domenica 1 dicembre 2013

La Grande Bugia.

La Grande Bugia
Giampaolo Pansa. Sperling & Kupfer editori, 470 pagine, 18 euro
di Alessandro Bottero


Ho appena finito di leggere La Grande Bugia di Gianpaolo Pansa, un libro interessante e secondo me necessario. Ma facciamo un passo indietro. Pansa è un giornalista politico, uno dei grandi nomi della stampa italiana. Ha scritto romanzi, saggi, è condirettore dell’Espresso, insomma per un certo numero di anni ha fatto parte del “giro che conta” del Quarto Potere. Non che ora non ne faccia parte, ma in modo diverso. Da outsider. Il tutto nasce da una curiosità storica: cosa successe in Italia dopo l’8 settembre 1943? Ora, diciamoci la verità, chi è che OGGI in Italia sa cosa successe in Italia l’8 settembre 1943 e, cosa più importante, cosa successe DOPO, ossia in quel periodo che va dal 9 settembre 1943 a dopo la fine della guerra, diciamo circa la fine del 1946?

Sospetto tragicamente che la mia generazione (ho 44 anni) sia forse l’ultima che, collettivamente, conserva un minimo di memoria storica. Quella che mi/ci ha seguito, potremmo dire i “ventenni” di oggi mi pare (spero di sbagliare) ignorante. E uso questa parola nel senso pieno del termine, ossia ignora, non sa. Non “non hanno studiato”. Non sa, che è cosa diversa.

Torniamo a noi. Pansa si chiede cosa successe in Italia a quei tempi. Ma la risposta esiste, no? È facile. Si trova su tutti i libri di storia. Dopo l’8 settembre 1943 nel nord Italia nacque la Repubblica di Salò, e poi la Resistenza sconfisse i fascisti. Il 25 aprile 1945 poi la guerra finì e ci fu la Liberazione. Come dicevo ho 44 anni. Ho fatto il liceo dal 1976 al 1981. La mia visione dei fatti storici del 1943 e seguenti era come ho detto. Il Nord prigioniero dei fascisti, i partigiani che alla fine vincono e liberano tutti. Salò una cosa impensabile, triste, grigia, cattiva. Un nome quasi malefico nel suo essere associato al Male.
E ovviamente dal 25 aprile 1945 al 1946, in cui ci fu il referendum tra Monarchia e Repubblica per quel che mi riguardava non era successo più nulla di significativo. I buoni avevano vinto. In un immaginario molto scolastico vedevo solo la festa.

Chiariamo subito una cosa: non sto dicendo che Salò doveva vincere. No. Il postulato alla base delle mie riflessioni è lo stesso di Pansa: la vittoria nella II Guerra Mondiale (e quindi anche in Italia) andò alla parte che rispettava di più i valori e la dignità dell’uomo. Avesse vinto l’altra parte (e in Italia l’altra parte era il Fascismo prima e Salò poi) sarebbe stato peggio.
Ma detto questo è necessario secondo me andare oltre quello che giustamente Pansa chiama il “dogma storiografico”.

Riprendiamo il filo del discorso. Nel 2002 Pansa inizia a occuparsi a livello storico del periodo 8 settembre 1943-25 aprile 1945, con il libro I Figli dell’Aquila, dove parla di chi scelse di combattere nella RSI (Repubblica Sociale Italiana). Ci fu chi giudicò inutile discutere di quelle cose, ma tutto sommato all’epoca fu un dibattito intenso sì ma non al calor bianco. Il libro, che usava come espediente narrativo il seguire le vicende di un combattente nella RSI elevandolo a possibile simbolo di tutta una generazione, si chiudeva con la morte del protagonista alla fine della Guerra. A questo punto Pansa si chiese “ma DOPO il 25 aprile cosa successe a chi perse la guerra?”, e partendo da questa domanda tutto sommato normale iniziò un cammino storiografico e narrativo che produsse altri tre libri: Il Sangue dei Vinti, Sconosciuto 1945, e l’ultimo La Grande Bugia, una trilogia che offre un affresco di fatti, dati, eventi che accaddero in Italia tra il 1945 e il 1946.

