Segreti di Stato.
Marco Affatigato fu il primo, nel settembre del 1999, a sostenere il coinvolgimento del gruppo Carlos nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti, oltre 200 feriti). Da quelle sue rivelazioni, rese al giornalista e consulente della Commissione stragi Gian Paolo Pelizzaro, venne avviata una ricerca che nel luglio del 2005 portò alla conferma che a Bologna il giorno dell’attentato c’era proprio un uomo di Carlos, l’estremista tedesco Thomas Kram. E nell’estate dello stesso anno, anche in seguito a una serie di interrogazioni parlamentari, la Procura di Bologna ha aperto un nuovo fascicolo d’indagine sulla strage del 2 agosto. L’inchiesta, a distanza di otto anni, è ancora in corso e – dall’agosto 2011 – vede iscritti sul registro degli indagati Kram e la sua sodale Christa-Margot Fröhlich come ex appartenenti al gruppo Carlos. Sono inoltre in corso una serie di accertamenti anche sul cittadino giordano di origini palestinesi Abu Anzeh Saleh, già capo dell’organizzazione militare del Fronte popolare per la liberazione della Palestina in Italia all’epoca residente a Bologna, e “ufficiale” di collegamento con Carlos. Con Affatigato abbiamo avuto una lunga conversazione durante la quale siamo tornati sull’argomento. La prima domanda che gli abbiamo rivolto è proprio quella su come venne a sapere che Carlos e la sua organizzazione terroristica sarebbero stati in qualche modo collegati all’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna. Va ricordato che proprio la vicenda dell’intervista rilasciata da Affatigato nel settembre 1999 a Gian Paolo Pelizzaro e pubblicata sul mensile Area nel numero di ottobre dello stesso anno (titolo “Un uomo per due misteri”) è al centro del processo in corso davanti l’VIII Sezione Penale del Tribunale di Roma presieduta dal giudice Maria Teresa Cialoni che vede imputati per diffamazione aggravata gli allora direttori responsabili di Liberazione e l’Unità, Piero Sansonetti e Antonio Padellaro, e i due autori degli articoli pubblicati il 28 luglio 2006. Il testo integrale dattiloscritto e controfirmato da Affatigato della sua intervista venne depositato da Pelizzaro agli atti della Commissione Stragi nel febbraio del 2000 per le doverose e opportune verifiche da parte dell’organismo bicamerale d’inchiesta. Proprio per dovere deontologico, infatti, quel passaggio su Carlos e Bologna non è stato pubblicato nella versione dell’intervista apparsa su Area e questo proprio perché non era stato possibile verificare le parole dell’ex estremista di destra. Pelizzaro è stato ascoltato come teste nel processo di Roma alle udienze dell’11 e 19 febbraio scorso, durante le quali ha ricostruito la genesi di quell’intervista e lo sviluppo del lavoro di inchiesta per le Commissioni Stragi e Mitrokhin fino alla riapertura delle indagini sul 2 agosto da parte della Procura della Repubblica di Bologna.
Ecco il resoconto puntuale di questa chiacchierata.
Affatigato, come venne a sapere che Carlos e i palestinesi erano in qualche modo collegati alla strage di Bologna?
«Lo venni a sapere in conseguenza al mio agire come infiltrato all’interno di una “cellula” terroristica sostenuta e finanziata dal regime dell’ayatollah Khomeini. Dal 1979 infatti collaboravo coi servizi francesi e americani».
Lei dunque crede che a Bologna a compiere la strage sia stato il gruppo di Carlos per conto dei palestinesi?
«Ho sempre sostenuto che furono uomini di Carlos».
Nel libro L’aquila e il condor. Memorie di un militante politico di Stefano Delle Chiaie (Sperling & Kupfer, 2012) a pagina 242 si legge: «Affatigato era a Nizza [il 2 agosto 1980] e la circostanza era più che nota. Il suo domicilio era apparso sul quotidiano Nice-Matin, che aveva pubblicato un annuncio per il suo compleanno. Il presidente della Repubblica italiano, Sandro Pertini, aveva fatto pervenire ad Affatigato un telegramma di congratulazioni per l’opera di giornalista svolta all’estero. Affatigato stesso lo aveva mostrato a numerosi camerati francesi. Il telegramma presidenziale era datato 11 luglio 1980».
Corrisponde al vero quanto scrive Delle Chiaie?
«Non è proprio così come è descritto, ma la circostanza del telegramma corrisponde al vero. Sì… e [quel telegramma] lo conservo sempre. Ebbi modo di conoscere personalmente il presidente Sandro Pertini a fine maggio giugno del 1980, sulla Promenade des Anglais».
Lei era già stato coinvolto, suo malgrado, nelle indagini sul disastro del Dc9 Itavia?
«Non ancora al momento che conobbi il presidente e la sua conoscenza fu per un evento casuale».
Però se Pertini le mandò veramente un telegramma l’11 luglio 1980, a quella data lei era già stato chiamato in causa.
«Sì [il telegramma] arrivò in Francia l’11 luglio 1980. Se mi permette le spiego anche la conoscenza del Presidente. Lui era seduto su una panchina che guardava il mare, fumando la pipa… era solo… nessuna scorta… io passeggiavo sulla Promenade… a un certo punto vidi la sua figura e rimasi un po’… sa quando vede una persona o una cosa e non ci si crede… ma quello è Pertini… mi dissi… poi guardai in giro per vedere se c’erano poliziotti o gendarmi o altre figure, insomma una scorta… mi dissi non è Pertini… ora il presidente della Repubblica è lì, solo, a sedere su una panchina… senza scorta… ma no! Sarà uno che gli somiglia… allora mi ricordai che più volte aveva detto di vivere a Nizza… in un piccolo appartamento e che quando aveva tempo ci si rifugiava… eppure io ero lì… latitante, ricercato in Italia e… se fosse stato Pertini… avevo a portata di mano il presidente della Repubblica… la curiosità (ma anche la paura) era tanta… mi avvicinai… lui scrutava l’orizzonte del mare… vinsi la paura e mi misi a sedere sulla panchina… insieme a lui… tanto la curiosità era così forte… lo guardai e gli dissi… Signor Presidente… e lui mi rispose… Italiano? Sì… Di dove? Di Lucca. Cominciò così la nostra conversazione… e spaziò in modo inimmaginabile… tant’è che lui sapeva chi ero io, dopo… e io posso dirle che è stato il Presidente di tutti gli italiani… antifascista certamente… ma di tutti gli italiani… è stato l’unico vero Presidente della Repubblica italiana. So anche che in conseguenza al 2 agosto 1980… alcuni suoi avversari volevano utilizzare la “nostra conoscenza” per farlo dimettere, in quanto egli aveva saputo dove viveva un “latitante ricercato” e non lo aveva comunicato al Ministero dell’Interno. Sapeva che non c’entravo niente… come sapeva che non c’entravo niente con Bologna».
Pertini è sempre stato una persona che faceva le cose che sentiva senza guardare troppo i formalismi, ma sicuramente un telegramma poteva risultare un atto molto sconveniente e i suoi avversari potevano strumentalizzarlo.
«Non è solo l’assenza di “formalismo”… è che sapeva leggere nelle persone… i suoi avversari ci hanno provato… anche quando al Procuratore Capo di Bologna, Viola… gli disse… “non è possibile!”».
Se vuole mi può dire cosa c’era scritto nella sostanze nel telegramma?
«I migliori auguri».
Solo così? Quindi un attestato di stima e nulla più…
«Ebbi modo di incontrarlo nuovamente… a fine ottobre 1980, se ricordo bene… la direzione del carcere era in subbuglio… il presidente Pertini, questa volta con la scorta… seppur limitata… che rendeva visita ad un “detenuto”… Per l’occasione venne utilizzato l’ufficio del direttore».
