Intervista a Olivieri, amico e confidente di Edda nel dopoguerra, depositario della sintesi dei Diari della pupilla del Duce.
EDDA SI SEDETTE SUL DIVANO E COMINCIÒ A PARLARE DI RICORDI. POI MOSTRO’ I SUOI DIARI...
Vive in Sudafrica e ha deciso di raccontare tutto quello che la moglie di Ciano gli ha detto di Mussolini e dell'Italia fascista.Una confessione che cominciò così: «Olivieri, ho bisogno di dirle qualcosa»
CONSELICE (Ravenna) - Una casa grande e vuota. Vi abita per alcuni giorni l'anno Domenico Olivieri, 80 anni, il custode dei segreti di Edda. La contessa si sedeva sul divano giallo ocra o al tavolo ovale e lì la nostalgia si scioglieva in confessioni. Lui veniva dal Sudafrica, dove abita, per incontrarla. Per anni Edda e Domenico si sono incontrati da soli. Amore? Sì, per un passato che li teneva prigionieri.
Come si svolgevano i colloqui tra lei e Edda Ciano?
«All'inizio io mi annotavo quello che mi aveva detto dopo l'incontro. Poi chiesi alla contessa se potevo prendere appunti mentre parlava».
Stenografava?
«No, e ogni tanto le chiedevo una sosta perché non riuscivo a starle dietro».
E lei pazientemente si prestava?
«Sì, perché penso che in fondo desiderasse che qualcosa rimanesse».
Quale fu l'accordo tra lei e la contessa?
«Che io non avrei mai dovuto pubblicare niente prima della sua morte».
Com'è nato il suo rapporto confidenziale con la contessa?
«Ebbi la fortuna di conoscere i Mussolini, precisamente Vittorio Mussolini e la moglie Monica».
Da Vittorio Mussolini a Edda com'è arrivato?
«Un'estate venni in Italia e andai a trovare i Mussolini a Villa Carpena che è a San Martino di Forlì. Lì conobbi Edda. Cominciammo a parlare e nacque subito, come potrei dire?, una forma di interesse comune. Era una donna che aveva una vitalità particolare».
Perché dice: venni in Italia?
«Perché io vivo in Sudafrica dal 1951».
Può parlare della sua vita?
«Sono nato a Conselice nel '23, dopo la guerra l'ambiente era completamente diverso da quello in cui eravamo cresciuti, per me non era facile accettarlo. Un amico mio, che era stato prigioniero in Sudafrica, mi raccontò che era entusiasta di quel paese. Così partii».
Parte e arriva dove?
«A East London nella provincia di Capo di Buonasperanza e lì cercai una tenuta dove coltivare riso».
Perché il riso?
«Perché noi Olivieri di soprannome ci chiamano i risòn, perché i nostri antenati coltivavano riso e in Africa il riso veniva importato tutto. Ma non trovai il terreno adatto e mi misi a coltivare ananas».
E dopo?
«I primi quattro anni facevo il contadino, stavo sul trattore dalla mattina alla sera, poi mi feci una piccola fabbrichetta per inscatolare l'ananas. Questo avvenne nel '56. Nel '64 eravamo i più grossi produttori di ananas in scatola del sud dell'Africa. Inscatolavamo tra le 40 e le 50 mila tonnellate di ananas l'anno. Alla fine ho venduto tutto e ho investito in proprietà immobiliari. Due o tre volte l'anno sono sempre tornato in Italia».
E in una di queste vacanze conobbe Edda Ciano. Con lei che rapporto stabilì?
«Di stretta amicizia nel vero senso della parola e un giorno, eravamo stati al casinò di Venezia, la contessa dormì qui da me. Il giorno dopo dovevo accompagnarla a Villa Carpena e lei si sedette su quel divano lì. Io avevo una videocamera e le chiesi: 'Perché non mi racconti la tua vita davanti alla videocamera?'. Ci pensò poi disse: 'Perché no?'. Così iniziò a raccontarmi la sua vita e questo racconto è durato per due o tre anni». (Queste interviste filmate sono state trasmesse in tv e sono diventate un libro ma il memoriale che oggi Olivieri ha consegnato ad Arrigo Petacco è inedito e costituisce il documento storico più importante, ndr)
Quanto duravano questi colloqui?
