"Franco Bigonsetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni assassinati dell’odio comunista e dei servi dello Stato". Questa la nuova lapide commemorativa della sparatoria avvenuta 34 anni fa nella Capitale. Alemanno: "Più corretto mantenere la dicitura 'vittime della violenza politica"
Dopo 34 anni una nuova targa, in via Acca Larentia a Roma per dire che la sparatoria avvenuta il 7 gennaio del 1978 è colpa “dell’odio comunista e dei servi dello Stato”. A cambiarla i militanti dell’ex sede storica del Movimento sociale italiano in memoria dei tre ragazzi morti: Franco Bigonsetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni. La targa, come quella che è stata sostituita, è a firma “i camerati”. “Fini e il suo gruppo – ha spiegato Carlo Giannotta, responsabile della sede Acca Larentia – tra cui Gasparri e La Russa, fecero la promessa di una Italia migliore quando nel ’78 misero la vecchia targa. Promessa poi non rispettata. Per questo noi l’abbiamo sostituita e abbiamo specificato l’ideologia che ha assassinato quei tre ragazzi”.
A deporre una corona d’alloro di fianco all’entrata dell’ex sede dell’Msi è andato l’assessore ai Lavori pubblici di Roma Capitale Fabrizio Ghera, accompagnato tra gli altri dall’ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni e dal presidente della Commissione capitolina Cultura Federico Mollicone. “Questo è il modo della città per ricordare i tragici fatti del ’78 e i ragazzi uccisi dal commando terrorista. Al di là di ogni polemica è importante che questo sia un momento unificante e che il loro ricordo viva. Acca Larentia non fu uno scontro ma un attacco”.
Davanti all’ingresso dell’ex sede del partito, dove ormai la vernice nera ha coperto del tutto i colori della fiammella dell’Msi e su cui sventola una bandiera nera con croce celtica bianca, sono tanti i mazzi di fiori deposti a firma ‘i camerati’ come anche una grande corona di alloro che svetta attaccata a un muro su cui è dipinto un soldato romano e una croce celtica.
Polemico nei confronti del cambio di targa il sindaco di Roma Gianni Alemanno: ”E’ corretto mantenere su queste lapidi la dicitura ‘vittime della violenza politica”, ha dichiarato il primo cittadino perché “andare più nello specifico significa rischiare di ripercorrere una strada di carattere ideologico. Noi dobbiamo condannare a prescindere la violenza ideologica”. “Acca Larentia – ha ricordato – è stata una strage terribile degli anni ’70, uno dei momenti più tragici della nostra città, che ha determinato un salto di livello nella violenza politica e nell’odio contrapposto di quegli anni”. “Mi auguro che la giornata di oggi si svolga nel modo più composto possibile e che tutti coloro che vogliono ricordare i tre ragazzi uccisi lo facciano in modo sereno, senza rinfocolare nuovo odio”.
Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl al Senato si è chiesto perché i magistrati “non vogliano far luce” su questo episodio: “A 34 anni dalla strage di via Acca Larentia invece di negare il diritto al ricordo, come ha sostenuto qualcuno accecato dalla faziosità, ci si dovrebbe indignare perché ancora non hanno un nome i militanti della sinistra che assassinarono i ragazzi”. Ma, tra i magistrati, possibile che nessuno – domanda – voglia far luce su quella strage, anche se avremmo voluto la verità allora e non a decenni di distanza?”.
A Palermo però, secondo quanto denunciato dal comitato promotore della manifestazione organizzata da Giovane Italia, CasaPound Italia, Gioventù Italiana, Spazio Libero Cervantes e l’associazione TemerariaMente, sono apparse nuove scritte “intimidatorie”: “Fascisti carogne”, “Più foibe, meno fasci”. Nei giorni scorsi erano apparse scritte con la frase “10, 100, 1000 Acca Larentia” e la sede di Giovane Italia era stata attaccata con il lancio di una bottiglia molotov.
I Fatti:
Verso le 18:20 del 7 gennaio 1978 mentre si apprestavano ad uscire dalla sezione di via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano a Roma, per recarsi nel quartiere Prati cinque giovani furono colpiti dai colpi di diverse armi automatiche sparati da un gruppo di fuoco formato da 5 o 6 persone: uno di loro, Franco Bigonzetti, ventenne iscritto al primo anno di medicina e chirurgia, rimase ucciso sul colpo. Vincenzo Segneri ferito ad un braccio, insieme a Maurizio Lupini e a Giuseppe D'Audino riuscirono a rientrare all'interno della sede chiudendo la porta blindata dietro di loro e a sfuggire all'agguato di stampo terroristico. L'ultimo del gruppo, Francesco Ciavatta, studente di diciotto anni, pur essendo ferito tentò di fuggire attraversando la scalinata situata a lato dell'ingresso della sezione ma, inseguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena e morì in ambulanza, arrivata sul posto dopo oltre 30 mi
nuti, durante il trasporto in ospedale.
Nelle ore seguenti, col diffondersi della notizia dell'agguato tra i militanti missini, una sgomenta folla di attivisti organizza un sit-in di protesta sul luogo della tragedia. In seguito, forse per il gesto di un giornalista che, distrattamente avrebbe gettato un mozzicone di sigaretta nel sangue rappreso sul terreno di una delle vittime della sparatoria, iniziarono dei tafferugli e scontri provocando l'intervento delle forze dell'ordine con cariche e lancio di lacrimogeni. Uno di questi colpì anche l'allora segretario nazionale del Fronte della Gioventù (FdG) Gianfranco Fini.
I carabinieri spararono anche alcuni colpi in aria mentre, uno di loro, il capitano Edoardo Sivori, sparò mirando ad altezza d'uomo ma la sua arma si in
ceppò. L’ufficiale, allora, si fece consegnare la pistola dal suo attendente e sparò di nuovo, questa volta centrando in piena fronte il diciannovenne Stefano Recchioni, militante della sezione di Colle Oppio e chitarrista del gruppo di musica alternativa Janus.
Il giovane morirà dopo due giorni di agonia.
Alcuni mesi dopo l'accaduto, il padre di Ciavatta, portiere di uno stabile in Via Deruta 19, si suicidò per la disperazione bevendo una bottiglia di acido muriatico.
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