Visto che abbiamo fatto cenno a Bologna, voglio chiederle una cosa. Lei è stato il primo a parlare di Carlos in merito alla strage di Bologna. Lo rivelò a Gian Paolo Pelizzaro in una intervista. Quel brano dell’intervista non venne pubblicato su Area, ma, portato da Pelizzaro in Commissione stragi. Quella informazione dette l’avvio alla ricerca che ha poi consentito la riapertura di un fascicolo sulla strage alla stazione di Bologna da parte della Procura felsinea nel novembre 2005. L’intervista in oggetto è del settembre-ottobre 1999. Nel marzo 2000 sarà lo stesso Carlos a parlare di un «compagno» presente a Bologna in stazione il 2 agosto…
«Sì! Per primo lo dissi a Gian Paolo Pelizzaro. È un po’ complessa la cosa… Carlos faceva parte di quel gruppo terroristico transnazionale che operava nel 1979-1980 in Europa e nel mondo al fine di compiere azioni, finanziate dall’Iran dell’ayatollah Khomeini, contro gli infedeli occidentali si direbbe oggi, all’epoca erano presi di mira obiettivi Nato… ritengo che il mio nominativo inserito nel contesto di Ustica (e successivamente in quello di Bologna) servisse a “bruciare” la mia persona all’interno di quel “gruppo” e quindi a impedire che io venissi a conoscenza di informazioni che potevano nuocere l’assetto dell’intelligence militare italiana che, invece, copriva questo gruppo… del resto del “lodo Moro” ne abbiamo preso, pubblicamente, conoscenza solamente da poco tempo e grazie alle esternazioni di Cossiga che nel 1980 era presidente del Consiglio».
Infatti l’informazione del suo orologio Baume & Mercier, che avrebbe permesso di riconoscere il cadavere dell’attentatore a bordo del Dc 9 Itavia, era un dettaglio che potevano conoscere solo in pochi…
«Solo l’intelligence militare italiana e grazie a un loro “corrispondente”… Grazie a Dio… con le mie informazioni, prima che mi si “bruciasse” qualche attentato sono riuscito a evitarlo… e anche a fare smantellare qualche réseaux, anche in Italia e penso che sia stato proprio quello il “campanello d’allarme” che ha portato il Sismi, con il quale non ho mai collaborato (del resto neanche con il Sisde), a bruciarmi… Interessante è ascoltare le dichiarazioni dell’ex ministro De Michelis sia su Ustica che su Bologna… laddove dice che tutti, tutti sappiamo cosa è successo a Ustica come a Bologna… ma la ragion di Stato ci impone il silenzio».
Lei dunque crede che a Bologna a compiere la strage sia stato il gruppo di Carlos per conto dei palestinesi?
«Ho sempre sostenuto che furono uomini di Carlos».
Lo seppe dai francesi? Sa, mi sono fatto l’idea che quando nell’agosto 1999 uscì la sentenza ordinanza di Rosario Priore su Ustica che tirava in ballo i francesi… questi decisero di far sapere ciò che sapevano su Bologna… mi sbaglio?
«Bella domanda… Come mai un ispettore dei Rg (Renseignements Généraux,la polizia politica francese) si trovava a Bologna in quei giorni? Come si dice a domanda si risponde con una domanda…».
Chi era? È un fatto noto? Vuole dire che i francesi sapevano che stava capitando qualcosa e avevano un osservatore a Bologna?
«Ma tutti (le intelligence intendo) sin dal maggio 1980 sapevano che un fatto grave sarebbe accaduto a Bologna nel corso dell’estate… l’intelligence francese, come quella americana, come quella tedesca, come… quella italiana che anziché attivarsi per prevenirlo e cercare di evitarlo, sin da giugno si attivò per “coprire” il “fatto grave che sarebbe avvenuto a Bologna” dando l’incarico all’allora tenente colonnello Federigo Mannucci Benincasa (Capo Centro Sismi a Firenze e non è da sottovalutare il fatto che precedentemente era stato Capo Centro Sismi a Padova) di indicare il mio nome come autore dell’attentato sotto la sigla Nar… l’attentato di Bologna, che non è collegato a Ustica come sino ad oggi si pensava, doveva aver luogo e l’intelligence italiana “doveva coprirlo”… e da qui i depistaggi sul mondo di estrema destra… Grazie anche alla complicità di “prezzolati” veneti e bolognesi, questi sì al soldo del Sismi, che si sono prestati per far incastrare la Mambro e Fioravanti dando loro appuntamento a Bologna il giorno della strage… in questo modo era facile addebitare la strage ai “fascisti” e poter così reprimere l’area spontaneista armata ma anche quella politica. Non si è infatti mai vista, nella storia politico-giudiziaria italiana, tanta repressione esercitata nei confronti della destra e dell’estrema destra italiana finanche ad arrestare gli avvocati difensori dei militanti e simpatizzanti ingiustamente carcerati… in carcere, senza motivo se non quello politico come si è potuto vedere poi anche nei processi, finirono militanti e simpatizzanti provenienti dal Fronte della Gioventù fino a quelli di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, passando per Terza Posizione… fu un vero “colpo di Stato democratico”…».
L’intelligence italiana doveva cercare di fermare la ritorsione palestinese, non ci riuscì e quindi poi coprì, è questo che intende?
«Come ho detto prima, non c’ha neanche provato a fermarla…».
Beh qualche pressione sui giudici di Chieti la fecero perché si usasse clemenza verso Abu Anzeh Saleh & C… Comunque lei è stato un personaggio chiave nel far sì che, anche se a distanza di 20 anni, si riaprisse il vaso di pandora…
«Nessuno vuole riaprire il vaso di pandora… troppe persone coinvolte direttamente e indirettamente ancora in vita e in vista. Non tutti sono Sandro Pertini. Del resto, Mambro e Fioravanti sono fuori… no? Ciavardini? I non responsabili… li hanno liberati. Adottiamo ciò che dice De Michelis: tutti sappiamo quello che è successo sui cieli di Ustica (e io aggiungo anche a Bologna), ma la ragion di Stato impedisce di renderlo pubblico. Perché andare a richiedere una revisione del processo… sarebbero gli unici titolati a farlo (e avrebbe fatto scalpore) tutto il resto è… ragion di Stato».
Non crede che sia giunto il tempo per arrivare a qualche verità sulle tragedie che hanno insanguinato quegli anni?
«La verità? Scusi… quale “verità”? Quella giuridica o quella reale? O quella “oltre”? È come Piazza Fontana, è come l’Italicus, è come Brescia».
A me interessa la verità reale, storica.
«La verità storica la scrivono i vincitori quella “oltre” chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Ha provato a chiedere a qualche studente… preso a caso… se Piazza Fontana gli ricorda qualcosa… se l’Italicus… se Piazza della Loggia… gli ricordano qualcosa? C’è stata un’opera di rimozione totale con la complicità di chi voleva la fantasia al potere e di chi, a quell’epoca, scendeva in piazza a manifestare per l’assassinio di Pinelli e le stragi di Stato e le stragi fasciste … si è mai chiesto perché è tutt’ora mantenuto il “segreto di Stato”? Eppure di primi ministri (anche del Pci-Pd) ne son passati. Come pure presidenti (addirittura provenienti dal Partito Radicale, come Francesco Rutelli) del Comitato interministeriale sui Servizi di Sicurezza. O pure ci sono stati sindacalisti del tenore di Lama e Bertinotti in Parlamento. Ripeto Gianni De Michelis è il solo che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno».
Torniamo ancora per un attimo all’ormai famosa intervista rilasciata a Gian Paolo Pelizzaro nel settembre del 1999 e pubblicata sul mensile Area nel numero di ottobre dello stesso anno. A distanza di 14 anni, ci può finalmente svelare da chi ebbe quell’informazione su Carlos e la cellula palestinese presente a Bologna il giorno della strage? Sarebbe un modo per mettere a tacere tanti teoremi e dietrologie su questo aspetto della vicenda.
