Per il politologo, serve più protezionismo: “Questa immigrazione proviene da Paesi che sanno gestire piccoli traffici nei bazar, ma che non hanno mai sviluppato una società industriale. Restano emarginati in squallide periferie di miseria caratterizzate da risentimento contro i Paesi ospitanti”…
Giovanni Sartori per il "Corriere della Sera"
Specialmente noi - anche se non soltanto noi - ci siamo intrappolati in un girotondo vizioso che era facile prevedere ma che non è stato previsto. Sorvoliamo sulle colpe. Il fatto è che abbiamo creato una Comunità europea indifesa e indifendibile nella sua economia produttiva e nei suoi livelli di occupazione. Eppure era ovvio che aprirsi alla globalizzazione in un mondo nel quale i salari dei Paesi poveri, i Paesi del cosiddetto Terzo mondo, erano 5, 10, a volte persino 20 volte, inferiori ai nostri salari, avrebbe costretto le nostre industrie, specie le grandi industrie, a dislocarsi dove il lavoro costava meno.
Dunque la globalizzazione dell'economia produttiva comportava la disoccupazione europea. I Paesi più efficienti e meglio governati hanno sinora fronteggiato la situazione. Ma in parecchi membri dell'Unione Europea la globalizzazione ha gonfiato il debito pubblico a livelli non sostenibili e ha gonfiato a dismisura la burocrazia dello Stato o comunque a carico dello Stato.
Oggi siamo costretti a dimagrire: per cominciare, via gli enti inutili, via le Province, via le burocrazie clientelari e gonfiate delle Regioni. La soppressione delle Province forse andrà in porto: ma con l'assicurazione che il loro personale verrà salvato e manterrà lo stipendio che aveva. E allora siamo sempre nel circolo vizioso di partenza.
Il punto è che per uscire dalla crisi di disoccupazione che ci sta facendo affondare bisogna che il lavoro torni nell'Unione Europea. Come si fa? Si fa come hanno sempre fatto tutti gli altri Paesi avanzati, ivi inclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito (che sta in Europa sì e no), e cioè proteggendosi quando occorre. Gli europeisti ritengono invece che la soluzione sia nel federalismo; ma, come non mi stanco di ripetere, un sistema federale richiede una lingua comune.
L'unica eccezione a questa regola è la piccola Svizzera. Ma chi cita la Svizzera (che poi, salvo un'eccezione, è in sostanza bilingue) dovrebbe spiegare e adottare la formula di governo federale di quel Paese. Che è molto bizzarra e che non è certo esportabile. Al massimo l'Europa può puntare su una formula confederale con un potere centrale molto debole; ma questa soluzione non risolverebbe granché. La mia proposta invece è di una Unione Europea che sia al tempo stesso anche una unione doganale. Il che significa che una difesa doganale non può essere decretata da un singolo Stato, ma deve essere autorizzata, per esempio, dalla Banca centrale europea.
Altrimenti il nostro Paese continuerà a tassare semplicemente per pagare poco e male le pensioni, e a sussidiare poco e male i disoccupati. Un pozzo senza fondo nel quale stiamo sprofondando sempre più (altro che ripresa!), visto che abbiamo anche stabilito che l'immigrazione clandestina non è reato, e che abbiamo una ministra dell'Integrazione che si batte per istituire lo ius soli , il diritto di chi riesce ad entrare in Italia di diventarne cittadino.
A questo proposito si deve ricordare che la industrializzazione dell'Europa continentale fu favorita e protetta da una unione doganale (inizialmente lo Zollverein tedesco); in sostanza, dalla protezione delle industrie senza le quali un Paese non diventa industriale. Nel contesto dell'Unione Europea la protezione di ogni singolo Stato dovrebbe essere consentita, per esempio, dalla Banca centrale, che potrebbe anche permettere barriere interne che siano giustificate dalla difesa del lavoro e delle industrie chiave nei Paesi che le hanno perdute .
L'alternativa è quella di cui stiamo soffrendo: tasse crescenti, e oramai suicide, per pagare una disoccupazione crescente. Che già ci scoppia tra le mani. Nel 2008 un importante politologo americano, Walter Laqueur, pubblicava un libro, Gli ultimi giorni dell'Europa , nel quale spiegava che «l'immigrazione incontrollata ha popolato l'Europa di persone che non hanno nessun desiderio di integrazione ma che pretendono i servizi sociali, l'assistenza medica sovvenzionata e anche i sussidi di disoccupazione che offrono i Paesi ospitanti».
