Il leader di una generazione che non si è mai arresa.
Nella primavera di 25 anni fa il simbolo di un intero popolo, quello di destra, abbandonava il campo di battaglia. Segretario del Msi-Dn per 18 anni, ne incarnò gli ideali ed i valori. Coerente ed umile, non ha mai voltato le spalle ai suoi "figli", ai suoi militanti. In un periodo, quello degli anni di piombo, in cui essere "fascisti" era una colpa
Un grande italiano. Il leader della generazione che non si è arresa e che ha rappresentato per le successive l’esempio da seguire se si crede in principi come l’onore e la fedeltà alle idee, alle scelte compiute. È stato soprattutto questo Giorgio Almirante. Un rivoluzionario, prima ancora che un politico di razza. L’uomo che, praticamente da solo, ha avuto il coraggio, fra tanti tradimenti, di traghettare la destra italiana del dopoguerra fino in Parlamento, fino alle soglie del 2000.
Nasce all’alba della prima guerra mondiale Giorgio Almirante, nella Salsomaggiore di inizio secolo, il 27 giugno del 1914. Il papà, Mario, è un po’ attore e un po’ direttore di scena, un po’ regista e un po’ nobiluomo. Lavora con Eleonora Duse e Ruggero Ruggeri. Collabora alla realizzazione dei primi filmati per il cinema muto.
Giorgio, fin da piccolo, viene abituato a viaggiare di città in città. Dalla piccola provincia di Parma, si trasferisce nella tentacolare Torino, dove studierà fino al momento di iscriversi all’Università. Quando è il momento di cominciare a frequentare la Facoltà di Lettere, Giorgio e la famiglia vanno a vivere a Roma. Mentre l’Italia è in pieno ventennio, studia e lavora. Scrive per un quotidiano vicino al regime, “il Tevere”. Quel giornale lo conquista al punto di dedicargli quasi 10 anni. Ci resterà fino al 1943, dopo essere diventato caporedattore. Nel frattempo, Almirante si laurea, prendere l’abilitazione e diventa insegnante.
Durante gli anni dell’università entra nei Guf, diventa fiduciario. Il fascismo, la figura carismatica di Mussolini, lo affascinano. Quando l’Italia entra in guerra, Almirante non si tira indietro. Si arruola, parte subito per la Sardegna. Poco dopo si offre volontario per il fronte africano. Combatte in Libia, a Bengasi. Il suo coraggio in battaglia gli permettono di ottenere la croce di guerra al valor militare. Alla fine del ’41 torna a Roma e ricomincia a scrivere per “il Tevere”. La guerra prosegue. Il fascismo inizia a collezionare sconfitte. L’entusiasmo iniziale, quello che riempiva le piazze, quello che aveva reso Mussolini il Duce dell’Impero, inizia mano a mano a scemare. Come sempre avviene, nel momento di massima difficoltà, buona parte degli italiani sceglie la via più semplice. La notte fra il 25 ed il 26 luglio del ’43, Mussolini viene sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo ed incarcerato sul Gran Sasso. A liberarlo, non molto tempo dopo, saranno i suoi alleati, i tedeschi. Nel frattempo, al suo posto viene messo il Marchese Pietro Badoglio. Sarà lui che, insieme al re, l’8 settembre di quello stesso anno, deciderà di tradire la Germania per schierarsi dalla parte di chi aveva già la vittoria in tasca: l’Inghilterra e la Francia. Quelle stesse potenze cui Mussolini aveva dichiarato guerra dal balcone di Piazza Venezia, davanti ad una folla sterminata ed esaltata, appena tre anni prima.
Intanto, in Sicilia, sono sbarcati gli americani, “gli alleati” li chiamano in molti. Non Almirante. Giorgio e con lui tutti coloro che disprezzano Vittorio Emanuele così come Badoglio, sceglie di rimanere fedele a Mussolini che, al Nord, ha fondato –con l’aiuto dei tedeschi- la Repubblica Sociale. Si arruola nella neonata Guardia Nazionale Repubblicana, con i il grado di capomanipolo. Fino ad arrivare a ricoprire l’incarico di Capo di Gabinetto per il Ministro della Cultura Popolare.
