Libro e Moschetto
Dalla generazione della Guerra a quella del Fascismo
Dalla generazione della Guerra a quella del Fascismo
«Libro e Moschetto» è il motto tratto dall'animo del nostro popolo e il nuovo comandamento. Obbedienti e disciplinati i giovani, nelle quadrate schiere, lo seguono, le mille centurie lo invocano, sentono nell'anima la sua gravità, sentono la fierezza dell'obbedienza. Questa generazione nuova che non ha vissuto l'ora del martirio e della gloria, ma che non ha piú al suo fianco scettici e accomodanti, sente tutto il fascino del dovere e nell'anima cristallina vede un avvenire pieno di battaglie e di realizzazioni, una Nazione consapevole dei suoi destini. L'anima giovanile che pulsa, questa primavera ricca di promesse e di sempre verdi energie, questa nuova vita che si afferma, che cerca di sprigionare la sua forza rattenuta, è quella stessa che dall'inizio alla fine della grande guerra rimase fedele alla scuola del sacrificio. «Senza sacrificio e senza sangue, nulla si conquista nella Storia». Nulla si conquista nella vita. Quella gioventú che, stanca degli indugi, già nel '15 s'era trovata intorno a Benito Mussolini, che nelle vie e nelle piazze delle nostre città, combatteva le prime battaglie, sul Piave vinse la guerra. Intuiva già allora tutta la potenza degli avvenimenti, tutta la grandezza dell'Uomo, tutta la certezza dell'avvenire; e nell'anima generosa proclamava ancora una volta che la guerra era una necessità della Storia, un fenomeno naturale nell'evoluzione di un popolo, che la gemma purissima della stirpe doveva sbocciare dal sangue dei martiri. La guerra è il fatto per cui un popolo resiste all'ingiustizia a prezzo del suo sangue. Esisteva l'ingiustizia per il popolo italiano, o per ragione di eventi o per ignavia di uomini, esisteva l'iniquità dei confini; vi era, dunque, ragione legittima di guerra fino alla soddisfazione. E la guerra divenne cosí, dopo la religione, il primo ufficio degli uomini.
La religione insegna il diritto, la guerra lo difende, la prima è la parola di Dio, la seconda diviene il suo braccio.
Accorrevano i volontari nelle trincee a fondare la nuova Italia, a promuovere l'unione dei gruppi sparsi, la concordia nella casa comune, nella nuova disciplina, a reclamare l'autorità di un comune Governo, a intensificare la cooperazione per cui doveva maturarsi la comune vittoria.
Nasceva la classe guerriera: le funzioni dei gruppi si specificavano ed apparecchiavano la formazione del nuovo potente organismo politico.
Temprati nel dolore e nella paziente attesa, questi giovani uscirono dalla guerra robusti nell'anima, educati piú all'azione che alle costruzioni teoriche, capaci di realizzare: teso lo spirito, abituato alle battaglie, inquadrati, sempre pronti a marciare, con la visione di un'epopea negli occhi, la nostalgia dei riti, delle insegne e dei gridi di guerra nell'anima.
Refrattari a ogni disordine, anelanti al lavoro, desiderosi di comando e di obbedienza, nel caos del dopoguerra, talvolta piccolo, minuscolo manipolo, i giovani trascinarono le grandi masse e dove queste, ancora sorde, erano avverse, trascinarono i bambini assetati d'avventura, di azione rapida, di pericolo. E come nella grande guerra anche allora i «precocemente giovani» abbandonarono il libro per il moschetto.
Questa gioventú invocava un Capo, la massa reclamava un Uomo, l'Uomo che dicesse la parola semplice, animato da quella fede che smuove le montagne, che parlasse ad un popolo annoiato di programmi, che parlasse, non per mascherare il pensiero, ma dicesse la parola viva che spinge all'azione: si attendeva il condottiero delle avanguardie, che sentisse la politica nella realtà della vita, quella politica che tutto invade e tutto domina, la politica materiata di fatti.
«L'Uomo d'eccezione», che, al disopra e al difuori dell'ambiente, avesse saputo «reagire all'ambiente», che avesse fatto generare dalla massa amorfa il nuovo tipo di italiano, che avesse saputo inserire nella vita italiana un'era nuova, accelerarne il ritmo, esaltare i valori nazionali, inaugurare quello che la storia chiamerà: il periodo di Romagna: che avesse innalzato sulle rovine di un materialismo pavido e scettico, il vessillo della speranza.
Venne l'Atteso dalla terra che dall'Appennino scende all'Adriatico. Visse i suoi anni migliori dove si vive pericolosamente e si sa generosamente morire, nella terra di Alfredo Oriani. Quest'ambiente che dette il clima morale alla prima educazione del Duce è divenuto oggi la scuola delle nuove generazioni.
