venerdì 27 dicembre 2013

FASCISTOPOLI: todos fascistas?

di Mario M. Merlino.



Nel fondo della mia natura aristocratica e geniale c’è uno strato, neppure troppo oscuro, da troglodita, incapace di agire sul mondo ormai preda delle macchine. Infatti presi la patente per sfida, ho guidato male e controvoglia e ora, sollecitato da mio figlio, vivacchio sul computer sapendo usarlo per scrivere trovare le risposte della Settimana Enigmistica (unica spesa dal giornalaio) e inserirmi con battute, più o meno felici, in FB…
Tra il filosofo greco Anassagora che affermava risoluto “l’intelligenza sta nelle mani” e l’inquieto, assolutamente ignobile sul piano personale (egli si rifiutò da ostinata checca isterica e timoroso di compromettersi con i nuovi vincitori e compagni di strada di firmare la richiesta di grazia per Robert Brasillach, scrisse un necrologio feroce alla morte di Drieu la Rochelle, che gli era stato di tramite con i tedeschi nella Parigi occupata per rappresentare i suoi drammi, trattò da osceno e pagato dai nazisti Céline e quale prototipo d’antisemita – e Céline lo ricambiò di pari moneta), Jean-Paul Sartre: “cosa sono le mie mani? L’incommensurabile distanza fra me e le cose”… beh, io mi ritrovo con il secondo (chi ha letto E venne Valle Giulia avrà a mente il Merlino sotto un lampione che sfoglia La nausea in attesa dello scontro).

Lungo preambolo per rifarmi ad un articolo dal titolo Julius Evola, il fascismo e il neofascismo, in data 3 novembre 2013, su cui s’è inserito l’amico Giacinto Reale con delle citazioni, sempre precise convincenti ed utili, e l’altro amico Ugo Maria Tassinari (è veramente un lungo tempo che non ci si sente). Preambolo, che acquista giusto senso, perché non sono stato capace di risalire a tutti gli elementi di questo scambio di vedute rimandi precisazioni e via così… Qualcosa, però, delle noterelle, mi sento di aggiungere senza pretesa di spostare alcun peso della bilancia. Noterelle appunto…

Non rinnoverò l’incontro, unico, con Evola, inizio anni ’60, anche perché esula da questo contesto. Al contrario un aneddoto raccontatomi da Ugo Franzolin, quando era responsabile della terza pagina de Il Secolo. Nella redazione e tipografia di via Milano il segretario del MSI Arturo Michelini si era ritagliato una stanzetta dove si rifugiava per sottrarsi alle eccessive e reiterate richieste di denaro da parte di dirigenti federazioni sezioni di tutta Italia. Una mattina Ugo è chiamato e inizia un dialogo tra i due, ironico e giocato tutto sul fatto che, in fama di iettatore, Michelini non pronunciava il nome di Evola né voleva sentirlo nominare. Il Barone aveva telefonato in redazione offrendo la sua collaborazione, che non poteva essere rifiutata in quanto esercitava una netta influenza sull’area soprattutto giovanile del partito. Ugo, che aveva ben capito di chi si trattasse, smaliziato dalla sua esperienza di corrispondente di guerra, faceva il finto tonto e chiedeva chiarimenti con Michelini che lo tacitava affinché non se ne uscisse con quel nome impronunciabile. 

(In altra occasione, segretario Giorgio Almirante, costui interrogato in un incontro con gli universitari del FUAN di Perugia, in presenza di diverse signore, cosa ne pensasse di Julius Evola, fece una rapida piroetta su se stesso, si diede una veloce ‘toccatina’ e riprese il dibattito).

C’è una ‘morale’ in tutto ciò? Forse… La pochezza culturale di fondo sia di Michelini, notoria (in quella occasione egli confidò ad Ugo che l’unica sua lettura erano i Gialli della Mondadori prima di addormentarsi), e dello stesso Almirante, che incolto certo non era, ma vittima di pregiudizi e delle superstizioni lo diveniva di fatto (aver, poi, scelto Armando Plebe come espressione ‘alta’ della cultura di destra e, dopo la rottura, aver ironizzato sulla sua omosessualità ne mostra un animus non nobile non grande). Ciò, però, non è quanto di più offenda… ‘L’Italia proletaria e fascista’ era il substrato fedele generoso ‘senza se, senza ma’ che animava le sezioni e si presentava compatto alla conta (anche qui rimando ad alcune pagine di E venne Valle Giulia)… ammesso che ci si possa tuttora offendere…

È interessante – mi sembra – rilevare come fosse Evola a chiedere di collaborare e non viceversa. Forse si illudeva di poter rettificare in senso conservatore le enunciazioni del MSI, che di fatto si stava attestando su una posizione reazionaria (la prima edizione de Gli uomini e le rovine risale al 1953 e Il Fascismo. Saggio di un’analisi critica dal punto di vista della Destra è del 1964). Nonostante ogni sua critica – legittima o meno fa parte di quella complessità che caratterizza la storia in generale e, dunque il fascismo e il neofascismo - egli vedeva in quell’area il luogo naturale ove raccogliere forze sane e capaci di ascoltare la sua voce (penso, va da sé, ad Adriano Romualdi e, in modo più ambiguo, a Pino Rauti). Così come fu tra i primi ad accogliere Mussolini dopo la liberazione dal Gran Sasso e giunto in Germania…

Giacinto Reale riporta un breve passo da Autodifesa, ottobre 1951, quando venne portato in tribunale durante il processo ai FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria), che avevano indicato in Evola il loro ispiratore. Qualcuno gli rimprovera un prendere le distanze che appare teoreticamente esatto, ma nella circostanza poco ‘coraggioso’… non so… E, sempre Giacinto, cita alcune affermazioni del principe Junio Valerio Borghese (e non è casuale che fu proprio Borghese  a scrivere una breve Presentazione a Gli uomini e le rovine), del prestigioso Comandante della Decima MAS, anch’egli poco incline a riconoscersi in un fascismo ‘politico’, semmai in quel fascismo combattentistico che fu tanta parte della RSI.

Ancora: in contrapposizione a certe affermazioni critiche e autonome sia di Evola che di Borghese, giustamente, egli ha contrapposto un passo del discorso di Giovanni Gentile del 24 giugno del ’43, che secondo alcuni osservatori fu la sua condanna a morte, eseguita circa un anno dopo (ed è tanto nobile in quanto – va ricordato e sottolineato – il filosofo fu più un ‘liberale’ prestato al Fascismo, un pensatore che vedeva come fosse e Mussolini e il Regime compimento dell’unità d’Italia nel tentativo, a cui egli si sentiva doversi impegnare, di forgiare il popolo in una Nazione). E, infine, la sfida estrema di Alessandro Pavolini a Dongo lungo la spalletta del lago di Como… non so… sono esse contrapposizioni o integrazioni o parte, comunque, di un cammino nella storia delle idee degli uomini delle lotte?

30 aprile 1944, alle spalle una cava, località di Sant’Angelo in Formis, qui vengono legati al palo e fucilati i giovani sabotatori della RSI, molti fra costoro della XMAS. Franco Aschieri, anni 18, scrive alla mamma la sera prima dell’esecuzione e conclude la sua vibrante lettera “Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta per la vittoria che la Giustizia non può assegnare che a noi”. E verga l’estremo saluto con un doppio imperativo:
                          ‘Viva il Fascismo. Viva l’Europa’.


E tanto basta…


 
 

Nessun commento:

Posta un commento

Commenti dai camerati.