“Non è la nazione a generare lo stato, secondo il vieto concetto naturalistico che servì di base alla pubblicistica degli stati nazionali nel secolo XIX. Anzi la nazione è creata dallo stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva esistenza. Il diritto di una nazione all’indipendenza deriva non da una letteraria e ideale coscienza del proprio essere, e tanto meno da una situazione di fatto più o meno inconsapevole e inerte, ma da una coscienza attiva, da una volontà politica in atto e disposta a dimostrare il proprio diritto: cioè, da una sorta di stato già in fieri. Lo stato infatti, come volontà etica universale, è creatore del diritto”.
Come si legge chiaramente, il Fascismo respinge recisamente quello che definisce come vieto concetto naturalistico di Identità di Sangue e Suolo (il famoso “blut und boden” tedesco). La Nazione, per i fascisti, non è data dalla posizione geografica o da alcuni elementi esterni e materiali (come il sangue e il territorio), ma coincide con la Civiltà. Il che significa che un Italiano, può essere tale senza che il colore della pelle, i tratti somatici o la provenienza geografica glielo impediscano (come accaduto in passato con i Dubat e gli Ascari).
La Nazione, altresì, non è un dato di fatto, ma è generata dallo Stato come specificato da Giovanni Gentile: “Non è la nazionalità che crea lo Stato; ma lo Stato crea (suggella e fa essere) la nazionalità”.
Stato che per il Fascismo non ha carattere "materiale" ma Spirituale, come espressione perenne e imperitura della Civiltà latina. Di qui il richiamo allo sviluppo civile romano che aveva elevato la cittadinanza non alla semplice appartenenza geografica ma alla costruzione di una coscienza unitaria. Il Fascismo, quale religione civile e universale, mira a edificare un Modello di Cittadinanza nel quale tutti i popoli e le etnie possano riconoscersi come parte di un'unica Civiltà. Questa concezione risale a Roma, che sapeva assimilare al suo Impero i vari popoli soggiogati, tantoché Caracalla arrivò a concedere la cittadinanza di "civis Romanus" a tutti i cittadini dell'Impero. Molti Imperatori Romani appartenevano ad altre etnie diverse, e questo non intaccò la forza monolitica di Roma. Ciò che contava era che questi popoli si riconoscessero nel mito della "Roma Eterna" e coltivassero il culto della Dea Roma, dovevano inoltre assimilarsi alla cultura latina (solo chi non riusciva ad assimilarsi veniva trattato dai Romani alla stregua di una colonia). A farsi interprete dello spirito latino di Roma è sicuramente Giuseppe Mazzini, apostolo primo del Fascismo. Secondo Mazzini l'uomo, svincolandosi da ogni interesse materialistico, si ritrova nel suo popolo, e così i popoli in una fratellanza universale, essendo l'anima dei popoli la manifestazione stessa di Dio. Perciò il principio della nazionalità come unica forma morale dell'esistenza del popolo non è nella natura o nella razza, ma nello Spirito, nella coscienza e nella volontà di essere nazione, e la libertà è quindi diritto prima che dovere, impegno non di astratta teoria ma di azione, spinta se occorre al sacrificio della propria persona, nella fede del valore imperituro di ogni testimonianza morale. Per questo la politica è educazione morale. Mazzini affermava il primato della nazione sulla razza, in quanto quest'ultimo elemento è considerato da Mazzini parziale e debole, rivolto alla tradizione e alla conservazione, per ciò stesso condanna i popoli alla separazione. L'idea morale di nazione invece, indirizzata al futuro, è considerata da Mazzini un potente fattore di amalgama e di coesione, capace, quindi, di neutralizzare anche la spinta esercitata dal fattore razziale. E chi è stato il degno continuatore della concezione romana e mazziniana di impero e nazione? Il Fascismo, attraverso il pensiero idealistico di Giovanni Gentile, che rigetta ogni materialismo naturalistico. L'unico riferimento alla "razza" presente nella Dottrina Fascista stilata nel 1932 da Gentile e Mussolini nega che essa possa costituire un elemento di "identificazione nazionale": "Non razza, né regione geograficamente individuata, ma schiatta storicamente perpetuantesi, moltitudine unificata da un’idea, che è volontà di esistenza e di potenza: coscienza di sé, personalità". Sempre nella Dottrina vi è una presa di posizione netta contro il "il vieto concetto naturalistico" e si afferma chiaramente che "la nazione è creata dallo Stato, che dà al popolo, consapevole della propria unità morale, una volontà, e quindi un’effettiva esistenza", posizione ribadita da Gentile dieci anni dopo, in "Genesi e struttura della società": "Errore