«La venni a sapere in conseguenza al mio agire all’interno di questa “cellula” sostenuta e finanziata dal regime dell’ayatollah Khomeini. Attraverso un addetto dell’ambasciata iraniana di Londra ottenni informazioni circa un gruppo che agiva in Italia e queste informazioni portarono la Cia ad operare nel nostro Paese nel mese di maggio 1980 “prelevando” gli identificati e smantellando quella cellula operativa in Italia, fra il Nord ed il Centro. Per tale operazione la Cia dovette appoggiarsi all’intelligence italiana, nel rispetto delle convenzioni internazionali».
In sostanza dunque ne venne a conoscenza nell’ambito della sua attività di “infiltrato”?
«Sì».
Ma il ruolo specifico di Carlos?
«Carlos non è “leggibile” sul concetto di persona fisica ma bensì in qualità di “gestore” del gruppo che a lui faceva riferimento a livello transnazionale e nel contesto delle azioni che da questo gruppo furono messe in piedi (ed effettuate) nel corso del 1979 e 1980, compreso gli “attentati ritorsivi” ai treni e alle stazioni che ebbero luogo in Francia [nel 1982 e 1983, per i quali, nel dicembre 2011, Carlos è stato condannato all’ergastolo, insieme a Johannes Weinrich e Ali Kamal al Issawi] e quelli “a bersaglio” ch’ebbero luogo in Germania, Spagna e Grecia. La Francia venne colpita perché non ebbe ad “accordarsi” quale zona franca e l’Italia venne colpita perché violò l’accordo di zona franca, un “accordo” subitamente riattivato con l’arrivo al governo di Bettino Craxi (non a caso, in conseguenza all’azione pilotata di Mani Pulite, Craxi ebbe a rifugiarsi in Tunisia sotto la protezione dei palestinesi). In Europa, in quegli anni, aveva luogo una “guerra” contro chi difendeva gli interessi e strategia politica mediorientale di Israele ed i “ricatti terroristici” servivano solamente a spostare gli “assi politici” a favore di “istanze” filoarabe nel contesto geopolitico mediorientale che si giocavano nei “palazzi di vetro” d’Europa e degli Usa».
Può dire qualcosa di più su questo “gruppo” nel quale era infiltrato?
«Come già detto si trattava di un “gruppo terroristico internazionale” i cui soggetti componenti erano tutti “battitori liberi” ovvero non facevano più riferimento alle loro organizzazioni di origine. Questo “gruppo” agiva dietro compenso monetario (od altro) e anche Carlos ne faceva parte. Nel momento in cui io agii gli obiettivi che questo gruppo doveva colpire erano “obiettivi Nato” in Europa. In quel momento un finanziatore era l’Iran attraverso l’ambasciata iraniana in Gran Bretagna e quindi il “filone politico” era di carattere khomeinista. Era un gruppo composto da soggetti di diverse nazionalità. Alcune cellule operative furono neutralizzate e alcuni attentati sventati. La neutralizzazione della cellula in Italia avvenne verso la fine di maggio 1980 e fu un’operazione del tutto segreta che interessò le città di Milano, Firenze e Roma. L’azione come ho già detto fu posta in essere dalla Cia in Italia, che agì in collaborazione con l’intelligence italiana. Quando il mio nome apparve sulla stampa italiana per Ustica, l’agente di collegamento Cia di Parigi ritenne opportuno che io mi sganciassi dal “gruppo” ».
Come mai se nel maggio 1980 fu smantellata la cellula terroristica in Italia ci fu lo stesso l’attentato di Bologna? Da chi era composta quella cellula disinnescata?
«Lo smantellamento di quella cellula ebbe luogo a fine maggio. Ciò non vuol dire che non potessero esistere altre cellule in sonno in Italia. I soggetti che componevano quella cellula erano di origine diverse (latino americane e mediorientali). Circa la motivazione dell’attentato di Bologna… qui le ipotesi possono essere diverse. Fatto sta che il Sismi era a conoscenza di un “fatto grave” che sarebbe avvenuto a Bologna e di questa “conoscenza” , pur non sapendo la data, ne aveva informato il capocentro Sismi di Firenze prima del fatto di Ustica. Tutto lascia supporre, in tempistica, che ciò sia avvenuto nella prima quindicina del mese di giugno. Ma a questa domanda dovrebbe rispondere il Colonnello Mannucci Benincasa».
Nel gruppo in cui lei era infiltrato c’erano anche dei tedeschi?
«Sì».
Ne conosceva i nomi?
«Sì per quelli che ho conosciuto fisicamente, ma potevano essere anche pseudonimi. Per questo agli incontri con l’agente di collegamento Cia di Parigi si facevano ricognizioni fotografiche in modo che l’intelligence potesse dare il giusto nome».
Lei ha mai conosciuto o incontrato Carlos?
«No che io sappia».
Abbiamo iniziato questa chiacchierata con un libro, quello di Delle Chiaie, e vorrei concludere con un altro libro. Mi riferisco a Stragi e mandanti. Sono veramente ignoti gli ispiratori dell’eccidio del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna? a cura del presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, e del giornalista Roberto Scardova (Aliberti Editore, 2012). In questo libro lei viene chiamato in causa ripetutamente. In particolare le viene attribuito il ruolo (consapevole o inconsapevole) di essere stato parte di quello che gli autori definiscono un “depistaggio preventivo”.
«Hanno ragione nel definirlo “depistaggio preventivo” e circa il mio “ruolo”… beh, quello mi è stato cucito addosso dal Sismi… se fossero riusciti anche nell’intento di uccidermi, magari come forse era anche progettato facendo sparire anche il mio cadavere… il loro gioco, forse, sarebbe riuscito e allora i magistrati avrebbero avuto: un attentatore morto nell’esplosione il cui cadavere non si trovava più perché disintegrato, ma che testimoni lo avevano riconosciuto (significativa per capire che lo “schema” è stato ripetuto con la strage di Bologna, è la telefonata su Ustica fatta al Corriere della Sera da parte del Capo Centro Sismi, se andate a riprenderla dice tutto e già il giorno dopo i quotidiani lo avevano scritto, solo che il Capo Centro sbagliò “evento”)».
Affatigato, lei quindi si riconosce nella ricostruzione proposta nel libro Stragi e mandanti? In particolare nei capitoli “Ustica e Bologna: il depistaggio preventivo” e soprattutto “La trappola Affatigato” dove lei viene dipinto come un capro espiatorio, utilizzato dai servizi segreti italiani e americani che, secondo il libro sopra citato, sapevano con molti mesi di anticipo che ci sarebbe stata una strage a Bologna. E viene additato come possibile terrorista suicida sull’aereo precipitato ad Ustica e poi come attentatore per Bologna.
«Può essere. Ma una cosa è certa: il mio nome è servito come “capro espiatorio”. Questo è fuori da ogni dubbio! Ma le ipotesi circa le motivazioni? Sono anch’io da più di trent’anni, ormai, che le sto vagliando e ne darò atto nel libro che sto redigendo e che sarà prossimamente pubblicato. Una domanda mi sono sempre posto: è stato il Sismi ad organizzare uno “sputtanamento pubblico mondiale” sul mio nome tanto da impedire la mia permanenza all’interno di quel “gruppo terroristico”? È partito dal Sismi l’ordine di dare in pasto alla stampa il mio nome legato ad “un fatto grave” che sarebbe avvenuto a Bologna, ordine che viene impartito alla fine del mese di maggio inizi di giugno 1980, subito dopo che, in conseguenza alla mia nota (con nomi e luoghi) riguardante una “cellula” in Italia di quel gruppo, l’intelligence statunitense ebbe ad intervenire sul suolo italiano – richiedendo la collaborazione dell’intelligence italiana – rendendola inoffensiva? Se la mia “permanenza” in seno a quel “gruppo” fosse rimasta attiva mi avrebbe forse portato a conoscenza di complicità da parte di elementi dello Stato italiano indicibili?».