«Un'ora, un'ora e mezzo, in genere di pomeriggio e di notte, anche fino alle 2. Poi continuarono nella sua casa a Roma. La prima volta che mi fece vedere un suo diario fu all'hotel Nazionale in piazza Montecitorio, poi gli altri a casa sua ai Parioli».
La prima volta come andò?
«Eravamo a questo tavolo e parlavamo del più e del meno, quando ad un certo punto la contessa cambiò espressione e mi disse: 'Olivieri, lei è un amico, io ho bisogno di dirle qualcosa su mio padre perché sono stanca delle porcherie che girano sul suo conto'. Così cominciò. Ad un tratto alzò gli occhi al cielo e disse: 'Papà scusa, sono una spergiura'. Aveva giurato al padre di non passare mai parola a nessuno».
Può descrivere i diari di Edda?
«Erano quadernetti, con una copertina color verde pallido o ricoperti con carta da pacchi color caffellatte. Sulla copertina c'erano numeri romani scritti con inchiostro bianco».
Quando vide i diari di Edda?
«A casa sua, li teneva in un cofanetto».
Quanti ce n'erano?
«Quattordici o quindici. Dopo aver aperto il cofanetto, ci sedemmo sul divano e lei prese uno di questi diari e aprì una certa pagina e me la lesse e da lì cominciai a trascrivere i diari di Edda e a raccoglierli nel mio mano scritto. La contessa leggeva e io scrivevo».
Quanti incontri ebbe?
«Ci incontravamo due o tre volte l’anno».
E lei ogni volta che veniva in Italia andava da Edda Ciano?
«Sì, era una tappa obbligata».
Ne era innamorato?
«No, per l'amor di Dio, innamorato in un certo senso sì perché le volevo un gran bene».
C'è stata una storia d'amore tra voi?
No nel modo più assoluto, c’era un’amicizia cristallina. Lei aveva un cameriere, una maggiordomo di colore che si chiamava Tatum e quando le telefonavo Tatum mi diceva: ‘Ah, è lei dottor Olivieri,le passo subito la contessa perché la contessa parla solo con lei'».
Questo privilegio come l'ha vissuto?
«Ero entusiasta di essere amico della figlia di Mussolini e quando la conobbi, rammento, ero emozionatissimo».
Qual è stata la sorpresa maggiore che ha avuto quando Edda le leggeva i suoi diari?
«Quando lei racconta di aver saputo che il Duce aveva fatto il possibile per far scappare Ciano e gli altri prigionieri dal carcere degli Scalzi a Verona».
Quando la contessa decide di bruciare i diari?
«Muore Emilio Pucci e lei mi fa sapere che vorrebbe parlare con me il più presto possibile, io ero in Sudafrica. Rientro in Italia alla fine del '92 e vado da Edda un giovedì pomeriggio, il 6 di gennaio del '93. Fu quel giorno che lo decise».
Perché la contessa dice a lei: 'Venga perché ho bisogno di parlarle'?
«Perché era morto il marchese Emilio Pucci, amico di Edda da tanti anni, e il cofanetto con i diari veniva custodito anche da Pucci. Quando la contessa ne aveva bisogno, chiamava Emilio e glielo passava. Quel cofanetto non lo lasciava mai incustodito e lo teneva o a casa sua o a casa di Pucci».
Che cosa accadde quel giorno?
«Rientrai in albergo, ero sceso al Parco dei Principi, dovevamo andare a cena insieme con la contessa ma ero così demoralizzato, piangevo realmente, perché avevamo distrutto la storia e annotai su una carta da lettere dell'hotel quel che avevamo fatto».
Quando era morto Emilio Pucci?
«Il 29 novembre del '92. Io sapevo che il marchese Pucci custodiva i diari e dopo la sua morte pensai che forse lei avrebbe chiesto a me di conservarli e speravo di convincerla a pubblicarli. Invece mi dice: 'Bruciamo i diari?', io cerco di convincerla a desistere. E lei: 'Nel modo più assoluto no, Domenico, mi e lì cominciammo a bruciare pagina per pagina dopo aver acceso il fuoco con un accendisigarette. Pagina per pagina. Lei mi porgeva una pagina e quando aveva finito di bruciare me ne dava un'altra. Io bruciavo e lei strappava».
In che stato d'animo era Edda Ciano?