della dottrina delle nazionalità, che avrebbero diritto a unità e autonomia statale. Non è la nazionalità che crea lo Stato; ma lo Stato crea (suggella e fa essere) la nazionalità. Che conquistando la propria unità e indipendenza celebra la sua volontà politica, realizzatrice dello Stato". Nei primi mesi del 1936, Gentile affermava che l'« ideale italiano » non era un « sordido razzismo », ma un ideale « intelligentemente universale ed umano », e Mussolini nel 1943 poteva affermare che "Uomini che avevano sangue diverso furono i portatori di un’unica splendida civiltà". I teorici fascisti hanno sempre considerato il Fascismo come Idea Universale che, superando i limiti geografici, le classi sociali e le razze, si sarebbe imposta nel mondo come Civiltà Imperiale, rinnovando il mito dell'antica Roma e del Primato morale degli italiani di Giobertiana memoria. In cosa si distingue questo modello imperiale coll'appiattimento mondialista odierno? Semplice, non si vuole creare un mondo "multiculturale" dove vengano soppiantate le lingue, le culture e le tradizioni dei popoli in favore di una sub-cultura plutocratica che non vuole integrare nulla, ma si vuole propagare una legge superiore e generale nel mondo, un modello civile di cittadinanza che ha in Roma e nel Fascismo le sue indissolubili basi.
- Perché furono introdotte le “leggi razziali”?Distinguiamo anzitutto tra “razzismo” e “antisemitismo”. Il primo ha origine a seguito della conquista dell’Impero, è lo stesso Mussolini a precisarlo ed a spiegare i motivi della sua nascita: “E’ in relazione con la conquista dell’Impero; poiché la storia ci insegna che gli imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E per il prestigio occorre una chiara severa coscienza razziale che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità nettissime”. Il discorso è chiarissimo: il “razzismo” nasce come tema strumentale volto a mantenere il prestigio nelle colonie africane, come riconosciuto dallo storico Renzo De Felice. Secondo De Felice infatti il governo fascista cercò di svolgere una politica coloniale di separazione tra la comunità italiana e quelle indigene, per evitare principalmente “l’abbassamento del prestigio del colonizzatore sul colonizzato” . Ciò a causa della mancata pacificazione delle zone che di recente erano state annesse in Africa orientale, dovuta a parere del governo di Roma, alla scarsa coscienza “civilizzatrice” degli italiani e al comportamento troppo “folcloristico” delle truppe coloniali che, con un contegno giudicato dallo stesso Mussolini indegno delle pretese civilizzatrici del fascismo, avevano provocato la ribellione degli indigeni che pure non si erano mostrati maldisposti nei confronti dell’Italia. (vedere R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, p. 239). Il “razzismo fascista” dunque non ha nessuna origine ideologica – dottrinaria, ma è una risposta del Governo fascista all’indegno e poco decoroso contegno dei militari, che hanno sminuito il prestigio dell’Italia all’occhio delle popolazioni locali, causandone la ribellione in diverse aree. L’antisemitismo, che è un aspetto di questo fenomeno, fu il frutto generato da un contesto geopolitico particolare che vide sempre più il formarsi di un’Asse Roma - Berlino, di qui la necessità da parte del Governo fascista di cementare l’alleanza con la Germania, “sacrificando” una minoranza che si mostrava coriacea ad integrarsi nella comunità totalitaria fascista. La motivazione ufficiale fornita dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938 all’introduzione di una legislazione antisemita non lascia trasparire nulla di razzistico o biologico. Gli ebrei, secondo il Gran Consiglio, venivano discriminati non perché inferiori o di razza diversa, ma semplicemente perché si sono mostrati antifascisti in diverse circostanze storiche, una motivazione “politica” dunque, non razziale: “Il Gran Consiglio del Fascismo ricorda che l'ebraismo mondiale, specie dopo l'abolizione della massoneria, è stato l'animatore dell'antifascismo in tutti i campi e che l'ebraismo estero o italiano fuoriuscito è stato, in taluni periodi culminanti come nel 1924/25 e durante la guerra etiopica unanimemente ostile al fascismo. L'immigrazione di elementi stranieri, accentuatasi fortemente dal 1933 in poi, ha peggiorato lo stato d'animo degli ebrei italiani, nei confronti del regime, non accettato sinceramente, poiché antitetico a quella che è la psicologia, la politica, l'internazionalismo d'Israele. Tutte le forze antifasciste fanno capo ad elementi ebrei; l'ebraismo mondiale è, in Spagna, dalla parte dei bolscevichi di Barcellona”.