Lei dunque in quel periodo era infiltrato negli ambienti iraniani (che non sono né palestinesi, né arabi, né libici). Nel libro a cura di Bolognesi e Scardova, a pagina 257, c’è scritto: «Il piano elaborato per il dopo 2 agosto era semplice e micidiale: Affatigato in contatto con i palestinesi e riconosciuto come presente a Bologna al momento della strage…». Lei era in contatto, o infiltrato, anche con organizzazioni palestinesi?
«A quell’epoca, nel 1980, non ho avuto contatti con organizzazioni palestinesi. Né, tanto meno, ho mai detto di essere stato infiltrato in “ambienti iraniani” ma bensì in un gruppo che aveva quale obiettivo quello di compiere attentati anti Nato e che questo gruppo era finanziato e sostenuto dagli ambienti iraniani dell’ayatollah Khomeini. Ho sempre detto che di questo gruppo facevano parte soggetti di diverse nazionalità e non solo di “palestinesi” tout court . Era un gruppo transnazionale “a pagamento”. Il gruppo in oggetto, al momento in cui vi ero inserito, riceveva direttive da un addetto dell’ambasciata iraniana a Londra. Addetto che, conseguentemente ad una ricognizione fotografica, venne identificato dall’intelligence… poi, purtroppo venni “bruciato” con la pubblicazione del mio nome sul Corriere della Sera per l’affare Ustica e, a bruciarmi, fu proprio il Sismi. Tutti additano i “palestinesi” come autori dell’attentato alla stazione di Bologna. Io ho sempre indicato quale autore materiale il “gruppo Carlos”, che nel 1980 agiva in forma autonoma e a pagamento. Tanto è vero che, anche dopo gli attentati alle stazioni e ai treni in Francia, Carlos troverà rifugio finale non in Tunisia o Libia, dove vi erano basi organizzative e operative “palestinesi”, ma in Sudan (è qui infatti che [nel 1994] le forze dell’intelligence francese lo cattureranno e lo trasferiranno subitamente in Francia, dove oggi da prigioniero reclama di essere sentito dall’autorità giudiziaria italiana circa la strage di Bologna, ma “risponderà solamente solo se trasferito dalle prigioni francesi in quelle italiane” e quest’ultimo aspetto dovrebbe far porre delle ulteriori domande agli inquirenti: con la sua eventuale venuta in Italia – anche se in carcere – l’Italia dovrebbe applicare il lodo Moro che garantiva “impunità” ? Se fosse così, allora è giusto che i francesi se lo tengano ristretto nelle loro prigioni… in Italia, forse, correrebbero il rischio di vederselo “evadere” )».
A pagina 256 sempre del libro Stragi e mandanti, viene citato un passo della sua partecipazione alla trasmissione “Samarcanda” andata in onda su Raitre il 29 novembre 1990 e precisamente quello in cui lei afferma: «Dal 1972 al 1976 l’Italia è stata utilizzata come punto di passaggio di esplosivi provenienti dall’Olp palestinese e dalla Falange libanese, destinati all’Eta e all’Ira. Il passaggio di questi esplosivi attraverso l’Italia sarebbe stato gestito da vari elementi della destra, tra i quali alcuni di Ordine Nuovo. I soggetti più attivi in questa operazione furono Lotta di Popolo per quanto riguarda il Centro-Sud e il gruppo di Freda al Nord».
Può precisare meglio questa dichiarazione?
«No! Se non solo sull’aspetto che quando citavo Ordine Nuovo facevo riferimento al gruppo veneto legato al Centro Studi Ordine Nuovo. Comunque non sono cose che ho vissuto e quindi è solo un “riportato”. Per vissuto direttamente posso oggi affermare che il Movimento Politico Ordine Nuovo avrebbe voluto avere rapporti con il “mondo” gravitante intorno alle organizzazioni palestinesi come anche con l’Ira, ma non è mai riuscito a trovare il “contatto” neanche quando il maggior dirigente nazionale si trovava rifugiato a Londra».
Lei il 17 maggio 1980 rilasciò al Secolo XIX di Genova un’intervista che però fu pubblicata solo il 19 agosto 1980, a più di due settimane dalla strage di Bologna, nella quale sosteneva tra l’altro collegamenti tra Brigate Rosse e Ordine Nuovo. Non si chiese come mai la sua intervista non fu pubblicata poco dopo che lei l’aveva rilasciata?
«È tuttora in corso un’indagine della magistratura. Mi permetta di rinunciare a rispondere».
Infine le vorrei chiedere una precisazione sull’ispettore dei RG francesi, al quale lei ha prima accennato, colui che si trovava a Bologna in quei giorni dell’estate 1980. Si riferisce forse a Paul Durand? Secondo la sentenza-ordinanza su Bologna del giugno 1986 «Paul Durand, all’epoca ispettore in prova presso la polizia giudiziaria di Versailles (ma fino ad aprile era stato addetto ai Renseignements Généraux, equivalente al nostro Ufficio Affari Riservati, col nome di copertura di Paul Dupuis) ed esponente di rilievo della Fane (Fédération d’Action Nationale et Européenne), organizzazione neonazista capeggiata da Marc Fredriksen, effettuò un viaggio in Italia nel luglio 1980». Il viaggio in Italia iniziò da Parigi il 4 luglio e si concluse il 28. Durand fece tappa a Bologna il 12- (13) luglio, ma non era a Bologna il 2 agosto 1980.
«Come sopra, mi permetta di rinunciare a rispondere».
Gabriele Paradisi
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Chi è Marco Affatigato
Marco Affatigato, nasce a Lucca nel 1956. È stato esponente del Movimento Politico Ordine Nuovo, sciolto nel 1973 con decreto del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, a seguito della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma per «ricostituzione del disciolto Partito fascista».
Dalla Corte di Assise di Arezzo, nel 1976, Affatigato viene condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione con l’accusa, sostenuta dal p.m. Mario Marsili (genero del venerabile Licio Gelli), di «promozione e organizzazione del disciolto Partito Fascista».
Dal Tribunale di Pisa, nel 1977, viene condannato a tre anni e sei mesi di reclusione con l’accusa di «favoreggiamento personale» a Mario Tuti.
Dalla Corte di Assise di Firenze, nel 1989, viene condannato a cinque anni di reclusione con l’accusa, sostenuta dal procuratore Pierluigi Vigna, di «partecipazione ad associazione sovversiva».
Vivrà alcuni anni latitante all’estero ed in particolare in Inghilterra (insieme a Clemente Graziani, leader indiscusso del Movimento Politico Ordine Nuovo), in Francia, Libano, Nicaragua.
Dal 1979 inizia una collaborazione coi servizi segreti francesi e americani come “agente infiltrato” in una cellula terroristica internazionale, finanziata dal regime iraniano dell’ayatollah Khomeini.
Coinvolto dai vertici del Sismi quale presunto attentatore suicida nella strage di Ustica del 27 giugno 1980 e subito dopo nell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, viene arrestato in Francia e, in applicazione del Trattato di Yalta, estradato in Italia e rinchiuso nel carcere di Ferrara. Nel 1986 annullata dalla Francia l’estradizione verso l’Italia, non viene riconsegnato alle autorità francesi bensì sottoposto a regime di libertà condizionale.
Nel 1987 si rende nuovamente latitante per sfuggire all’ordine di arresto emesso dai magistrati fiorentini, Pier Luigi Vigna e Rosario Minna.
Nel 1992 cadute le accuse per una serie di mandati di cattura emessi e in conseguenza di applicazioni d’indulti, rientra in Italia.
Attualmente opera come consulente aziendale.
«A Bologna, il 2 agosto, a mettere la bomba furono uomini di Carlos». Intervista con Marco Affatigato.