«Era felice, felice di bruciare il passato. In continuazione le dicevo: 'Guarda che stiamo facendo un errore madornale', e lei mi diceva: 'Non è vero, questo è il giorno più felice della mia vita'».
Quanto è durato questo lavoro?
«Una mezz'ora, alla fine ero arrabbiatissimo tant'è vero che dovevamo andare a cena ai 'Piani', che era un ristorante vicino a casa sua e invece le dissi: 'Stasera vado a casa'. Ci siamo rivisti il giorno dopo, e anche il giorno dopo era felicissima di essersi liberata di quel fardello che l'aveva sempre accompagnata».
Però la contessa sapeva che lei aveva trascritto parte di quei diari. Che cosa le disse in proposito?
«Niente, non ne parlammo. Comunque Edda sapeva che una traccia sarebbe rimasta e che prima o poi avrei pubblicato quegli appunti o almeno avrei cercato di pubblicarli. Mentre facevamo quelle conversazioni noi ci davamo del lei e mi diceva: ‘Se lei vuole pubblicare queste memorie potrà pubblicarle solo dopo la mia morte, però non verrà mai creduto come non verrei creduta io’»
In altri momenti vi davate del tu?
«Dopo due o tre anni, quando l'amicizia divenne molto stretta ma in pubblico ci davamo del lei».
Con quale inchiostro erano scritte le pagine dei diari che lei ha bruciato?
«In nero e alcune in rosso».
Quali anni riguardavano i diari?
«Cominciavano dal '31 fino al '40, fino alla dichiarazione della guerra».
Perché interrotti lì?
«Probabilmente perché poi è andata a fare la crocerossina in Albania».
I suoi appunti quanto raccolgono dei diari di Edda?
«Starei per dire un 25 per cento».
Quando vi siete visti l'ultima volta?
«Il 25 ottobre 1994. Per la verità io la rividi in clinica, ormai morente, lei non parlava più, ma ebbe abbastanza forza per stringermi la mano». Si commuove.
Si aspetta di essere creduto?
«Non mi interessa di essere creduto, mi interessa solo che venga pubblicato quello che mi è stato raccontato, perché penso che in fondo questo fosse il desiderio della contessa»
EDDA SI SEDETTE SUL DIVANO E COMINCIÒ A PARLARE DI RICORDI. POI MOSTRO’ I SUOI DIARI...
Vive in Sudafrica e ha deciso di raccontare tutto quello che la moglie di Ciano gli ha detto di Mussolini e dell'Italia fascista.Una confessione che cominciò così: «Olivieri, ho bisogno di dirle qualcosa»
CONSELICE (Ravenna) - Una casa grande e vuota. Vi abita per alcuni giorni l'anno Domenico Olivieri, 80 anni, il custode dei segreti di Edda. La contessa si sedeva sul divano giallo ocra o al tavolo ovale e lì la nostalgia si scioglieva in confessioni. Lui veniva dal Sudafrica, dove abita, per incontrarla. Per anni Edda e Domenico si sono incontrati da soli. Amore? Sì, per un passato che li teneva prigionieri.
Come si svolgevano i colloqui tra lei e Edda Ciano?
«All'inizio io mi annotavo quello che mi aveva detto dopo l'incontro. Poi chiesi alla contessa se potevo prendere appunti mentre parlava».
Stenografava?
«No, e ogni tanto le chiedevo una sosta perché non riuscivo a starle dietro».
E lei pazientemente si prestava?
«Sì, perché penso che in fondo desiderasse che qualcosa rimanesse».
Quale fu l'accordo tra lei e la contessa?
«Che io non avrei mai dovuto pubblicare niente prima della sua morte».
Com'è nato il suo rapporto confidenziale con la contessa?
«Ebbi la fortuna di conoscere i Mussolini, precisamente Vittorio Mussolini e la moglie Monica».
Da Vittorio Mussolini a Edda com'è arrivato?
«Un'estate venni in Italia e andai a trovare i Mussolini a Villa Carpena che è a San Martino di Forlì. Lì conobbi Edda. Cominciammo a parlare e nacque subito, come potrei dire?, una forma di interesse comune. Era una donna che aveva una vitalità particolare».
Perché dice: venni in Italia?
«Perché io vivo in Sudafrica dal 1951».