Il Fascismo condannava la volontà da parte israelita di considerarsi altro, qualcosa di non assimilabile al resto della società in cui si vive, anzi un entità che aspira a creare una propria ed autonoma entità statale (per l'appunto l'Israele biblico). Come si legge su “L’Identità fascista” a pagina 178-179:
La propaganda del regime stigmatizzava lo “spirito ebraico”, la morale ebraica era additata come incompatibile con lo spirito dell’ “Italiano Nuovo” creato dal fascismo e fondato sul principio… “che l’individuo non può esistere se non come cittadino dello Stato e parte di un tutto alle cui necessità deve obbedire”... giacché, continuava Carlo Costamagna compilatore di un volume sulla dottrina del Fascismo,“La comunità nazionale, in quanto Stato-Popolo, raggiunge un valore superiore ad ogni altra associazione e costituisce il compendio di ogni valore (...)”.(1)
Perciò l’ebreo non poteva rimanere tale, obbedire ad una sua etica particolare, obbedendo anche a quella della “nuova Italia”, secondo il Governo. Le leggi, quindi, piuttosto che concentrarsi come in Germania su presunte e inconciliabili differenze biologico-razziali puntarono piuttosto su un contenuto che denunciasse il settarismo proprio della “morale ebraica” ritenuta antitetica allo spirito universale dell’ “italiano nuovo di Mussolini”. Insomma, si volle ottenere sul piano della politica estera un risultato vantaggioso che comunque fosse conseguibile cercando di conciliare l’esigenza ideologica propria del fascismo. Nella legislazione razziale fascista l’ebreo “Patriota”, l’ebreo fascista, l’ebreo “benemerito” agli occhi dello Stato, perdeva la sua “caratteristica razziale ebraica”. Non veniva definito come tale, agli occhi del Governo. Per gli altri invece si applicarono discriminazioni affinché fossero “separati” dalla comunità nazionale, creando una comunità a sé stante, con propri istituti e organismi.
Questa motivazione, ad ogni modo, da sola non avrebbe portato all'introduzione di una legislazione antisemita senza il contesto storico contrassegnato dall'avvicinamento e dall'alleanza tra Italia e Germania.
Bisogna porre in rilievo, infine, alcuni punti:
1. Mussolini si prodigò per la creazione di uno stato ebraico in Etiopia.
2. Nelle “leggi razziali” furono inserite delle “vie di scampo” che di fatto contraddicevano l’impostazione biologica razzista.
3. Durante la seconda guerra mondiale il Governo Fascista si prodigò attivamente per la salvaguardia e la difesa degli ebrei in Patria e nelle zone di occupazione italiana.
Tra l’agosto 1938 e i primi mesi del 1939 il Governo Fascista si adoperò per la creazione di uno Stato ebraico indipendente e sovrano. Una lettera di Mussolini a Roosvelt dell’11 gennaio 1939 denota la sincera volontà del duce del fascismo di trovare una soluzione per “una minoranza, la sola, che è priva di nazionalità”. Ma le nazioni e i governi “democratici” del mondo fecero cadere la proposta, vanificando di fatto un progetto che avrebbe potuto impedire ai tedeschi di attuare la loro “soluzione finale”.