Occorre dire che in effetti anche altri si erano cimentati in questo campo. Ma c’era un particolare non da poco: erano stati tutti studiosi e ricercatori dell’area culturale della Destra, fascisti o semplicemente di destra, ed avevano offerto il punto di vita dello sconfitto che accusa il vincitore di violenza. Dati, fatti, prove potevano anche esserci nei libri dei vari storici o memorialisti di Destra, ma la cultura ufficiale accademica (e soprattutto la cultura accademica STORIOGRAFICA) gli negavano una qualsiasi validità bollandoli con l’accusa di essere “menzogne fasciste”. Cosa ha di diverso Pansa? Il fatto che appartiene senza ambiguità all’area culturale della Sinistra. Che ha scritto di antifascismo per anni e anni, e che nessuno può accusarlo di essere “fascista dentro”, senza fare una figura ridicola.

Pansa è quello che decide di non giocare più secondo le regole o i “dogmi” accettati da tutti. L’Eretico, che dice verità scomode, e per questo viene attaccato.

Ma attaccato per cosa? Tutto nasce da Il Sangue dei Vinti, un libro dove Pansa descrive, basandosi su documenti e testimonianze, i delitti che avvennero nell’Italia del nord DOPO la fine della Guerra, per mano di frange di Partigiani che approfittarono del periodo del primissimo dopoguerra per “sistemare” affari privati o politici. Il Sangue dei Vinti fece scandalo per una serie di motivi. Primo: affermava che a liberare il Nord Italia non fu la Resistenza, ma gli eserciti Alleati. Secondo: pose in dubbio il fatto che ci fosse un seguito popolare esplicito alla Resistenza, così come anche alla RSI, ipotizzando che nei due casi a una minoranza di persone decise andasse sommata una vasta zona di popolazione che voleva solo sopravvivere alla Guerra, e che vedendo come le sorti erano favorevoli agli Alleati sostenne i partigiani per questo motivo. Terzo: ipotizzò che nel dopoguerra frange del PCI intendessero proseguire lo scontro in attesa dell’imminente insurrezione popolare. Questo fece sì che nel clima di subbuglio di quei mesi chiunque fosse identificato come potenziale “nemico del popolo” o “ostacolo all’instaurazione della repubblica popolare”, corresse pericolo di vita, e in molti casi fosse eliminato. Non solo i fascisti sopravvissuti, ma anche i partigiani non-comunisti, o gli antifascisti di area liberale e cattolica. C’è anche altro nel libro, ma questo bastò a scatenare una tempesta come mai si era vista. Tutta l’intellighenzia di sinistra (storiografica, giornalistica, filosofica, politica) andò addosso a Pansa, accusandolo di fare il gioco di Berlusconi, di non essere uno storico, di dire cose false, di screditare la Resistenza, e in sostanza di essere diventato un “infame”.

Pansa scrisse un altro libro su questo tema, Sconosciuto 1945, e le reazioni furono sempre più accese ed isteriche. Poi nell’autunno del 2006 ecco questo La Grande Bugia, che in un certo senso sintetizza e riassume tutto il percorso dal 2002 ad oggi, con in più un puntuale confronto con i principali detrattori di questo percorso.
Dico subito che il libro si legge molto bene. Pansa offre dati, fatti, fonti e chi vuole può benissimo andare a controllare. Certo, non li mette nelle “note”, come dovrebbe fare uno storico “serio”, ma ci sono. L’ho letto, come ho letto Il Sangue dei Vinti, e devo dire di essere convinto della giustezza di quello che dice. Ho scoperto molte cose che prima non sapevo, e concordo con Pansa nel dire che solo la conoscenza ci permette di giudicare bene i fatti. Solo se cerco di conoscere l’altro posso accettarlo. A un certo punto del libro ho trovato un passo estremamente incisivo: l’unico modo con cui uno che la pensa diversamente da noi può sperare di essere accettato da noi è se si PENTE di quello che ha pensato. Prima si deve pentire e poi FORSE posso accettarlo. Ossia il farti entrare (o ri-entrare nel caso di persone che a un certo punto pensano cose diverse dal gruppo sociale a cui appartengono) si basa sulla tua abiura e rinuncia a quello che pensavi prima. Questo è il motivo (o uno dei motivi) per cui è impossibile accettare l’Altro così come è. L’Altro deve conformarsi a me, anzi non solo questo: deve riconoscere che il mio pensiero è quello giusto e il suo è sbagliato in sé, e non solo perché lo dico io.

