sabato 21 dicembre 2013

Paride Mori, eroe per pochi intimi


 il profilo storico di un uomo coraggioso, pressoché dimenticato dalla “storia a senso unico”

Il bersagliere apparteneva al Battaglione M, il gruppo spontaneo che costituì la sola difesa dei territori del Friuli dalle truppe di Tito
Ci sono storie che sembra non sia possibile raccontare. Se su google si digita “Paride Mori”, i primi risultati sono quelli relativi ad una bagarre amministrativa circa una strada da intitolargli nel Comune di Traversetolo, in provincia di Parma. La didascalia dice semplicemente “Capitano dei bersaglieri”. È la targa della discordia. Si, perché Paride Mori fu ufficiale nel battaglione Mussolini, fu un fascista e un repubblichino che, insieme ad altri valorosi, difese il territorio italiano dall’invasione titina. Ebbene, l’amministrazione – di sinistra – nel 2010 intitola al capitano una via, ma l’Istituto Storico della resistenza di Parma, le associazioni partigiane e l’estrema sinistra insorgono: questa strada non s’ha da fare. L’Amministrazione fa dietro-front: “non sapevamo chi fosse Mori – si giustifica il sindaco Pazzoni – ma nessuno metta in dubbio l’integrità e l’attaccamento di Traversetolo ai valori della Resistenza”.
La vicenda inizia nel 2002, quando il Comune di Traversetolo decide di mettere mano alla toponomastica delle nuove zone. Alberto Zanettini è consigliere comunale di opposizione. Tra le sue proposte non vengono accettate quelle relative all’intitolazione ai Caduti di Alamein e neppure quella ai Martiri delle Foibe.
Come se Al Alamein o le foibe fossero cose che non ci riguardano, pezzi di storia di serie B, solo perché non sono consacrati ai “valori” della cosiddetta resistenza. Si tratta di un reiterato rifiuto di prendere atto della storia.
La proposta di intitolare una via a Paride Mori, invece, passa. Ma non passa per dare un segnale di riconciliazione, o di giustizia sociale. Passa semplicemente perché nessuno sa chi è Paride Mori. “Ci fu presentato dall’opposizione solo come capitano dei bersaglieri” si difende il sindaco. Eppure Mori nacque proprio a Traversetoli. Nemo profeta in patria. Oggi Alberto Zanettini racconta quei fatti in un volume, “Paride Mori capitano dei bersaglieri”, Donati Editore, inquadrando il periodo storico che visse l’Italia all’indomani dell’8 settembre 1943. I Bersaglieri del Battaglione “M” nascono come gruppo spontaneo dopo l’8 settembre e costituiscono la sola difesa dei territori del Friuli dalle truppe del Maresciallo Tito. Insieme a Mori sono molti i giovani che sacrificano la loro stessa esistenza, che si immolano per la Patria. Paride Mori cade nel febbraio 1944 nel corso di un agguato.
Nel volume Zanettini racconta vicende taciute per decenni dalla solita ed impunita propaganda a senso unico. In quelle pagine ci sono fatti e sentimenti, come le lettere di Mori alla moglie e al figlioletto Renato. Dal 1964 le spoglie di Paride Mori riposano nel Sacrario d’Oltremare di Bari. Le vicende legate alla salma sono complesse, e vengono ricostruite da Zanettini con puntualità, e con l’amarezza del caso. Amarezza che è raddoppiata dopo le vicende di Traversetoli e della targa negata.
Quegli “Eroici Bersaglieri sacrificatisi per la Patria ed ignorati dalle Istituzioni”