È un fascista unico nel suo genere Giorgio Almirante. Un uomo che non perderà mai la coerenza, pur riconoscendo i propri sbagli. Ammetterà pentito, anni più tardi, di essere stato –durante il ventennio- razzista e antisemita. Anche qui, a modo suo. Sì, perché durante gli anni della Rsi riesce a mettere in salvo un suo amico ebreo, dalla deportazione in Germania, nascondendolo nella sede del Ministero della cultura popolare di Salò.
Il 25 aprile, con la liberazione, il fascismo e la Repubblica Sociale cadono definitivamente. Nel giro di tre giorni, Mussolini, Claretta Petacci, Alessandro Pavolini Achille Starace e molti altri gerarchi, vengono trucidati e poi uccisi dai partigiani che, non contenti, consegnano i loro corpi alla folla inferocita che li appende a testa in giù a Piazzale Loreto. Almirante, che aveva seguito il Duce fino a Milano, dopo la sua uccisione entra in clandestinità, rimanendoci fino al dicembre successivo.
È forse proprio il 1946 l’anno della svolta. Almirante riesce a tornare a Roma dove, il giorno di Santo Stefano, nello studio di un assicuratore, Arturo Michelini, nasce un nuovo e rivoluzionario soggetto politico: il “Movimento Sociale Italiano”. Almirante è fra i co-fondatori e ne sarà anche il primo Segretario. Il Msi dei primi decenni è però la “creatura” di Michelini, che lo guiderà per 15 anni, dopo la parentesi di Augusto De Marsanich, fino all’alba degli anni ’70.
Giorgio, però, si fa riconoscere fin da subito per l’incredibile passione politica. È lui che trascina il Movimento Sociale oltre la soglia del 2%, alle elezioni del ’48, consentendo così al partito di entrare in Parlamento con sei deputati (uno di questi è proprio Almirante) ed un senatore. Un vero e proprio trionfo se si pensa che il fascismo era caduto appena tre anni prima ed il Msi è un partito composto quasi esclusivamente da ex sostenitori di Mussolini. Insomma un partito di destra, sociale, ma di destra a tutti gli effetti.
È un combattente Giorgio Almirante, dal fronte africano al Parlamento. Si schiera fermamente contro la legge Scelba –che impedisce la ricostituzione del disciolto partito fascista-. Famosissimo il suo intervento per la difesa dell’italianità di Trieste e dell’Alto Adige.
Michelini muore nel ’69, quando il Msi attraversa una delle sue crisi più profonde. L’anno precedente, a Genova, i comunisti hanno impedito che si tenesse il VI congresso del partito e alle politiche il Movimento Sociale è arrivato appena al 4,5%. . Il successore naturale del fondatore del Msi è uno solo. La dirigenza del partito elegge Giorgio Almirante segretario nazionale, all’unanimità.
È una stagione nuova per il Movimento Sociale Italiano, destinato a diventare l’unico vero partito di destra del Paese. Almirante, carismatico come nessun’altro all’interno del Msi, riesce a ricompattare un’intera area allo sbando, capace di mediare con i monarchici così come con i “centristi” dissidenti. Ma si rivolge molto e soprattutto al popolo, alla “base”, ai suoi militanti, Giorgio Almirante. Organizza comizi, presiede ad una marea di manifestazioni. Parla in pubblico e lo fa da leader. Piazze gremite così, era stato in grado di riempirle solo un altro prima di lui. Ecco, è anche questa la grandezza di Almirante. Convincere un intero popolo (o buona parte di esso), quello di destra, a trovare il coraggio di rialzarsi ed a riprendersi quella dignità perduta subito dopo la guerra.
