozza e umile Italia fosse più appropriato un regime autoritario, capace di scongiurare la minaccia comunista.
Quand’era ministro degli Esteri di Londra, Austen Chamberlain classico conservatore dalle nostalgie vittoriane strinse con il Duce rapporti cordiali, quasi amichevoli. Winston Churchill gli fece visita a Palazzo Chigi nel 1927. Poiché fumava il sigaro, mentre si apprestava a entrare nell’ufficio del Capo del governo, una guardia lo invitò a buttano, e Churchill lo fece. Ma allorché, varcata la soglia, vide che Mussolini non si alzava nemmeno per andargli incontro, trasse dal portasigarette un altro Avana e lo accese, lentamente, con cura, prima di avvicinarsi alla scrivania. Forse impressionato da questo gesto d’alterigia, il Duce smise il suo cipiglio, e fu accattivante. Dopo il colloquio Churchill disse ai giornalisti che "se fossi italiano, sarei con voi di cuore, dal principio alla fine della lotta vittoriosa contro gli appetiti bestiali e le passioni del leninismo". E il 18febbraio 1933, alla Queen’s Hall, lo stesso Churchill dichiarò con enfasi: "Il genio romano impersonato in Mussolini, il più grande legislatore vivente...".
Mussolini vide Hitler per la prima volta di persona, nel giugno del 1934 a Venezia e lo definì una "scimmietta chiacchierona", ma anche un invasato assetato di sangue. Non gli piacque nemmeno un po’. Al contrario, Hitler disse che "uomini come Mussolini nascono una volta ogni mille anni, e la Germania può essere lieta che egli sia italiano e non Francese". Se voleva, Mussolini poteva riuscire simpatico. Gli abiti da cerimonia non gli si addicevano, mettevano in risalto la sua impacciata grossolanità, soprattutto se raffrontata alla disinvoltura di mediocri racés come Eden o Ramsey Mac Donald. Eppure riusciva a vincere, grazie a una notevole capacità di adattamento psicologico e ambientale, i complessi del povero ("io non sono ricco, sono un povero che ha dei soldi" disse una volta di sé stesso Garda Marquez): e all’occorrenza sapeva opporre la rudezza popolana all’educato snobismo dei suoi interlocutori.
Fù molto più a suo agio nelle uniformi. Era in uniforme anche al convegno di Monaco (fine settembre del 1938), il suo maggiore e meno duraturo trionfo di statista. Vi ebbe il ruolo del mediatore: sia pure un mediatore che nella sua proposta compromissoria dava soddisfazione quasi integrale agli appetiti tedeschi sulla Cecoslovacchia. Vi fece anche figura di poliglotta: perché parlava e capiva discretamente il francese, e se la cavava (meno bene di quanto confessasse) in tedesco, mentre Hitler, Chamberlain e Daladier non praticavano altra lingua all’infuori di quella materna.
Il Mussolini artefice della "pace per il nostro tempo" durò poco, lo sappiamo: abbacinato dalle vittorie naziste si buttò nel conflitto, incenerendovi il fascismo. Se caratteristica dello statista è l’avere strategie razionali e costanti, Mussolini non lo fu, lo fu invece nel suo stile di forsennato, invasato e spietato profeta Hitler. Nei suoi momenti migliori Mussolini fu un politico di rimarchevole intuito, un pragmatico spregiudicato, un abile negoziatore. Nei momenti peggiori fu un giocatore d’azzardo, che alla roulette della storia perse sé stesso, e il suo Paese.

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