Marco Affatigato fu il primo, nel settembre del 1999, a sostenere il coinvolgimento del gruppo Carlos nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 (85 morti, oltre 200 feriti). Da quelle sue rivelazioni, rese al giornalista e consulente della Commissione stragi Gian Paolo Pelizzaro, venne avviata una ricerca che nel luglio del 2005 portò alla conferma che a Bologna il giorno dell’attentato c’era proprio un uomo di Carlos, l’estremista tedesco Thomas Kram. E nell’estate dello stesso anno, anche in seguito a una serie di interrogazioni parlamentari, la Procura di Bologna ha aperto un nuovo fascicolo d’indagine sulla strage del 2 agosto. L’inchiesta, a distanza di otto anni, è ancora in corso e – dall’agosto 2011 – vede iscritti sul registro degli indagati Kram e la sua sodale Christa-Margot Fröhlich come ex appartenenti al gruppo Carlos. Sono inoltre in corso una serie di accertamenti anche sul cittadino giordano di origini palestinesi Abu Anzeh Saleh, già capo dell’organizzazione militare del Fronte popolare per la liberazione della Palestina in Italia all’epoca residente a Bologna, e “ufficiale” di collegamento con Carlos. Con Affatigato abbiamo avuto una lunga conversazione durante la quale siamo tornati sull’argomento. La prima domanda che gli abbiamo rivolto è proprio quella su come venne a sapere che Carlos e la sua organizzazione terroristica sarebbero stati in qualche modo collegati all’attentato alla stazione ferroviaria di Bologna. Va ricordato che proprio la vicenda dell’intervista rilasciata da Affatigato nel settembre 1999 a Gian Paolo Pelizzaro e pubblicata sul mensile Area nel numero di ottobre dello stesso anno (titolo “Un uomo per due misteri”) è al centro del processo in corso davanti l’VIII Sezione Penale del Tribunale di Roma presieduta dal giudice Maria Teresa Cialoni che vede imputati per diffamazione aggravata gli allora direttori responsabili di Liberazione e l’Unità, Piero Sansonetti e Antonio Padellaro, e i due autori degli articoli pubblicati il 28 luglio 2006. Il testo integrale dattiloscritto e controfirmato da Affatigato della sua intervista venne depositato da Pelizzaro agli atti della Commissione Stragi nel febbraio del 2000 per le doverose e opportune verifiche da parte dell’organismo bicamerale d’inchiesta. Proprio per dovere deontologico, infatti, quel passaggio su Carlos e Bologna non è stato pubblicato nella versione dell’intervista apparsa su Area e questo proprio perché non era stato possibile verificare le parole dell’ex estremista di destra. Pelizzaro è stato ascoltato come teste nel processo di Roma alle udienze dell’11 e 19 febbraio scorso, durante le quali ha ricostruito la genesi di quell’intervista e lo sviluppo del lavoro di inchiesta per le Commissioni Stragi e Mitrokhin fino alla riapertura delle indagini sul 2 agosto da parte della Procura della Repubblica di Bologna.
Ecco il resoconto puntuale di questa chiacchierata.
Affatigato, come venne a sapere che Carlos e i palestinesi erano in qualche modo collegati alla strage di Bologna?
«Lo venni a sapere in conseguenza al mio agire come infiltrato all’interno di una “cellula” terroristica sostenuta e finanziata dal regime dell’ayatollah Khomeini. Dal 1979 infatti collaboravo coi servizi francesi e americani».
Lei dunque crede che a Bologna a compiere la strage sia stato il gruppo di Carlos per conto dei palestinesi?
«Ho sempre sostenuto che furono uomini di Carlos».
Nel libro L’aquila e il condor. Memorie di un militante politico di Stefano Delle Chiaie (Sperling & Kupfer, 2012) a pagina 242 si legge: «Affatigato era a Nizza [il 2 agosto 1980] e la circostanza era più che nota. Il suo domicilio era apparso sul quotidiano Nice-Matin, che aveva pubblicato un annuncio per il suo compleanno. Il presidente della Repubblica italiano, Sandro Pertini, aveva fatto pervenire ad Affatigato un telegramma di congratulazioni per l’opera di giornalista svolta all’estero. Affatigato stesso lo aveva mostrato a numerosi camerati francesi. Il telegramma presidenziale era datato 11 luglio 1980».
Corrisponde al vero quanto scrive Delle Chiaie?
«Non è proprio così come è descritto, ma la circostanza del telegramma corrisponde al vero. Sì… e [quel telegramma] lo conservo sempre. Ebbi modo di conoscere personalmente il presidente Sandro Pertini a fine maggio giugno del 1980, sulla Promenade des Anglais».
Lei era già stato coinvolto, suo malgrado, nelle indagini sul disastro del Dc9 Itavia?
«Non ancora al momento che conobbi il presidente e la sua conoscenza fu per un evento casuale».
Però se Pertini le mandò veramente un telegramma l’11 luglio 1980, a quella data lei era già stato chiamato in causa.
«Sì [il telegramma] arrivò in Francia l’11 luglio 1980. Se mi permette le spiego anche la conoscenza del Presidente. Lui era seduto su una panchina che guardava il mare, fumando la pipa… era solo… nessuna scorta… io passeggiavo sulla Promenade… a un certo punto vidi la sua figura e rimasi un po’… sa quando vede una persona o una cosa e non ci si crede… ma quello è Pertini… mi dissi… poi guardai in giro per vedere se c’erano poliziotti o gendarmi o altre figure, insomma una scorta… mi dissi non è Pertini… ora il presidente della Repubblica è lì, solo, a sedere su una panchina… senza scorta… ma no! Sarà uno che gli somiglia… allora mi ricordai che più volte aveva detto di vivere a Nizza… in un piccolo appartamento e che quando aveva tempo ci si rifugiava… eppure io ero lì… latitante, ricercato in Italia e… se fosse stato Pertini… avevo a portata di mano il presidente della Repubblica… la curiosità (ma anche la paura) era tanta… mi avvicinai… lui scrutava l’orizzonte del mare… vinsi la paura e mi misi a sedere sulla panchina… insieme a lui… tanto la curiosità era così forte… lo guardai e gli dissi… Signor Presidente… e lui mi rispose… Italiano? Sì… Di dove? Di Lucca. Cominciò così la nostra conversazione… e spaziò in modo inimmaginabile… tant’è che lui sapeva chi ero io, dopo… e io posso dirle che è stato il Presidente di tutti gli italiani… antifascista certamente… ma di tutti gli italiani… è stato l’unico vero Presidente della Repubblica italiana. So anche che in conseguenza al 2 agosto 1980… alcuni suoi avversari volevano utilizzare la “nostra conoscenza” per farlo dimettere, in quanto egli aveva saputo dove viveva un “latitante ricercato” e non lo aveva comunicato al Ministero dell’Interno. Sapeva che non c’entravo niente… come sapeva che non c’entravo niente con Bologna».
Pertini è sempre stato una persona che faceva le cose che sentiva senza guardare troppo i formalismi, ma sicuramente un telegramma poteva risultare un atto molto sconveniente e i suoi avversari potevano strumentalizzarlo.
«Non è solo l’assenza di “formalismo”… è che sapeva leggere nelle persone… i suoi avversari ci hanno provato… anche quando al Procuratore Capo di Bologna, Viola… gli disse… “non è possibile!”».
Se vuole mi può dire cosa c’era scritto nella sostanze nel telegramma?
«I migliori auguri».
Solo così? Quindi un attestato di stima e nulla più…
«Ebbi modo di incontrarlo nuovamente… a fine ottobre 1980, se ricordo bene… la direzione del carcere era in subbuglio… il presidente Pertini, questa volta con la scorta… seppur limitata… che rendeva visita ad un “detenuto”… Per l’occasione venne utilizzato l’ufficio del direttore».