La sua opera di rafforzamento del partito gli consente di ottenere degli ottimi risultati alle regionali del ’71 in Sicilia (il Movimento Sociale supererà il 16% delle preferenze) e alle comunali di Roma (16,2%). Ma il traguardo più importante, il Segretario del Msi lo raggiunge nel ’72, alle politiche. Il Movimento Sociale conquista ben 56 seggi alla Camera (raggiungendo l’8,6% dei voti) e 26 al Senato (sfiorando il 9,2%).
Ma non è solo l’anno dei successi il 1972. Nel giugno di quell’anno, infatti, la Procura di Milano chiede alla Camera l’autorizzazione a procedere contro Giorgio Almirante, accusato di ricostituzione del disciolto partito fascista (in violazione della XII disposizione transitoria della Costituzione). L’inchiesta, che sa tanto di “giustizia ad orologeria”, fortunatamente arriva ad un nulla di fatto.
È il 1973 quando il Msi cambia –parzialmente- nome, diventando Movimento Sociale Italiano- Destra Nazionale. Sono gli anni di piombo. A Roma, come a Genova, Milano e Torino, si spara. I missini, quasi sempre poco più che ragazzi e militanti del Fronte della Gioventù, vengono ammazzati come cani solo perché di destra. Il primo caduto è Ugo Venturini, un operaio centrato durante un comizio da una bottiglia di sabbia sulla nuca che, però, è destinata ad Almirante. Quella morte Giorgio se la porterà dietro per tutta la vita. Lui e sua moglie Assunta arriveranno perfino ad “adottare” il figlio del missino ucciso. Ma non è questo l’unico caso. Basta chiedere a Giampaolo, il più piccolo dei Mattei, chi sia rimasto accanto alla sua famiglia dopo la tragedia del rogo di Primavalle in cui persero la vita i due fratelli, Stefano e Virgilio. La risposta è secca: “Almirante. Il partito ed il Segretario non ci hanno mai abbandonato”. È anche questo Giorgio, un padre che cerca di non abbandonare i suoi figli, caduti senza nessun motivo, vittime di quegli anni che hanno il sapore del piombo ed il colore del sangue.
Almirante, nonostante gli opposti estremismi, giovani che muoiono da una parte e dall’altra, resta un leader politico fedele al suo motto “avversari sempre, nemici mai”. È un uomo coerente Giorgio, ma non è un estremista. Così, nel 1984, quando muore Enrico Berlinguer, storico Segretario del Pci, Almirante va a rendere omaggio alla salma di chi non sarebbe potuto essere più distante da lui ma, proprio per l’impegno dimostrato in tutta la vita, ha sempre meritato rispetto.
Non sta bene Almirante, già nell’ ’84. Così, nell’estate di quello stesso anno, annuncia di voler lasciare la segreteria del partito per motivi di salute. Al congresso successivo, però, i dirigenti lo convincono a rimanere al suo posto ancora per altri due anni. Nel frattempo, però, il Segretario inizia a pensare a chi potrà essere il suo successore. La sua scelta ricade sul più giovane deputato del Msi-Dn, Gianfranco Fini (già alla guida del Fronte della Gioventù). La candidatura viene accolta, come logico, molto freddamente da tutta la “vecchia guardia” del partito. Così, nell’87, dopo 18 anni, il Msi assiste ad un cambio al vertice. Nell’inverno dell’anno successivo, Almirante viene eletto per Acclamazione presidente del Movimento Sociale. Riesce a ricoprire questa carica per appena 4 mesi.
Il 22 maggio del 1988 il leader della generazione che non si è arresa, il punto di riferimento di chi ha scelto di non tradire, abbandona a testa alta il campo di battaglia. Coerente a quel motto di Julius Evola, da lui così amato: “vivi come se tu dovessi morire domani, pensa come se tu dovessi non morire mai”.
Micol Paglia.
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