Questa immigrazione proviene al meglio da Paesi che sanno gestire piccoli negozi, piccoli traffici nei vari bazar, e cioè i mercati caratteristici del Medio Oriente dove si vendono chincaglierie di ogni genere ma che non hanno mai sviluppato una società industriale. In Europa i più bravi possono ricreare il negozio tipico dei bazar, ma i più possono solo offrire un lavoro sottocosto che li lascia emarginati in squallide periferie di miseria caratterizzate da disoccupazione e da risentimento contro i Paesi ospitanti. Il risultato non è dunque integrazione, ma semmai sfascio e aumento della delinquenza.
L'Inghilterra e la Francia sono oggi i Paesi europei più invasi, per così dire, da questi «disintegrati», sempre più ribelli e violenti. L'Inghilterra per via del Commonwealth, la Francia per cercare di salvare (assurdamente) la sua colonizzazione. La Francia, oggi con un presidente socialista, si limita a fronteggiare le sommosse. L'Inghilterra che ha in materia le mani libere ora chiede, con Cameron, di controllare e limitare severamente l'immigrazione. E noi? Noi siamo, con lo scombinato governo Letta e la incombente pressione della «sinistra» di Renzi, i peggio messi di tutti.
Qualche cifra. Il nostro debito pubblico supera il 130% del nostro Pil. È un debito pagato con buoni del Tesoro, e cioè dai risparmiatori e (troppo) dalle banche. La disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni sorpassa il 40%. In questo caos il potere giudiziario straripa ogni dove ma - cito Severgnini su queste colonne - «l'Italia è maglia nera... anche per la durata del processo civile, 564 giorni per il primo grado contro una media europea di 240 giorni. Il tempo medio europeo per la conclusione di un procedimento di 3 gradi di giudizio è 788 giorni... in Italia è di quasi 8 anni». In questo bailamme crescono i votanti che vorrebbero uscire dall'Europa, il che ci consentirebbe di svalutare la nostra moneta. Temo che malmessi come siamo sarebbe un rischio altissimo. Io non lo raccomando.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/sartori-chiude-le-frontiere-per-salvare-loccupazione-basta-con-limmigrazione-e-ritorno-al-protezionismo-67670.htm
Fonte.
Giovanni Sartori per il "Corriere della Sera"
Specialmente noi - anche se non soltanto noi - ci siamo intrappolati in un girotondo vizioso che era facile prevedere ma che non è stato previsto. Sorvoliamo sulle colpe. Il fatto è che abbiamo creato una Comunità europea indifesa e indifendibile nella sua economia produttiva e nei suoi livelli di occupazione. Eppure era ovvio che aprirsi alla globalizzazione in un mondo nel quale i salari dei Paesi poveri, i Paesi del cosiddetto Terzo mondo, erano 5, 10, a volte persino 20 volte, inferiori ai nostri salari, avrebbe costretto le nostre industrie, specie le grandi industrie, a dislocarsi dove il lavoro costava meno.
Dunque la globalizzazione dell'economia produttiva comportava la disoccupazione europea. I Paesi più efficienti e meglio governati hanno sinora fronteggiato la situazione. Ma in parecchi membri dell'Unione Europea la globalizzazione ha gonfiato il debito pubblico a livelli non sostenibili e ha gonfiato a dismisura la burocrazia dello Stato o comunque a carico dello Stato.
Oggi siamo costretti a dimagrire: per cominciare, via gli enti inutili, via le Province, via le burocrazie clientelari e gonfiate delle Regioni. La soppressione delle Province forse andrà in porto: ma con l'assicurazione che il loro personale verrà salvato e manterrà lo stipendio che aveva. E allora siamo sempre nel circolo vizioso di partenza.
Il punto è che per uscire dalla crisi di disoccupazione che ci sta facendo affondare bisogna che il lavoro torni nell'Unione Europea. Come si fa? Si fa come hanno sempre fatto tutti gli altri Paesi avanzati, ivi inclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito (che sta in Europa sì e no), e cioè proteggendosi quando occorre. Gli europeisti ritengono invece che la soluzione sia nel federalismo; ma, come non mi stanco di ripetere, un sistema federale richiede una lingua comune.
