Da ben diciotto anni stanno terrorizzando il Piemonte
Pronti a tutto, ma sempre a volto coperto. Tra loro anche esponenti delle vecchie brigate rosse. I ribelli della Val di Susa fanno sempre più paura
Chi sono i No Tav? Quando nascono, che cosa vogliono?
Il movimento popolare italiano, così viene definito, non ha una vera e propria data di inizio. Nasce spontaneamente in Val di Susa in seguito alle prime assemblee pubbliche tenutesi fin dai primi anni novanta per contestare il progetto della linea ferroviaria volta ad unire Torino e Lione passando, appunto, per la valle alpina situata nella parte occidentale del Piemonte. Opera colpevole, secondo i “ribelli”, di essere troppo costosa e non necessaria a migliorare la qualità dei trasporti.
Le prime manifestazioni – La prima grande protesta risale al 2 marzo 1995 a Sant’Ambrogio di Torino. La lotta-guerra “popolare”, dunque, dura ormai da 18 anni. Le più importanti “marce”, però, si tennero il 31 maggio 2003 a Borgone Susa a Bussolengo ed il 4 giugno del 2005 con un’altra mozione su Venaus. Nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005, le forze dell’ordine fecero irruzione nel presidio del comune situato in Val Cenischia per porre fine all’occupazione dei terreni su cui doveva essere allestito il cantiere. Una ventina di persone rimasero lievemente ferite. L’8 dicembre dello stesso anno, si tenne una manifestazione di protesta contro tale sgombero. Ben 30mila i partecipanti. Durante il presidio, altri scontri con la polizia costretta a sedare le rivolte. Non con poche difficoltà. A Venaus furono rimosse le reti di recinzione del futuro cantiere e i prati, invasi. Solo la magistratura, che mise sotto sequestro le aree, riuscì a trovare una soluzione.
E’ qui, sempre nel 2005, che Beppe Grillo mostra la sua “vicinanza” agli attivisti-ribelli. Sempre tramite il suo blog, su internet. “E’ un’opera inutile, anche un imbecille, se informato, lo capirebbe. E’ una montagna di ‘merda’, sento aria di nuova Tangentopoli. Loro non si arrenderanno mai, noi anche”, la minaccia che oggi si è trasformata in fatti.
Olimpiadi invernali – Sono però purtroppo le Olimpiadi invernali del 2006 a dare visibilità al movimento, che approfitta dell’occasione per mettersi in cattiva luce. Con il percorso verso il Piemonte della fiaccola olimpica, il movimento si fa notare lungo il tratto del tedoforo. La vetrina mondiale è troppo ghiotta, bisogna approfittarne. A Susa, un manifestante tentò simbolicamente di calare una bandiera No Tav sulla fiaccola. Tuttavia, non fu effettuato nessun atto di boicottaggio verso i Giochi, come invece si era paventato.
Prodi II – Con il governo “mortadella due la rivincita”, si avvia un tentativo di coniugare la (presunta) necessità di creare il nuovo percorso ferroviario con le esigenze della popolazione della valle. Alla fine di febbraio 2007, i tre partiti di centrosinistra che più avevano appoggiato il movimento No TAV (i Verdi, i Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista) accettano i 12 punti imposti per ricostituire il proprio esecutivo dimissionario dal Presidente del Consiglio, tra i quali quello sulle Infrastrutture.
2008 – Cade il governo e viene presentato il “Fare”, un progetto di inizio lavori e promossa l’iniziativa “Acquista un posto in prima fila”. 1400 persone comprano un terreno dove dovrebbero sorgere i cantieri, a Chiomonte. Sventato il primo incontro-scontro fra i rappresentanti delle Istituzioni (Chiamparino, Saitta e Bresso), contro i quali era già pronta una protesta in costume di 2000 valsusini.
2009 – Vengono annunciati una serie di sondaggi – considerati propedeutici – alla progettazione del nuovo tracciato. I No Tav contestano e contrastano, in ogni modo, tali azioni. Perché ritenute inutili dal punto di vista tecnico e funzionale. Ci risiamo.
2010 – Tanti, i momenti di tensione, nel 2010. Che riportano persino l’attenzione internazionale sulla vicenda. In un’intervista rilasciata a “Repubblica”, l’attore francese Gèrard Depardieu si schiera dalla parte dei ribelli. Pochi mesi più tardi, arrivano le trivelle in Valle. In 40mila tornano a manifestare, riportando alla mente i grandi cortei di cinque anni prima. Viene sollevato il problema dei costi dei sondaggi, fino a 6 milioni di euro. Un incendio doloso distrugge il presidio di Bruzolo. Un’intimidazione, secondo gli attivisti, che ha come conseguenza un rigurgito di proteste, sia sul posto che a Torino. Le rivendicazioni arrivano fino in sede europea, a Strasburgo, tramite una delegazione di un migliaio di dimostranti. Esce anche un libro, “Un inverno in movimento – fuochi nella notte”, con la storia degli ultimi mesi.