Trovo, come dicevo, fondata e condivisibile la tesi di Pansa, ossia che esista una Grande Bugia sulla Resistenza e su quello che successe dopo la Liberazione. Le storie e i dati forniti mi paiono inequivocabili e non capisco davvero chi si ostina a negare l’evidenza. Non li capisco tanto più se le critiche sono quelle che si leggono nel libro. Pansa infatti ha articolato questo libro anche come replica collettiva a tutti i suoi detrattori, affrontando volta per volta le dichiarazioni di numerosi personaggi (Armando Cossutta, Marco Rizzo, Angelo d’Orsi, Gianni Vattimo, Massimo Cacciari, Giorgio Bocca, Sandro Curzi, Sergio Luzzato, Furio Colombo, Paolo Flores D’Arcais e altri ancora). Ho letto le cose che Pansa riporta nel libro a nome di questi critici/storici/filosofi/politici e poi per curiosità e scrupolo mi sono messo a cercare le fonti originarie, ossia i testi dove erano apparsi gli stralci citati da Pansa. Ovviamente non li ho trovati tutti, ma qualcuno sì e posso dire che corrispondono. E’ quindi dopo aver controllato e non solo confidando in quello scritto nel libro , che posso dire che a mio parere non esiste una critica che è una sensata. Le critiche/accuse al percorso di Pansa pur essendo molte possono essere raggruppate in alcuni filoni: a – i libri di Pansa non valgono niente perché vendono troppo (tipico argomento degli storici. I loro libri vendono poco e sono invidiosi); b- – i libri di Pansa non valgono niente perché si basano su dati falsi (e questo non è vero, o perlomeno nessuno di quelli che l’hanno detto si è messo di lena a smascherare questi falsi. Ad oggi nessun dato citato è mai stato smentito); c – i libri di Pansa non valgono niente perché non sono scritti da uno storico serio, ma solo da dilettante (tipico argomento della casta che respinge l’estraneo che pretende di dire la sua); d – i libri di Pansa non valgono niente perché sporcano la leggenda della Resistenza e la Resistenza ha un diritto morale ad essere tramandata ai posteri senza macchia (argomento usato dai politici soprattutto, e dall’ANPI); e – i libri di Pansa non valgono niente perché si limitano a ripetere cose già dette ed affrontate molto meglio e più analiticamente dagli storici competenti in altri libri (cosa non vera, e infatti dove sono questi altri libri?).

Detto questo voglio concludere concentrando però l’attenzione ancora su due punti, il secondo dei quali sicuramente interesserà gli appassionati di fumetti
Prima cosa: leggendo La Grande Bugia ho avuto ancora una volta la conferma che la “Cultura Ufficiale” in Italia fa schifo. E questo a tutti i livelli. E’ il concetto stesso di “cultura ufficiale”, ossia di un gruppo che può parlare in nome e a nome della Cultura di tutti, stabilendo , come corollario cosa non è ufficiale e che quindi non ha la dignità di un discorso serio e scientifico, che fa acqua. La cultura ufficiale davanti al periodo 25 aprile 1945-inverno 1946 per decenni non ha ammesso che siano esistiti omicidi post-bellici commessi da partigiani che continuavano la Guerra in attesa dell’insurrezione popolare. La Cultura Ufficiale per decenni ha chiuso gli occhi davanti alle foibe, a Porzus, a mille episodi che sporcano tutto quello di valido e sacrosanto che c’è stato nella lotta partigiana, tutto per paura di andare contro chi controllava la storiografia ufficiale. La cultura ufficiale ha reagito in modo ringhioso e isterico davanti a un outsider che ha preso i suoi documenti, li ha verificati, e ha dato voce a un mondo che per decenni era stato ignorato. Volutamente ignorato perché non degno nemmeno di essere preso in considerazione. E dato che io per carattere e storia rifuggo e detesto da sempre qualsiasi “cultura ufficiale” (nei fumetti ed altrove) non posso che sentirmi molto vicino a Pansa in questo suo essere eretico.