L'unica eccezione a questa regola è la piccola Svizzera. Ma chi cita la Svizzera (che poi, salvo un'eccezione, è in sostanza bilingue) dovrebbe spiegare e adottare la formula di governo federale di quel Paese. Che è molto bizzarra e che non è certo esportabile. Al massimo l'Europa può puntare su una formula confederale con un potere centrale molto debole; ma questa soluzione non risolverebbe granché. La mia proposta invece è di una Unione Europea che sia al tempo stesso anche una unione doganale. Il che significa che una difesa doganale non può essere decretata da un singolo Stato, ma deve essere autorizzata, per esempio, dalla Banca centrale europea.
Altrimenti il nostro Paese continuerà a tassare semplicemente per pagare poco e male le pensioni, e a sussidiare poco e male i disoccupati. Un pozzo senza fondo nel quale stiamo sprofondando sempre più (altro che ripresa!), visto che abbiamo anche stabilito che l'immigrazione clandestina non è reato, e che abbiamo una ministra dell'Integrazione che si batte per istituire lo ius soli , il diritto di chi riesce ad entrare in Italia di diventarne cittadino.
A questo proposito si deve ricordare che la industrializzazione dell'Europa continentale fu favorita e protetta da una unione doganale (inizialmente lo Zollverein tedesco); in sostanza, dalla protezione delle industrie senza le quali un Paese non diventa industriale. Nel contesto dell'Unione Europea la protezione di ogni singolo Stato dovrebbe essere consentita, per esempio, dalla Banca centrale, che potrebbe anche permettere barriere interne che siano giustificate dalla difesa del lavoro e delle industrie chiave nei Paesi che le hanno perdute .
L'alternativa è quella di cui stiamo soffrendo: tasse crescenti, e oramai suicide, per pagare una disoccupazione crescente. Che già ci scoppia tra le mani. Nel 2008 un importante politologo americano, Walter Laqueur, pubblicava un libro, Gli ultimi giorni dell'Europa , nel quale spiegava che «l'immigrazione incontrollata ha popolato l'Europa di persone che non hanno nessun desiderio di integrazione ma che pretendono i servizi sociali, l'assistenza medica sovvenzionata e anche i sussidi di disoccupazione che offrono i Paesi ospitanti».
Questa immigrazione proviene al meglio da Paesi che sanno gestire piccoli negozi, piccoli traffici nei vari bazar, e cioè i mercati caratteristici del Medio Oriente dove si vendono chincaglierie di ogni genere ma che non hanno mai sviluppato una società industriale. In Europa i più bravi possono ricreare il negozio tipico dei bazar, ma i più possono solo offrire un lavoro sottocosto che li lascia emarginati in squallide periferie di miseria caratterizzate da disoccupazione e da risentimento contro i Paesi ospitanti. Il risultato non è dunque integrazione, ma semmai sfascio e aumento della delinquenza.
L'Inghilterra e la Francia sono oggi i Paesi europei più invasi, per così dire, da questi «disintegrati», sempre più ribelli e violenti. L'Inghilterra per via del Commonwealth, la Francia per cercare di salvare (assurdamente) la sua colonizzazione. La Francia, oggi con un presidente socialista, si limita a fronteggiare le sommosse. L'Inghilterra che ha in materia le mani libere ora chiede, con Cameron, di controllare e limitare severamente l'immigrazione. E noi? Noi siamo, con lo scombinato governo Letta e la incombente pressione della «sinistra» di Renzi, i peggio messi di tutti.
Qualche cifra. Il nostro debito pubblico supera il 130% del nostro Pil. È un debito pagato con buoni del Tesoro, e cioè dai risparmiatori e (troppo) dalle banche. La disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni sorpassa il 40%. In questo caos il potere giudiziario straripa ogni dove ma - cito Severgnini su queste colonne - «l'Italia è maglia nera... anche per la durata del processo civile, 564 giorni per il primo grado contro una media europea di 240 giorni. Il tempo medio europeo per la conclusione di un procedimento di 3 gradi di giudizio è 788 giorni... in Italia è di quasi 8 anni». In questo bailamme crescono i votanti che vorrebbero uscire dall'Europa, il che ci consentirebbe di svalutare la nostra moneta. Temo che malmessi come siamo sarebbe un rischio altissimo. Io non lo raccomando.
http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/sartori-chiude-le-frontiere-per-salvare-loccupazione-basta-con-limmigrazione-e-ritorno-al-protezionismo-67670.htm
Fonte.
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