A scuotere le masse agnostiche, a convertire i negatori, sorreggere gli sfiduciati e raccogliere gli sbandati, era necessaria una seconda guerra «non meno vittoriosa della prima». Il movimento dei giovani rincalzava l'ondata nazionale e la seconda guerra divenne lotta furibonda, senza tregua, talvolta poteva sembrare senza speranza; la gioventú col suo sangue lavava l'onta delle rinunzie. Semplice e veritiera divenne la vita delle giovani schiere, raccolte in unità fattiva ed efficace, nel cuore la fede della personalità. Si aveva coscienza che si stava concludendo un periodo di storia nazionale e che in quel momento occorreva l'azione ad ogni costo.
«La Rivoluzione deve avere soprattutto un metodo»; i grandi fatti della storia non si improvvisano, le personalità si preparano, la massa non agisce se non condotta da anime forti. Si trattava di agire e Benito Mussolini divenne il profeta dell'azione, l'azione l'oggetto della sua dialettica ardente: Egli divenne centro di attrazione agli impazienti che mal sopportavano il lento processo naturale, insofferenti di ogni negazione.
E come l'educatore che sollecita il libero sviluppo dell'alunno con una buona didattica, cosí Mussolini, educatore eccelso, accelerò il processo di rivolgimento intensificando l'insegnamento diretto particolarmente alla parte piú giovane della Nazione, che doveva essere aiutata con ogni sforzo.
Doveva essere aiutata quella gioventú, speranza del domani, che andava incontro alle lotte della vita con i suoi dubbi, e che talvolta andava incontro alle sconfitte; doveva essere orientata l'anima giovanile esposta alle bufere negli anni dello sviluppo, doveva essere condotta con energia, guidata sulla retta via, da una mano tesa per sorreggerla, per liberarla dai suoi lacci.
Cinquant'anni di menzogne avevano preceduto la guerra ed i convenzionalismi radicati nella classe dirigente non erano piú capaci a cancellare il senso di profonda amarezza che le imbelli rinunzie all'interno e la sconcertante ironia all'estero avevano umiliato l'Italia.
Nel caos che regnava mentre ancora si attendeva che gli «immortali principi» dessero una soluzione meccanica alla libertà, all'uguaglianza; mentre si calpestava la dignità del lavoro, la verità era ridotta a questione di numero, di peso e di misura, con la conseguente meccanizzazione di una massa anarchica, conculcata la personalità, occorreva demolire rapidamente e sulle rovine erigere saldamente la nuova gerarchia.
Compresero i giovani, come lo comprendono ora, che gli insegnamenti del Duce restituivano il popolo alla sua realtà, compresero che un popolo di cinquanta milioni con una grande storia doveva uscire nel mondo alla conquista di un primato, doveva o espandersi o morire, o vivere pericolosamente o essere sopraffatto dagli altri.
Era necessario che il singolo uscisse dal proprio guscio, dai confini della propria famiglia, entrasse nella Nazione a dominare il vasto orizzonte delle sue necessità, assumesse funzioni e responsabilità secondo le proprie forze, vivesse la vita in tutta la sua drammaticità e sentisse la voce della Storia.
E se il «dolciume umanitario» di un recente passato aveva oscurato la via, era necessario fare il cammino a ritroso e rievocare l'esempio di Roma, quello delle gloriose repubbliche, mantenere viva l'anima guerriera per rigenerare la stirpe. Era suonata l'ora degli uomini di buona volontà, l'ora della giovinezza chiamata a «riacquistare il senso dell'avvenire».
Occorreva proiettare l'impeto dei giovani nel futuro e perpetuarlo nelle generazioni dell'avvenire, assicurarne la pedagogia tradizionale, mantenere tutto l'apparato che aveva accompagnato questa sublime riscossa con lo stesso scenario, con tutta la sua bardatura.
Sorse cosí per volere del Duce quell'istituzione il di cui nome rievoca tutta un'epopea di giovinezza, tutta la poesia dell'anima dei nostri fanciulli: l'Opera Nazionale Balilla.
Le sue falangi son chiamate Legioni, poiché in questo «vivaio del Regime» si educano i Legionari della nuova Roma fascista.
Il Fascismo è impeto e forza dinamica, non è riposo, è formazione continua, ricerca di perfettibilità, ricerca affannosa, senza tregua, è lotta senza quartiere contro il «quieto vivere», contro la chiacchiera, è la sferza della vita che incalza, l'aculeo che punge e spinge a riguadagnare il tempo perduto, è la volontà del Capo che si realizza e diviene azione, è ansia nell'obbedire alla potenza di un comando che non ammette titubanza.