Seconda cosa: leggendo alcune delle critiche fatte a Pansa, soprattutto quelle di Segio Luzzato o Marco Rizzo, il deputato di Rifondazione, mi è venuto in mente subito Unknown Soldier di Garth Ennis. Perché? Ricordate il discorso finale del Soldato Fantasma? A un certo punto rievoca il momento in vide per la prima volta un campo di concentramento. E Ennis fa dire al suo personaggio che di fronte a un male simile, un male così assoluto il Soldato Fantasma sentì di essere autorizzato a fare qualsiasi cosa. Perché se lui aveva combattuto il nazismo, ed il nazismo era questo male puro, allora lui (il S.F.) era moralmente giustificato a fare qualsiasi cosa, perché il suo combattere il male puro lo aveva reso il Bene, e in quanto Bene anche Giusto. L’America combattendo il nazismo aveva ottenuto una purezza tale per cui i suoi obiettivi erano sempre giustificati, e assolvevano qualsiasi mezzo usato per raggiungerli. Bene. Alcuni dei discorsi degli antifascisti duri e puri mi ricordano il Soldato Fantasma. Quando è impossibile negare l’evidenza dei fatti gli omicidi commessi dopo il 25 aprile 1945 vengono assolti perché commessi da chi ha subito il nazi-fascismo e lo ha combattuto. I partigiani per il fatto stesso di aver combattuto il fascismo sono giustificati ANCHE per i delitti commessi dopo la fine della guerra, in quanto mezzo per combattere ed eliminare il Male Assoluto.
E allo stesso modo oggi l’aver combattuto il Male fornisce l’alibi per fare qualsiasi cosa, dire qualsiasi cosa, negare l’evidenza, attaccare chi dissente, insomma di fare tutto, perché l’obiettivo “non sporcare la Resistenza” è giusto. Il guaio per chi pensa questo, come per il Soldato Fantasma di Ennis, è che pur partendo da un dato di fatto ossia la POSITIVITA’ dell’essersi opposti al nazi-fascismo, ci si ammanta di questa positività per auto-assolversi da qualsiasi crimine successivo. Per cui l’ingiuria o l’uccisione mediatica sono assolte a priori perché lo si fa in nome della Resistenza.
Non si tratta del solito libro d’inchiesta a cui Pansa ha abituato i suoi lettori, il titolo “la grande bugia” è riferito infatti non ad un episodio negato della storia, ma a un atteggiamento generale dell’intellighenzia della sinistra italiana che, sistematicamente, ha bollato di revisionismo chiunque abbia tentato di allontanarsi dall’interpretazione canonica degli ultimi giorni di guerra in Italia, alimentando quindi una grande bugia mediatica.
Se queste sono le premesse del libro, non è difficile immaginare che esso, in un contesto dove per più di 50 anni la Resistenza è stata monopolio quasi assoluto della storiografia d'impronta comunista e soprattutto del Pci, che è arrivato a far credere agli italiani di esser stato l'unico partito a fare la guerra ai fascisti e ai tedeschi dopo l'8 settembre, sia destinato a provocare un terremoto culturale. Anche perché per Pansa omicidi come quello di Anno Manfredi furono il risultato di operazioni pianificate da veri e propri «squadroni della morte» e questo, si sa, in un Paese fazioso come l'Italia, dove i fascisti sconfitti non hanno mai potuto raccontare in pubblico ciò che gli è accaduto, è vietato anche solo pensarlo.

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