Visto che abbiamo fatto cenno a Bologna, voglio chiederle una cosa. Lei è stato il primo a parlare di Carlos in merito alla strage di Bologna. Lo rivelò a Gian Paolo Pelizzaro in una intervista. Quel brano dell’intervista non venne pubblicato su Area, ma, portato da Pelizzaro in Commissione stragi. Quella informazione dette l’avvio alla ricerca che ha poi consentito la riapertura di un fascicolo sulla strage alla stazione di Bologna da parte della Procura felsinea nel novembre 2005. L’intervista in oggetto è del settembre-ottobre 1999. Nel marzo 2000 sarà lo stesso Carlos a parlare di un «compagno» presente a Bologna in stazione il 2 agosto…
«Sì! Per primo lo dissi a Gian Paolo Pelizzaro. È un po’ complessa la cosa… Carlos faceva parte di quel gruppo terroristico transnazionale che operava nel 1979-1980 in Europa e nel mondo al fine di compiere azioni, finanziate dall’Iran dell’ayatollah Khomeini, contro gli infedeli occidentali si direbbe oggi, all’epoca erano presi di mira obiettivi Nato… ritengo che il mio nominativo inserito nel contesto di Ustica (e successivamente in quello di Bologna) servisse a “bruciare” la mia persona all’interno di quel “gruppo” e quindi a impedire che io venissi a conoscenza di informazioni che potevano nuocere l’assetto dell’intelligence militare italiana che, invece, copriva questo gruppo… del resto del “lodo Moro” ne abbiamo preso, pubblicamente, conoscenza solamente da poco tempo e grazie alle esternazioni di Cossiga che nel 1980 era presidente del Consiglio».
Infatti l’informazione del suo orologio Baume & Mercier, che avrebbe permesso di riconoscere il cadavere dell’attentatore a bordo del Dc 9 Itavia, era un dettaglio che potevano conoscere solo in pochi…
«Solo l’intelligence militare italiana e grazie a un loro “corrispondente”… Grazie a Dio… con le mie informazioni, prima che mi si “bruciasse” qualche attentato sono riuscito a evitarlo… e anche a fare smantellare qualche réseaux, anche in Italia e penso che sia stato proprio quello il “campanello d’allarme” che ha portato il Sismi, con il quale non ho mai collaborato (del resto neanche con il Sisde), a bruciarmi… Interessante è ascoltare le dichiarazioni dell’ex ministro De Michelis sia su Ustica che su Bologna… laddove dice che tutti, tutti sappiamo cosa è successo a Ustica come a Bologna… ma la ragion di Stato ci impone il silenzio».
Lei dunque crede che a Bologna a compiere la strage sia stato il gruppo di Carlos per conto dei palestinesi?
«Ho sempre sostenuto che furono uomini di Carlos».
Lo seppe dai francesi? Sa, mi sono fatto l’idea che quando nell’agosto 1999 uscì la sentenza ordinanza di Rosario Priore su Ustica che tirava in ballo i francesi… questi decisero di far sapere ciò che sapevano su Bologna… mi sbaglio?
«Bella domanda… Come mai un ispettore dei Rg (Renseignements Généraux,la polizia politica francese) si trovava a Bologna in quei giorni? Come si dice a domanda si risponde con una domanda…».
Chi era? È un fatto noto? Vuole dire che i francesi sapevano che stava capitando qualcosa e avevano un osservatore a Bologna?
«Ma tutti (le intelligence intendo) sin dal maggio 1980 sapevano che un fatto grave sarebbe accaduto a Bologna nel corso dell’estate… l’intelligence francese, come quella americana, come quella tedesca, come… quella italiana che anziché attivarsi per prevenirlo e cercare di evitarlo, sin da giugno si attivò per “coprire” il “fatto grave che sarebbe avvenuto a Bologna” dando l’incarico all’allora tenente colonnello Federigo Mannucci Benincasa (Capo Centro Sismi a Firenze e non è da sottovalutare il fatto che precedentemente era stato Capo Centro Sismi a Padova) di indicare il mio nome come autore dell’attentato sotto la sigla Nar… l’attentato di Bologna, che non è collegato a Ustica come sino ad oggi si pensava, doveva aver luogo e l’intelligence italiana “doveva coprirlo”… e da qui i depistaggi sul mondo di estrema destra… Grazie anche alla complicità di “prezzolati” veneti e bolognesi, questi sì al soldo del Sismi, che si sono prestati per far incastrare la Mambro e Fioravanti dando loro appuntamento a Bologna il giorno della strage… in questo modo era facile addebitare la strage ai “fascisti” e poter così reprimere l’area spontaneista armata ma anche quella politica. Non si è infatti mai vista, nella storia politico-giudiziaria italiana, tanta repressione esercitata nei confronti della destra e dell’estrema destra italiana finanche ad arrestare gli avvocati difensori dei militanti e simpatizzanti ingiustamente carcerati… in carcere, senza motivo se non quello politico come si è potuto vedere poi anche nei processi, finirono militanti e simpatizzanti provenienti dal Fronte della Gioventù fino a quelli di Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale, passando per Terza Posizione… fu un vero “colpo di Stato democratico”…».
L’intelligence italiana doveva cercare di fermare la ritorsione palestinese, non ci riuscì e quindi poi coprì, è questo che intende?
«Come ho detto prima, non c’ha neanche provato a fermarla…».
Beh qualche pressione sui giudici di Chieti la fecero perché si usasse clemenza verso Abu Anzeh Saleh & C… Comunque lei è stato un personaggio chiave nel far sì che, anche se a distanza di 20 anni, si riaprisse il vaso di pandora…
«Nessuno vuole riaprire il vaso di pandora… troppe persone coinvolte direttamente e indirettamente ancora in vita e in vista. Non tutti sono Sandro Pertini. Del resto, Mambro e Fioravanti sono fuori… no? Ciavardini? I non responsabili… li hanno liberati. Adottiamo ciò che dice De Michelis: tutti sappiamo quello che è successo sui cieli di Ustica (e io aggiungo anche a Bologna), ma la ragion di Stato impedisce di renderlo pubblico. Perché andare a richiedere una revisione del processo… sarebbero gli unici titolati a farlo (e avrebbe fatto scalpore) tutto il resto è… ragion di Stato».
Non crede che sia giunto il tempo per arrivare a qualche verità sulle tragedie che hanno insanguinato quegli anni?
«La verità? Scusi… quale “verità”? Quella giuridica o quella reale? O quella “oltre”? È come Piazza Fontana, è come l’Italicus, è come Brescia».
A me interessa la verità reale, storica.
«La verità storica la scrivono i vincitori quella “oltre” chi l’ha vissuta sulla propria pelle. Ha provato a chiedere a qualche studente… preso a caso… se Piazza Fontana gli ricorda qualcosa… se l’Italicus… se Piazza della Loggia… gli ricordano qualcosa? C’è stata un’opera di rimozione totale con la complicità di chi voleva la fantasia al potere e di chi, a quell’epoca, scendeva in piazza a manifestare per l’assassinio di Pinelli e le stragi di Stato e le stragi fasciste … si è mai chiesto perché è tutt’ora mantenuto il “segreto di Stato”? Eppure di primi ministri (anche del Pci-Pd) ne son passati. Come pure presidenti (addirittura provenienti dal Partito Radicale, come Francesco Rutelli) del Comitato interministeriale sui Servizi di Sicurezza. O pure ci sono stati sindacalisti del tenore di Lama e Bertinotti in Parlamento. Ripeto Gianni De Michelis è il solo che ha avuto il coraggio di dire le cose come stanno».
Torniamo ancora per un attimo all’ormai famosa intervista rilasciata a Gian Paolo Pelizzaro nel settembre del 1999 e pubblicata sul mensile Area nel numero di ottobre dello stesso anno. A distanza di 14 anni, ci può finalmente svelare da chi ebbe quell’informazione su Carlos e la cellula palestinese presente a Bologna il giorno della strage? Sarebbe un modo per mettere a tacere tanti teoremi e dietrologie su questo aspetto della vicenda.