Può parlare della sua vita?
«Sono nato a Conselice nel '23, dopo la guerra l'ambiente era completamente diverso da quello in cui eravamo cresciuti, per me non era facile accettarlo. Un amico mio, che era stato prigioniero in Sudafrica, mi raccontò che era entusiasta di quel paese. Così partii».
Parte e arriva dove?
«A East London nella provincia di Capo di Buonasperanza e lì cercai una tenuta dove coltivare riso».
Perché il riso?
«Perché noi Olivieri di soprannome ci chiamano i risòn, perché i nostri antenati coltivavano riso e in Africa il riso veniva importato tutto. Ma non trovai il terreno adatto e mi misi a coltivare ananas».
E dopo?
«I primi quattro anni facevo il contadino, stavo sul trattore dalla mattina alla sera, poi mi feci una piccola fabbrichetta per inscatolare l'ananas. Questo avvenne nel '56. Nel '64 eravamo i più grossi produttori di ananas in scatola del sud dell'Africa. Inscatolavamo tra le 40 e le 50 mila tonnellate di ananas l'anno. Alla fine ho venduto tutto e ho investito in proprietà immobiliari. Due o tre volte l'anno sono sempre tornato in Italia».
E in una di queste vacanze conobbe Edda Ciano. Con lei che rapporto stabilì?
«Di stretta amicizia nel vero senso della parola e un giorno, eravamo stati al casinò di Venezia, la contessa dormì qui da me. Il giorno dopo dovevo accompagnarla a Villa Carpena e lei si sedette su quel divano lì. Io avevo una videocamera e le chiesi: 'Perché non mi racconti la tua vita davanti alla videocamera?'. Ci pensò poi disse: 'Perché no?'. Così iniziò a raccontarmi la sua vita e questo racconto è durato per due o tre anni». (Queste interviste filmate sono state trasmesse in tv e sono diventate un libro ma il memoriale che oggi Olivieri ha consegnato ad Arrigo Petacco è inedito e costituisce il documento storico più importante, ndr)
Quanto duravano questi colloqui?
«Un'ora, un'ora e mezzo, in genere di pomeriggio e di notte, anche fino alle 2. Poi continuarono nella sua casa a Roma. La prima volta che mi fece vedere un suo diario fu all'hotel Nazionale in piazza Montecitorio, poi gli altri a casa sua ai Parioli».
La prima volta come andò?
«Eravamo a questo tavolo e parlavamo del più e del meno, quando ad un certo punto la contessa cambiò espressione e mi disse: 'Olivieri, lei è un amico, io ho bisogno di dirle qualcosa su mio padre perché sono stanca delle porcherie che girano sul suo conto'. Così cominciò. Ad un tratto alzò gli occhi al cielo e disse: 'Papà scusa, sono una spergiura'. Aveva giurato al padre di non passare mai parola a nessuno».
Può descrivere i diari di Edda?
«Erano quadernetti, con una copertina color verde pallido o ricoperti con carta da pacchi color caffellatte. Sulla copertina c'erano numeri romani scritti con inchiostro bianco».
Quando vide i diari di Edda?
«A casa sua, li teneva in un cofanetto».
Quanti ce n'erano?
«Quattordici o quindici. Dopo aver aperto il cofanetto, ci sedemmo sul divano e lei prese uno di questi diari e aprì una certa pagina e me la lesse e da lì cominciai a trascrivere i diari di Edda e a raccoglierli nel mio mano scritto. La contessa leggeva e io scrivevo».
Quanti incontri ebbe?
«Ci incontravamo due o tre volte l’anno».
E lei ogni volta che veniva in Italia andava da Edda Ciano?
«Sì, era una tappa obbligata».
Ne era innamorato?
«No, per l'amor di Dio, innamorato in un certo senso sì perché le volevo un gran bene».
C'è stata una storia d'amore tra voi?
No nel modo più assoluto, c’era un’amicizia cristallina. Lei aveva un cameriere, una maggiordomo di colore che si chiamava Tatum e quando le telefonavo Tatum mi diceva: ‘Ah, è lei dottor Olivieri,le passo subito la contessa perché la contessa parla solo con lei'».
Questo privilegio come l'ha vissuto?
«Ero entusiasta di essere amico della figlia di Mussolini e quando la conobbi, rammento, ero emozionatissimo».
