Roma, 9 dic – Nei primi mesi del 2012 Confagricoltura commentava i dati dell’occupazione nel comparto agricolo per l’anno 2011. Nel corso del 2010, in piena crisi, il settore aveva tenuto e la forza lavoro era aumentata. L’anno successivo, 2011, gli occupati erano diminuiti di 40 mila unità, con un calo percentuale del 4,6%. L’inversione di tendenza, che non ha fatto che aggravarsi, è dovuta a problemi relativi all’esportazione di prodotti, al calo della redditività, al costo del lavoro ormai insostenibile e alle imposte che affossano spesso alla radice ogni iniziativa imprenditoriale. Queste cause hanno spinto molte imprese agricole a dismettere l’attività o comunque a diminuire l’occupazione.
Il campanello d’allarme insomma aveva suonato già due anni fa e le proteste del “Movimento dei Forconi” siciliano dell’anno scorso sono state indubbiamente solo l’inizio di una protesta che ora sembra allargarsi a tutta la penisola e anche ad altri settori lavorativi. La protesta proclamata per il 9 dicembre 2013, “L’inizio della fine”, coinvolge svariate sigle autonome come Cobas, Azione Rurale, LIFE Veneto, il già citato Movimento dei Forconi e anche associazioni di autotrasportatori: tutte categorie che si sono viste di fatto derubare dei risparmi, degli investimenti e del lavoro.
Le rivendicazioni della protesta sono energiche e molto chiare: taglio delle tasse sulle imprese e sul lavoro, regolamentazione e tutela della produzione alimentare, agevolazioni sui carburanti per il trasporto dei prodotti, riconquista della sovranità nazionale e monetaria, azzeramento dell’attuale classe politica, cambio dei vertici e rottura con le imposizioni impopolari e irrealistiche della UE. Insomma, ce n’è abbastanza per parlare di “rivoluzione”, come hanno fatto alcuni quotidiani nazionali.
Al di là delle frasi roboanti e degli slogan ad effetto si dovrà osservare con attenzione l’evolvere della situazione. Se le autorità di pubblica sicurezza dal Nord-Est al Piemonte, dall’Emilia Romagna fino a Campania e Sicilia sono in allerta e pronte ad intervenire, qualcosa vorrà pur dire. Nonostante in televisione si finga di non capire, l’insofferenza e il nervosismo delle fasce produttive mobilitatesi è palpabile e la voglia di cambiamento radicale molto forte. Certamente non si può pensare ad alcuna velleità sovversiva o violenta, ma è bene che la politica italiana cominci a fare i conti con un nuovo modo di fare politica che mette seriamente in discussione la democrazia delegata, chiamando in campo attivamente le persone, i lavoratori, con i loro valori incrollabili e la dignità a cui non vogliono rinunciare. Se è vero che il fronte della protesta è composito, non si tratta certamente delle patetiche marionette “No Tav”. Forse siamo più al cospetto di un “manif pour tous” all’italiana o dei nostri “bonnet rouge”, sull’esempio dei “berretti rossi” bretni che hanno fatto disperare Hollande.
A Torino si sono verificati i primi scontri ma in rete gira anche un filmato in cui alcuni poliziotti incrociano le braccia e sembrano schierarsi con le ragioni della protesta. In Veneto i blocchi stradali sono iniziati con puntualità, e intanto manifestazioni si sono tenute a Bologna, Rimini, Roma fino al meridione. Chi pensava che la protesta non fosse compresa e appoggiata si sbagliava. Nelle pagine delle varie sigle coinvolte i commenti di apprezzamento e appoggio non si contano.
Questa può essere la vera rivoluzione. Come diceva Ernst Jünger, le autentiche rivoluzioni avvengono in silenzio, perché i cambiamenti profondi e lenti sono anche i più radicali e duraturi. Perciò la protesta ad oltranza, iniziata il 9 dicembre 2013, e che unisce l’Italia attraverso quasi tutte le regioni coinvolgendo moltissime sigle associative autonome, potrebbe forse rivelarsi il primo battito di una rivolta che spezza infine il grigio in cui la finanza apolide e i diktat della UE hanno precipitato l’Italia e l’Europa.
Francesco Boco
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