Partiamo dall’inizio: è il 9 settembre 1943. “A Verona – dice Zanettini – alcuni ufficiali decisero di formare un Battaglione di Bersaglieri volontari, intitolato a “Benito Mussolini”, al quale aderirono in breve tempo, circa quattrocento uomini, il più giovane aveva 15 anni e il più anziano ne aveva 60 … il Tenente Paride Mori era tra questi volontari”. “Per circa 20 mesi sopportarono le imboscate, la fame, il freddo, in numero molto inferiore al nemico, stimato ad uno a dieci, ma nonostante ciò resistettero e riuscirono a mantenere saldi alcuni confini nazionali che altrimenti sarebbero passati in mano alle orde comuniste di Tito. Poi il 30 aprile del 1945, a guerra finita, i bersaglieri si arresero ai partigiani di Tito con la garanzia di aver salva la vita e di poter raggiungere da subito le proprie case. Ma i comunisti di Tito non mantennero fede alle promesse, i bersaglieri furono imprigionati, torturati e fatti morire di fame e di stenti, i cadaveri, invece di seppellirli, li gettavano nelle buche che servivano da latrine per i prigionieri. I pochi sopravvissuti fecero rientro in Italia il 27 giugno 1947”.
È cosa da far accapponare la pelle pensare che a Josip Broz Tito l’Italia abbia concesso addirittura un’onorificenza come la Gran Croce al Merito e abbia, invece, dimenticato quei giovani che sacrificarono la loro stessa vita per la Patria.
Il problema è sempre lo stesso: quello della storia a senso unico, scritta dai vincitori e gestita a proprio uso e consumo. Quest’Italia che considera la resistenza un “valore” dimentica troppo spesso la vergogna disumana delle foibe, dimentica troppo spesso i crimini partigiani, consentendo che si celebrino ricorrenze come quella del 25 aprile, definita “liberazione”.
Per dirla con l’elaborazione di un concetto di Giordano Bruno Guerri, la sinistra sconfigge il Fascismo solo arrendendosi ad un nemico più insidioso: il capitalismo americano. E la chiamano “liberazione”.
Ebbene, in un’Italia piegata alle (il)logiche partigiane, non c’è spazio per una strada intitolata ai Martiri delle foibe, a Traversetoli, come non c’è spazio per i caduti di El Alamein, e neppure per il Capitano dei Bersaglieri Paride Mori, che “osò” far parte del Battaglione M.
Il volume di Zanettini è intenso, drammatico, profondo. E, soprattutto, è completo. È una finestra su un mondo volutamente messo da parte, è una luce nel buio imperante di un’epoca che si tenta di raccontare a proprio uso e consumo, della quale vengono raccontate tutte quelle storie che fanno comodo, riadattate e reinterpretate a convenienza di parte, e della quale vengono taciute verità scomode. Il libro dedicato all’eroico bersagliere riequilibra, per quanto di sua pertinenza, la bilancia su cui da troppo tempo pesano bugie e silenzi ingiustificati, traccia la vita di Mori e le sue vicissitudini, in vita e dopo la morte. 
Il 18 febbraio 1944 Paride Mori cade in un agguato. La sua morte – racconta Zanettini – provoca rabbia e dolore tra i bersaglieri: “avevano tutti gli occhi lucidi di pianto e qualcuno  singhiozzava. Addio Capitano Mori! Addio fratello di tutti!... vecchio Bersagliere dal cuore ardente che con l’esempio aveva alimentato la fede ed il coraggio in tutti quelli che gli avevano combattuto a fianco”.
 
Lettere
Spesso, nel volume, Zanettini riporta brevi passi delle lettere che Mori scriveva alla moglie Rosi e ai figli, che l’autore definisce “quel che più nobile possa sgorgare dal cuore e nel pensiero di un combattente di fede italica”.
Eccone alcuni brevi esempi, necessari per comprendere l’anima di questo eroe di cui si è tentato di oscurare la memoria:
Da una lettera al figlio decenne Renato: “come vedi io faccio il bravo soldato e servo la Patria con le armi ben salde nel pugno e tu devi fare il bravo ragazzo amando l’Italia, perlomeno quanto l’ama il tuo Papà e prepararti a servirla quando sarai grande … studiando imparerai che il donare per Essa la vita è il più grande onore che possa sperare ogni Italiano che sia degno di portare questo nome … abbracciamo e grida con me Viva l’Italia”.
Da una lettera alla moglie Rosi del 9 novembre 1943: “… se Dio ha segnato sul quadrante della mia vita l’ora suprema vuol dire che, in pace o in guerra, io me ne debbo andare e lasciarti il peso dei miei figli. Ma se quest’ora dovesse essere prossima , ti ho già detto tante volte che preferirei morire con l’arma in pugno, di fronte al nemico, per la salvezza della mia patria, che tu sai quanto io ami … e se proprio dovessi cadere tu sarai tanto forte da sopportare fieramente il tuo dolore benedicendo Dio d’avermi fatto morire della morte più bella …”

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