Qual è stata la sorpresa maggiore che ha avuto quando Edda le leggeva i suoi diari?
«Quando lei racconta di aver saputo che il Duce aveva fatto il possibile per far scappare Ciano e gli altri prigionieri dal carcere degli Scalzi a Verona».
Quando la contessa decide di bruciare i diari?
«Muore Emilio Pucci e lei mi fa sapere che vorrebbe parlare con me il più presto possibile, io ero in Sudafrica. Rientro in Italia alla fine del '92 e vado da Edda un giovedì pomeriggio, il 6 di gennaio del '93. Fu quel giorno che lo decise».
Perché la contessa dice a lei: 'Venga perché ho bisogno di parlarle'?
«Perché era morto il marchese Emilio Pucci, amico di Edda da tanti anni, e il cofanetto con i diari veniva custodito anche da Pucci. Quando la contessa ne aveva bisogno, chiamava Emilio e glielo passava. Quel cofanetto non lo lasciava mai incustodito e lo teneva o a casa sua o a casa di Pucci».
Che cosa accadde quel giorno?
«Rientrai in albergo, ero sceso al Parco dei Principi, dovevamo andare a cena insieme con la contessa ma ero così demoralizzato, piangevo realmente, perché avevamo distrutto la storia e annotai su una carta da lettere dell'hotel quel che avevamo fatto».
Quando era morto Emilio Pucci?
«Il 29 novembre del '92. Io sapevo che il marchese Pucci custodiva i diari e dopo la sua morte pensai che forse lei avrebbe chiesto a me di conservarli e speravo di convincerla a pubblicarli. Invece mi dice: 'Bruciamo i diari?', io cerco di convincerla a desistere. E lei: 'Nel modo più assoluto no, Domenico, mi e lì cominciammo a bruciare pagina per pagina dopo aver acceso il fuoco con un accendisigarette. Pagina per pagina. Lei mi porgeva una pagina e quando aveva finito di bruciare me ne dava un'altra. Io bruciavo e lei strappava».
In che stato d'animo era Edda Ciano?
«Era felice, felice di bruciare il passato. In continuazione le dicevo: 'Guarda che stiamo facendo un errore madornale', e lei mi diceva: 'Non è vero, questo è il giorno più felice della mia vita'».
Quanto è durato questo lavoro?
«Una mezz'ora, alla fine ero arrabbiatissimo tant'è vero che dovevamo andare a cena ai 'Piani', che era un ristorante vicino a casa sua e invece le dissi: 'Stasera vado a casa'. Ci siamo rivisti il giorno dopo, e anche il giorno dopo era felicissima di essersi liberata di quel fardello che l'aveva sempre accompagnata».
Però la contessa sapeva che lei aveva trascritto parte di quei diari. Che cosa le disse in proposito?
«Niente, non ne parlammo. Comunque Edda sapeva che una traccia sarebbe rimasta e che prima o poi avrei pubblicato quegli appunti o almeno avrei cercato di pubblicarli. Mentre facevamo quelle conversazioni noi ci davamo del lei e mi diceva: ‘Se lei vuole pubblicare queste memorie potrà pubblicarle solo dopo la mia morte, però non verrà mai creduto come non verrei creduta io’»
In altri momenti vi davate del tu?
«Dopo due o tre anni, quando l'amicizia divenne molto stretta ma in pubblico ci davamo del lei».
Con quale inchiostro erano scritte le pagine dei diari che lei ha bruciato?
«In nero e alcune in rosso».
Quali anni riguardavano i diari?
«Cominciavano dal '31 fino al '40, fino alla dichiarazione della guerra».
Perché interrotti lì?
«Probabilmente perché poi è andata a fare la crocerossina in Albania».
I suoi appunti quanto raccolgono dei diari di Edda?
«Starei per dire un 25 per cento».
Quando vi siete visti l'ultima volta?
«Il 25 ottobre 1994. Per la verità io la rividi in clinica, ormai morente, lei non parlava più, ma ebbe abbastanza forza per stringermi la mano». Si commuove.
Si aspetta di essere creduto?
«Non mi interessa di essere creduto, mi interessa solo che venga pubblicato quello che mi è stato raccontato, perché penso che in fondo questo fosse il desiderio della contessa»
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