«La venni a sapere in conseguenza al mio agire all’interno di questa “cellula” sostenuta e finanziata dal regime dell’ayatollah Khomeini. Attraverso un addetto dell’ambasciata iraniana di Londra ottenni informazioni circa un gruppo che agiva in Italia e queste informazioni portarono la Cia ad operare nel nostro Paese nel mese di maggio 1980 “prelevando” gli identificati e smantellando quella cellula operativa in Italia, fra il Nord ed il Centro. Per tale operazione la Cia dovette appoggiarsi all’intelligence italiana, nel rispetto delle convenzioni internazionali».
In sostanza dunque ne venne a conoscenza nell’ambito della sua attività di “infiltrato”?
«Sì».
Ma il ruolo specifico di Carlos?
«Carlos non è “leggibile” sul concetto di persona fisica ma bensì in qualità di “gestore” del gruppo che a lui faceva riferimento a livello transnazionale e nel contesto delle azioni che da questo gruppo furono messe in piedi (ed effettuate) nel corso del 1979 e 1980, compreso gli “attentati ritorsivi” ai treni e alle stazioni che ebbero luogo in Francia [nel 1982 e 1983, per i quali, nel dicembre 2011, Carlos è stato condannato all’ergastolo, insieme a Johannes Weinrich e Ali Kamal al Issawi] e quelli “a bersaglio” ch’ebbero luogo in Germania, Spagna e Grecia. La Francia venne colpita perché non ebbe ad “accordarsi” quale zona franca e l’Italia venne colpita perché violò l’accordo di zona franca, un “accordo” subitamente riattivato con l’arrivo al governo di Bettino Craxi (non a caso, in conseguenza all’azione pilotata di Mani Pulite, Craxi ebbe a rifugiarsi in Tunisia sotto la protezione dei palestinesi). In Europa, in quegli anni, aveva luogo una “guerra” contro chi difendeva gli interessi e strategia politica mediorientale di Israele ed i “ricatti terroristici” servivano solamente a spostare gli “assi politici” a favore di “istanze” filoarabe nel contesto geopolitico mediorientale che si giocavano nei “palazzi di vetro” d’Europa e degli Usa».
Può dire qualcosa di più su questo “gruppo” nel quale era infiltrato?
«Come già detto si trattava di un “gruppo terroristico internazionale” i cui soggetti componenti erano tutti “battitori liberi” ovvero non facevano più riferimento alle loro organizzazioni di origine. Questo “gruppo” agiva dietro compenso monetario (od altro) e anche Carlos ne faceva parte. Nel momento in cui io agii gli obiettivi che questo gruppo doveva colpire erano “obiettivi Nato” in Europa. In quel momento un finanziatore era l’Iran attraverso l’ambasciata iraniana in Gran Bretagna e quindi il “filone politico” era di carattere khomeinista. Era un gruppo composto da soggetti di diverse nazionalità. Alcune cellule operative furono neutralizzate e alcuni attentati sventati. La neutralizzazione della cellula in Italia avvenne verso la fine di maggio 1980 e fu un’operazione del tutto segreta che interessò le città di Milano, Firenze e Roma. L’azione come ho già detto fu posta in essere dalla Cia in Italia, che agì in collaborazione con l’intelligence italiana. Quando il mio nome apparve sulla stampa italiana per Ustica, l’agente di collegamento Cia di Parigi ritenne opportuno che io mi sganciassi dal “gruppo” ».
Come mai se nel maggio 1980 fu smantellata la cellula terroristica in Italia ci fu lo stesso l’attentato di Bologna? Da chi era composta quella cellula disinnescata?
«Lo smantellamento di quella cellula ebbe luogo a fine maggio. Ciò non vuol dire che non potessero esistere altre cellule in sonno in Italia. I soggetti che componevano quella cellula erano di origine diverse (latino americane e mediorientali). Circa la motivazione dell’attentato di Bologna… qui le ipotesi possono essere diverse. Fatto sta che il Sismi era a conoscenza di un “fatto grave” che sarebbe avvenuto a Bologna e di questa “conoscenza” , pur non sapendo la data, ne aveva informato il capocentro Sismi di Firenze prima del fatto di Ustica. Tutto lascia supporre, in tempistica, che ciò sia avvenuto nella prima quindicina del mese di giugno. Ma a questa domanda dovrebbe rispondere il Colonnello Mannucci Benincasa».
Nel gruppo in cui lei era infiltrato c’erano anche dei tedeschi?
«Sì».
Ne conosceva i nomi?
«Sì per quelli che ho conosciuto fisicamente, ma potevano essere anche pseudonimi. Per questo agli incontri con l’agente di collegamento Cia di Parigi si facevano ricognizioni fotografiche in modo che l’intelligence potesse dare il giusto nome».
Lei ha mai conosciuto o incontrato Carlos?
«No che io sappia».
Abbiamo iniziato questa chiacchierata con un libro, quello di Delle Chiaie, e vorrei concludere con un altro libro. Mi riferisco a Stragi e mandanti. Sono veramente ignoti gli ispiratori dell’eccidio del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna? a cura del presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime, Paolo Bolognesi, e del giornalista Roberto Scardova (Aliberti Editore, 2012). In questo libro lei viene chiamato in causa ripetutamente. In particolare le viene attribuito il ruolo (consapevole o inconsapevole) di essere stato parte di quello che gli autori definiscono un “depistaggio preventivo”.
«Hanno ragione nel definirlo “depistaggio preventivo” e circa il mio “ruolo”… beh, quello mi è stato cucito addosso dal Sismi… se fossero riusciti anche nell’intento di uccidermi, magari come forse era anche progettato facendo sparire anche il mio cadavere… il loro gioco, forse, sarebbe riuscito e allora i magistrati avrebbero avuto: un attentatore morto nell’esplosione il cui cadavere non si trovava più perché disintegrato, ma che testimoni lo avevano riconosciuto (significativa per capire che lo “schema” è stato ripetuto con la strage di Bologna, è la telefonata su Ustica fatta al Corriere della Sera da parte del Capo Centro Sismi, se andate a riprenderla dice tutto e già il giorno dopo i quotidiani lo avevano scritto, solo che il Capo Centro sbagliò “evento”)».
Affatigato, lei quindi si riconosce nella ricostruzione proposta nel libro Stragi e mandanti? In particolare nei capitoli “Ustica e Bologna: il depistaggio preventivo” e soprattutto “La trappola Affatigato” dove lei viene dipinto come un capro espiatorio, utilizzato dai servizi segreti italiani e americani che, secondo il libro sopra citato, sapevano con molti mesi di anticipo che ci sarebbe stata una strage a Bologna. E viene additato come possibile terrorista suicida sull’aereo precipitato ad Ustica e poi come attentatore per Bologna.
«Può essere. Ma una cosa è certa: il mio nome è servito come “capro espiatorio”. Questo è fuori da ogni dubbio! Ma le ipotesi circa le motivazioni? Sono anch’io da più di trent’anni, ormai, che le sto vagliando e ne darò atto nel libro che sto redigendo e che sarà prossimamente pubblicato. Una domanda mi sono sempre posto: è stato il Sismi ad organizzare uno “sputtanamento pubblico mondiale” sul mio nome tanto da impedire la mia permanenza all’interno di quel “gruppo terroristico”? È partito dal Sismi l’ordine di dare in pasto alla stampa il mio nome legato ad “un fatto grave” che sarebbe avvenuto a Bologna, ordine che viene impartito alla fine del mese di maggio inizi di giugno 1980, subito dopo che, in conseguenza alla mia nota (con nomi e luoghi) riguardante una “cellula” in Italia di quel gruppo, l’intelligence statunitense ebbe ad intervenire sul suolo italiano – richiedendo la collaborazione dell’intelligence italiana – rendendola inoffensiva? Se la mia “permanenza” in seno a quel “gruppo” fosse rimasta attiva mi avrebbe forse portato a conoscenza di complicità da parte di elementi dello Stato italiano indicibili?».