2011 – Il 22 maggio gli attivisti tornano in strada e si uniscono alle proteste dei lavoratori Fiat. A loro, si aggiungono anche gli operai di “Italcoge”, una delle ditte che ha vinto l’appalto per i lavori. Disagi per il passaggio del Giro d’Italia a Verbania e ancora scontri. Il 3 giugno, “marcia” di protesta a Chiomonte: 60 mila persone presenti. Nel pomeriggio una parte di manifestanti decide di assediare la zona presidiata dalle forze dell’ordine per tentare di rioccuparla: 388 feriti, 200 attivisti e 188 poliziotti. Vengono arrestate solo 5 persone. Alla fine della guerriglia, i celerini riescono a mantenere il possesso dell’area.
2012 - Il 27 febbraio, per quegli incredibili fatti, finiscono al gabbio 26 malviventi. Tra questi, spicca anche un ex appartenente alle Brigate Rosse. Ad altre quindici persone viene invece imposto l’obbligo di dimora. Per 42 individui, arresti domiciliari. L’ipotesi di reato? Resistenza a pubblico ufficiale, violenza, lesioni, manifestazione non autorizzata e danneggiamento aggravato in concorso. Due giorni dopo, viene organizzata una marcia di solidarietà per le persone finite in manette. I giudici, secondo i “ribelli”, sono colpevoli di aver compiuto queste azioni solamente al fine di discreditare il movimento. Chiesero l’immediata liberazione, ma il tutto si concluse con un nulla di fatto.
2013 – La notte dell’8 febbraio, sono una trentina i delinquenti incappucciati che fanno irruzione nel cantiere di Chiomonte. Lanciano pietre e bruciano una centrale. Quando i fari si spengono, vengono scaraventati bengala ad altezza uomo, bombe carta, pietre e bulloni con le fionde. E’ un miracolo, nessuno si fa male. La barbara azione coglie di sorpresa tutti, persino i capi e tutti i comitati del movimento No Tav. Ormai le frange più estreme si muovono in modo autonomo. E’ questo il vero dramma.
Passano i mesi, e si arriva alla notte del 13 maggio. La violenza non si ferma. Continua. Sono le 3:15 del mattino quando 30 criminali spuntano dal bosco con il volto coperto da passamontagna, vestiti di nero, armati di molotov e bengala. Li scagliano con un rudimentale mortaio. Questa volta l’obiettivo sono i lavoratori che stanno scavando il tunnel geo-gnostico. L’azione è divisa in tre fasi: inizialmente i violenti chiudono due cancelli con catene d’acciaio, mentre i reparti anti-sommossa si spostano immediatamente verso la zona dove partono gli ordini. Non è un film, è la triste verità. Scene di guerra vere e proprie, che si vedono solo nei videogiochi. Arrivano altri attivisti che aprono con una cesoia il cancello del “varco 8 bis”. Ancora bottiglie incendiarie sul piazzale. Un generatore va a fuoco, altri ordigni cadono a pochi metri dall’ingresso del tunnel. L’unica cosa che interessa alle Forze dell’Ordine è mettere in salvo i lavoratori. Li fanno uscire uno alla volta, protetti da un cordone di agenti, sino una zona isolata. E’ il momento di reagire. I black bloc fuggono a gambe levate, ma i militari con i visori a raggi infrarossi li vedono scendere dalla montagna, dalle frazioni di Cels e Ramat, nel comune di Exilles.
Questa è l’ultima mutazione del movimento. Da manifestazioni apparentemente pacifiche, a guerriglie. Anche questa volta, per fortuna, nessun morto. E ora il tentato omicidio è diventata una delle ipotesi di reato per cui si indaga. Ma adesso, cosa succederà? Non è possibile che un gruppo di 30 delinquenti tenga sotto scacco un cantiere. Lo Stato deve voltare pagina, cambiare registro e soprattutto intervenire. Con fermezza e non solo con le parole. I politici devono dare l’esempio e non inasprire i toni. Remare dalla stessa parte, in queste occasioni più che mai. E assumersi le responsabilità. Altro che processo di pacificazione, altro che democrazia, i teppisti e i vandali come parte dei No Tav vanno isolati. Quanto successo in questi giorni, in questi anni, è intollerabile.
Art di Federico Colosimo.
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