Educare significa generare socialmente, perpetuare nella società, generare nello spirito, nella tradizione, significa per noi mantenere vivo l'impeto dell'intervento, il sacrificio della trincea, l'ansia fascista delle sue ore piú drammatiche. Per noi significa ancora perpetuare quei lineamenti morali abbozzati nei giorni tristi, perfezionati nel sacrificio, purificati nel dolore, e perpetuarli nelle giovani generazioni, nelle anime piú pronte ad accoglierli, per cui la grande massa cittadina e rurale vivrà alla presenza delle necessità nazionali, sentirà il pulsare degli ideali, la speranza dell'avvenire, ed agognerà alla gloria, avrà, quindi, l'anima maschia, guerriera, disciplinata, capace di darsi senza chiedere.
Anima guerriera, sí, ma presente a tutte le realtà, a tutte le necessità del momento, poiché «questa grande Italia noi tutti la stiamo costruendo giorno per giorno, pietra su pietra».
Dobbiamo costruire, preparare, formare, educare. Tutti gli insegnamenti che, per la ricchezza di avvenimenti, ci furono dati da questo magnifico squarcio di storia recente sono implicitamente contenuti nel motto simbolico: Libro e Moschetto.
Libro e Moschetto, significa serietà e disciplina, vuol dire sana cultura nostra e bellicosità: ammonisce, soprattutto, d'imparare a meditare ed operare; è il binomio simbolico della nuova educazione.
E se i giovani avranno di fronte a sé l'aureola luminosa di questo motto, le generazioni di Balilla e le future saranno capaci d'uniformarvisi nel cuore e nell'intelletto, saranno le generazioni purissimamente italiche.
Avremo la gioventú dedicata ai gloriosi compiti del domani, gioventú in cui vibri e si dimostri ad ogni suo atto la presenza dell'attimo vitale che la possiede; ispirata alle grandi gesta degli eroi, chiari e nascosti, gioventú che in un sobbalzo meraviglioso sappia offrire alla Terra che le fu madre, tutta la porpora del suo sangue, gioventú che abbia davanti a sé l'aurora del martirio e sappia alimentare e mantenere sano e libero per il suo moto eterno quell'impeto che accelera il ritmo della vita.
Educhiamo per far sí che quest'impulso, come in noi fu pulsante viatico di energie, faccia erigere alte le fronti e, nel silenzio della piú santa delle discipline, nello slancio del piú puro entusiasmo, mostri i cuori pronti all'obbedienza. Educhiamo col libro, attraverso il quale, pagina per pagina, si riscontri l'impronta italica dell'arte, della scienza e dell'eroismo. È necessario mantenere accesa la fiaccola del nuovo rinascimento nazionale negli intenti e nelle opere.
Una nuova letteratura sorge di già, tenace nella sua sicura marcia, a mostrare la sua anima bellica ed esploratrice del mondo, con le sue narrazioni di fatti eroici della terra, del mare e del cielo; letteratura narratrice di fatti che suscitano entusiasmi e meraviglie.
I giovani devono entusiasmarsi, devono meravigliarsi, devono conoscere lo stupore: «l'uomo che non sa stupirsi, l'uomo che non ha l'abitudine dello stupore, non è che un paio di lenti dietro le quali mancano gli occhi».
Occorre resuscitare il libro che cooperi all'educazione dell'ardire. Il vecchio libro non basta piú, la guerra ha aperto uno squarcio negli animi che il vecchio libro non può colmare. Si deve porre la vita piú vicina alla realtà di tutti i giorni, renderla piú consona all'atmosfera d'azione e d'imprevisto che ci avvolge.
Dobbiamo richiamare le avventure che abbiano per sfondo un valore individuale, messo alla prova dei piú moderni o magari dei futuri mezzi di offesa e di difesa.
La nuova gioventú cerca nelle avventure ansiosamente il saettar dei caccia, la fuga dei velivoli su cieli rossi di guerra; si agogna al brillar dell'occhio misterioso d'un periscopio in attesa vigilante; si attende, in ascolto, l'angoscioso battito di una radio sperduta, si chiede di conoscere il minaccioso serpeggiare sotterraneo della chimica presente e futura... tutto ciò chiede la nuova fantasia.
Occorre tener desto nella gioventú lo spirito di vedetta; mantenere vivo l'amore al pericolo, già naturalmente presente nell'anima giovanile, la bellezza e l'efficacia dell'azione individuale, la necessità delle competizioni, delle sfide, delle vittorie, ottenere che l'occhio limpido e deciso sappia fissare la meta nella sicurezza di raggiungerla e che dinanzi alle difficoltà del cimento esso non si offuschi mai.
A compiere quest'opera è chiamato il nuovo libro italiano. E perché non venga tradita quell'educazione della personalità morale che si vuole determinare nella nuova gioventú, su cui erigere la nuova personalità politica del cittadino fascista, del futuro milite della Patria, è necessaria una letteratura costruttrice di tutta una varia ed appassionante visione del mondo stretto ad unità da un profondo senso morale ed eroico della vita.