Altro punto importante da sottolineare è che, paradossalmente, le leggi razziali non furono “razziali”. Esse prevedevano “l’arianizzazione degli israeliti di provata fede fascista”, come infatti viene rilevato nella "Intervista sul Fascismo" di De Felice: “Per Mussolini, la razza non era una concezione biologica ma, com’era da aspettarsi, spirituale. Secondo lui, esistevano valori spirituali diversi, ed egli riteneva che in determinati, drammatici momenti della storia era possibile parlare di razze che coesistevano con le nazioni. Così era per l’Italia fascista, in cui il genio degli italiani aveva reso possibile l’edificazione dello Stato fascista. Per i cittadini che non si erano trasformati, fascistizzati spontaneamente, soccorreva la disciplina fascista. Come Mussolini ha detto una volta al suo biografo De Begnac, per lui era possibile arianizzare gli ebrei, cosa che per Hitler era una violazione delle leggi della natura. Questa concezione di una politica temporanea di discriminazione,che avrebbe dovuto ricondurre gli italiani alla vita fascista,sembra confermare quanto detto prima,e cioè che lo scopo fondamentale dell’azione fascista era di preparare gli italiani alla rivoluzione…”.
L’articolo 14 delle “leggi razziali” esentava dalla discriminazione ogni ebreo iscritto al partito nazionale fascista (inutile dire che l’iscrizione al partito era praticamente condizione necessaria, in quegli anni), in particolare: a) ai componenti le famiglie dei caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola e dei caduti per la causa fascista; b) a coloro che si trovino in una delle seguenti condizioni: 1. mutilati, invalidi, feriti, volontari di guerra o decorati al valore nelle guerre libica, mondiale, etiopica e spagnola; 2. combattenti nelle guerre libica, mondiale, etiopica, spagnola che abbiano conseguito almeno la croce al merito di guerra; 3. mutilati, invalidi, feriti della causa fascista; 4. iscritti al Partito Nazionale Fascista negli anni 1919-20-21-22 e nel secondo semestre del 1924; 5. legionari fiumani; 6. abbiano acquisito eccezionali benemerenze, da valutarsi a termini dell'art.16. Nei casi preveduti alla lett. b), il beneficio può essere esteso ai componenti la famiglia delle persone ivi elencate.
Per lo Stato, questi ebrei di fatto perdevano la loro "caratteristica ebraica". Grazie all’articolo 15 della legge, l’esenzione fu estesa oltre che alla famiglia più stretta, agli ascendenti e discendenti fino al secondo grado di parentela.
L’articolo 8 delle “leggi razziali” affermava: “Non è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori di nazionalità italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che, alla data del 1° ottobre 1938-XVI, apparteneva a religioni diversa da quella ebraica”.
Dunque non ebreo non era più tale se alla data del 1° ottobre 1938 risultava aderire ad altro credo, cosa assurda dal punto di vista biologico.
L’articolo 18 dispensava per tre mesi gli impiegati ebrei che intendessero contrarre matrimonio con non ebrei.
L’articolo 25 esentava tutti gli ebrei di nazionalità straniera, i quali anteriormente al 1° ottobre 1938 avevano contratto matrimonio con persone di cittadinanza italiana o avevano compiuto il 65° anno di età.
Infine va sottolineato il fatto che anche durante la seconda guerra mondiale il Governo fascista – a mezzo del Ministero degli Esteri e dell’Esercito – si prodigò per salvaguardare gli ebrei in Patria e nei territori occupati rifiutandosi di consegnarli ai nazisti. Anche al di fuori dell'Italia, nel sud della Francia e in Grecia ad esempio, furono date disposizioni all'esercito italiano per impedire la consegna degli ebrei ai tedeschi. Fino alla caduta del Fascismo (luglio 1943) nessun italiano ebreo venne consegnato alla Germania.
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