Lei dunque in quel periodo era infiltrato negli ambienti iraniani (che non sono né palestinesi, né arabi, né libici). Nel libro a cura di Bolognesi e Scardova, a pagina 257, c’è scritto: «Il piano elaborato per il dopo 2 agosto era semplice e micidiale: Affatigato in contatto con i palestinesi e riconosciuto come presente a Bologna al momento della strage…». Lei era in contatto, o infiltrato, anche con organizzazioni palestinesi?
«A quell’epoca, nel 1980, non ho avuto contatti con organizzazioni palestinesi. Né, tanto meno, ho mai detto di essere stato infiltrato in “ambienti iraniani” ma bensì in un gruppo che aveva quale obiettivo quello di compiere attentati anti Nato e che questo gruppo era finanziato e sostenuto dagli ambienti iraniani dell’ayatollah Khomeini. Ho sempre detto che di questo gruppo facevano parte soggetti di diverse nazionalità e non solo di “palestinesi” tout court . Era un gruppo transnazionale “a pagamento”. Il gruppo in oggetto, al momento in cui vi ero inserito, riceveva direttive da un addetto dell’ambasciata iraniana a Londra. Addetto che, conseguentemente ad una ricognizione fotografica, venne identificato dall’intelligence… poi, purtroppo venni “bruciato” con la pubblicazione del mio nome sul Corriere della Sera per l’affare Ustica e, a bruciarmi, fu proprio il Sismi. Tutti additano i “palestinesi” come autori dell’attentato alla stazione di Bologna. Io ho sempre indicato quale autore materiale il “gruppo Carlos”, che nel 1980 agiva in forma autonoma e a pagamento. Tanto è vero che, anche dopo gli attentati alle stazioni e ai treni in Francia, Carlos troverà rifugio finale non in Tunisia o Libia, dove vi erano basi organizzative e operative “palestinesi”, ma in Sudan (è qui infatti che [nel 1994] le forze dell’intelligence francese lo cattureranno e lo trasferiranno subitamente in Francia, dove oggi da prigioniero reclama di essere sentito dall’autorità giudiziaria italiana circa la strage di Bologna, ma “risponderà solamente solo se trasferito dalle prigioni francesi in quelle italiane” e quest’ultimo aspetto dovrebbe far porre delle ulteriori domande agli inquirenti: con la sua eventuale venuta in Italia – anche se in carcere – l’Italia dovrebbe applicare il lodo Moro che garantiva “impunità” ? Se fosse così, allora è giusto che i francesi se lo tengano ristretto nelle loro prigioni… in Italia, forse, correrebbero il rischio di vederselo “evadere” )».
A pagina 256 sempre del libro Stragi e mandanti, viene citato un passo della sua partecipazione alla trasmissione “Samarcanda” andata in onda su Raitre il 29 novembre 1990 e precisamente quello in cui lei afferma: «Dal 1972 al 1976 l’Italia è stata utilizzata come punto di passaggio di esplosivi provenienti dall’Olp palestinese e dalla Falange libanese, destinati all’Eta e all’Ira. Il passaggio di questi esplosivi attraverso l’Italia sarebbe stato gestito da vari elementi della destra, tra i quali alcuni di Ordine Nuovo. I soggetti più attivi in questa operazione furono Lotta di Popolo per quanto riguarda il Centro-Sud e il gruppo di Freda al Nord».
Può precisare meglio questa dichiarazione?
«No! Se non solo sull’aspetto che quando citavo Ordine Nuovo facevo riferimento al gruppo veneto legato al Centro Studi Ordine Nuovo. Comunque non sono cose che ho vissuto e quindi è solo un “riportato”. Per vissuto direttamente posso oggi affermare che il Movimento Politico Ordine Nuovo avrebbe voluto avere rapporti con il “mondo” gravitante intorno alle organizzazioni palestinesi come anche con l’Ira, ma non è mai riuscito a trovare il “contatto” neanche quando il maggior dirigente nazionale si trovava rifugiato a Londra».
Lei il 17 maggio 1980 rilasciò al Secolo XIX di Genova un’intervista che però fu pubblicata solo il 19 agosto 1980, a più di due settimane dalla strage di Bologna, nella quale sosteneva tra l’altro collegamenti tra Brigate Rosse e Ordine Nuovo. Non si chiese come mai la sua intervista non fu pubblicata poco dopo che lei l’aveva rilasciata?
«È tuttora in corso un’indagine della magistratura. Mi permetta di rinunciare a rispondere».
Infine le vorrei chiedere una precisazione sull’ispettore dei RG francesi, al quale lei ha prima accennato, colui che si trovava a Bologna in quei giorni dell’estate 1980. Si riferisce forse a Paul Durand? Secondo la sentenza-ordinanza su Bologna del giugno 1986 «Paul Durand, all’epoca ispettore in prova presso la polizia giudiziaria di Versailles (ma fino ad aprile era stato addetto ai Renseignements Généraux, equivalente al nostro Ufficio Affari Riservati, col nome di copertura di Paul Dupuis) ed esponente di rilievo della Fane (Fédération d’Action Nationale et Européenne), organizzazione neonazista capeggiata da Marc Fredriksen, effettuò un viaggio in Italia nel luglio 1980». Il viaggio in Italia iniziò da Parigi il 4 luglio e si concluse il 28. Durand fece tappa a Bologna il 12- (13) luglio, ma non era a Bologna il 2 agosto 1980.
«Come sopra, mi permetta di rinunciare a rispondere».
Gabriele Paradisi
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Chi è Marco Affatigato
Marco Affatigato, nasce a Lucca nel 1956. È stato esponente del Movimento Politico Ordine Nuovo, sciolto nel 1973 con decreto del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani, a seguito della sentenza di primo grado del Tribunale di Roma per «ricostituzione del disciolto Partito fascista».
Dalla Corte di Assise di Arezzo, nel 1976, Affatigato viene condannato a quattro anni e sei mesi di reclusione con l’accusa, sostenuta dal p.m. Mario Marsili (genero del venerabile Licio Gelli), di «promozione e organizzazione del disciolto Partito Fascista».
Dal Tribunale di Pisa, nel 1977, viene condannato a tre anni e sei mesi di reclusione con l’accusa di «favoreggiamento personale» a Mario Tuti.
Dalla Corte di Assise di Firenze, nel 1989, viene condannato a cinque anni di reclusione con l’accusa, sostenuta dal procuratore Pierluigi Vigna, di «partecipazione ad associazione sovversiva».
Vivrà alcuni anni latitante all’estero ed in particolare in Inghilterra (insieme a Clemente Graziani, leader indiscusso del Movimento Politico Ordine Nuovo), in Francia, Libano, Nicaragua.
Dal 1979 inizia una collaborazione coi servizi segreti francesi e americani come “agente infiltrato” in una cellula terroristica internazionale, finanziata dal regime iraniano dell’ayatollah Khomeini.
Coinvolto dai vertici del Sismi quale presunto attentatore suicida nella strage di Ustica del 27 giugno 1980 e subito dopo nell’attentato alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, viene arrestato in Francia e, in applicazione del Trattato di Yalta, estradato in Italia e rinchiuso nel carcere di Ferrara. Nel 1986 annullata dalla Francia l’estradizione verso l’Italia, non viene riconsegnato alle autorità francesi bensì sottoposto a regime di libertà condizionale.
Nel 1987 si rende nuovamente latitante per sfuggire all’ordine di arresto emesso dai magistrati fiorentini, Pier Luigi Vigna e Rosario Minna.
Nel 1992 cadute le accuse per una serie di mandati di cattura emessi e in conseguenza di applicazioni d’indulti, rientra in Italia.
Attualmente opera come consulente aziendale.
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