Anche le fantasticherie e le ragazzate devono risolversi nella piú severa legge della vita umana, nel suo divenire faticoso, attraverso la storia di una coscienza sempre piú certa della propria consacrazione al dovere.
I libri di erudizione scientifica dovranno mostrare il divenire del mondo e della vita nel loro aspetto naturale e sociale, quale esso è realmente, e contribuire alla formazione morale intitolata alla forza volitiva dell'uomo; quindi contenere nella elaborazione di dati e fenomeni, la storia dello sforzo con cui l'uomo osserva e lavora, far sentire tutto il dramma dell'Universo. Dovranno essere visioni del lavoro umano nelle sue piú coraggiose espressioni.
Il libro di storia sarà pervaso dalla passione cittadina di un popolo e dovrà destare il vivo senso di responsabilità per il patrimonio spirituale che i giovani devono cercare e trasmettere; dovrà contenere possenti rilievi di personalità chiarificatrici e dominatrici di eventi.
L'eroe si forma nel ragazzo.
E noi, che vogliamo eroica l'educazione, vogliamo anche il libro soffuso di eroismi, palpitante di intensa drammaticità, morale, religioso, qualunque sia il suo particolare contenuto.
Vogliamo considerato l'uomo oltre l'ambiente e oltre il destino: educare alla considerazione della vita sociale e di quelle concrete e storiche realtà su cui si debbono celebrare le vittorie dello spirito.
Chi è stato spesso davanti alle nostre Legioni di avanguardie ed ha visto mille e mille occhi fissi su di lui, pieni di domande, che nel loro eloquente silenzio chiedono risposta, aiuto e luce, sente tutta la responsabilità del momento, si sente attratto dalla pedagogia del moto fascista e vede la necessità di dare il bando a tutte le considerazioni precettistiche in cui finora stava imprigionata la nostra educazione.
Dalla nostra storia passata e recente, dalle prepotenti necessità della vita abbiamo appreso a moralizzare i ragazzi per le vie della realtà, spiritualizzata nei suoi motivi di virtú operante, ponendo l'animo del giovane pure di fronte a miserie e dolori che devono essere superati.
In quest'ardua missione i nostri scrittori dovranno aiutarci e nell'esprimere la loro personalità, con quello stile, ricco di fascino, vibrante di commozione e di fede, che avvince l'anima vergine, dovranno lanciare l'appello che invita alle battaglie, lanciare la forza giovanile affinché operi nel corpo della Nazione.
Eviteremo noi i difetti di una letteratura che, senza alcun criterio formativo, non cerca altro che di solleticare la curiosità. Eviteremo che nei ragazzi si desti la malattia dell'oscurità, la conoscenza delle piú ignobili viltà nascoste da fittizi tendoni di teatrali gesti di generosità e di valore, affinché una nuova mentalità investa di potenti soffi duraturi d'entusiasmo le schiere balde dei Balilla e delle Avanguardie e ne chiarifichi lo spirito dotandolo, con robuste radici, di disciplina cosciente e di volontà inflessibile ed allora giungeremo rapidamente al moschetto.
Moschetto: è l'ordine affinché ogni avanguardia mantenga armato lo spirito, teso verso gli obiettivi segnati dal Duce, nello sforzo di raggiungerli tutti e divenire quale Egli comanda d'essere.
Moschetto! Nella risoluzione pratica, necessaria o contingente, di questo comando che ci sovrasta accadrà che i nostri giovani sapranno imbracciarla, l'arma fedele, con dimestichezza, con gioia impaziente.
E cosí armati sapranno seguire il Duce sulla via della gloria, contro le passioni, contro le avversità del destino, contro la fatica, con la visione del pericolo nell'anima.
Marceranno, avanti, cosí come sanno marciare i giovani, tutta l'energia tesa verso la mèta, accompagnati dall'ansia dei cuori materni che oggi già assecondano la nostra gioventú ed infondono nei giovani il coraggio, quel senso di religioso eroismo che tempera le anime e le fortifica per le battaglie del corpo e dello spirito, conferisce loro il crisma della benedizione, senza arrestarle nell'aspra via di una coraggiosa esistenza.
La silenziosa offerta materna, offerta e sacrificio che muta ogni affanno in benedizione, sarà loro possente viatico nella faticosa ascesa; sorretti e vigilati da quest'ansia materna, che accompagna l'eterno e giocondo processo di emancipazione, i Balilla diverranno avanguardie, le avanguardie cittadini fascisti, militi ed apostoli di un'idea destinata a varcare i confini della Patria.
Renato Ricci, tratto da "Il Decennale"
Fonte
Noi combattiamo per imporre una più alta giustizia sociale [...] perché adesso è notte, ma poi verrà il giorno. - Mussolini
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