domenica 23 marzo 2014

Il megafono del fascismo Manlio Morgagni.


Manlio Morgagni
L'agenzia Stefani divenne portavoce di Mussolini e della sua azione politica.
tratto da: Avvenire 16.3.2002.
 
Morgagni, fedelissimo del duce, ne fece uno dei mezzi più efficaci di propaganda del regime
L'agenzia Stefani comunica l'avvenuta votazione di Benito Mussolini nel 1924 appendendo due stendardi ai balconi della propria sede.

Il Duce era stato la grande "passione" della sua vita; era sempre stato con lui in tutte le sue scelte: l'interventismo, la fondazione dei Fasci, l'ascesa al potere. Quando, il 25 luglio 1943, apprenderà che il Gran Consiglio aveva sfiduciato Mussolini, Manlio Morgagni, presidente dell'agenzia giornalistica Stefani (l'Ansa di oggi), si uccise la sera stessa. Sulla scrivania una lettera: «Mio duce, l'esasperante dolore di italiano e di fascista mi ha vinto. Non è atto di viltà quello che compio... Da più di trent'anni tu, duce, hai avuto tutta la mia fedeltà. La mia vita era tua... Ti domando perdono se sparisco...».
Ma un'altra passione, autentica anch'essa come la prima, segnò tutta la vicenda umana e politica di questo personaggio del ventennio, che aveva sempre accesso diretto a Mussolini e al quale rimise ininterrottamente relazioni tratte dai suoi numerosi viaggi all'estero, con una preferenza particolare per Parigi. Questa seconda passione è la crescita e lo sviluppo della "sua" Stefani, che aveva acquisito negli anni 20 per metterla senza alcuna indecisione al servizio del partito fascista e del Duce. Perché l'agenzia doveva essere sempre più per il regime «uno strumento di potenza politica e di espansione spirituale».
Mussolini, come è noto, fu un grande giornalista (forse più grande che come politico secondo diversi studiosi), attento come pochi a captare e a indirizzare gli umori della gente, e la Stefani - le cui vicende sono raccontate ora dallo storico Romano Canosa - del "camerata" Morgagni divenne la voce, ma anche l'arma privilegiata e preferita del Duce («la mia prima lettura sono le cartelle della Stefani», dirà in un incontro) in una competizione senza esclusione di colpi e quasi globale quale era quella della propaganda.
Le pagine di Canosa ripercorrono l'espansione della Stefani, che assunse sempre più una dimensione internazionale con uffici e sedi aperte in tutto il mondo, grazie all'infaticabile impegno di Morgagni viaggiatore in un'Europa dove la contrapposizione tra le "deboli" democrazie occidentali e i forti regimi totalitari lasciava intravvedere già, nel corso degli anni '30, il tragico epilogo che avrebbe insanguinato il Vecchio continente e che la guerra etiopica, quella civile in Spagna avevano anticipato.
Morgagni operò a tutto campo per estendere "il potere informativo" e quindi l'influenza della Stefani, che doveva competere con le agguerrite concorrenti europee (anch'esse facenti capo ai rispettivi governi) e americane.
È lui, superando anche le pressioni dei gerarchi, a decidere le assunzioni (per le corrispondenze da Asmara aveva pensato a Indro Montanelli), è lui a battersi con i ministri per ottenere i mezzi necessari a potenziare l'agenzia. Sempre ricordando ai suoi giornalisti, anche negli anni della guerra quando il Minculpop imperava con disposizioni ai giornali (rilette oggi in gran parte fanno ridere o piangere) che i servizi dovevano avere «uno stile misurato, serio, aderente alla realtà, evitando ogni amplificazione letteraria o retorica».
Ma il suo punto di riferimento restava il Duce. Al termine di ogni viaggio - come Canosa documenta ampiamente - oltre alle esigenze dell'agenzia, parlava nelle sue relazioni delle situazioni politiche, delle attese e degli umori della gente; riportava i giudizi sul regime. Della Germania hitleriana, ma rilevando, nell'agosto 1940, che per l'Italia «in ogni settore la collaborazione sarebbe stata dura»; della Francia dalla quale inviava la notizia che «l'Italia appariva implicata seriamente» nell'uccisione dei fratelli Rosselli (nel febbraio del 1940 scriveva invece: «L'impressione e il sentimento che dominano sono quelli della stanchezza»); della Spagna, dell'Inghilterra, nella quale avvertiva «l'amara disapprovazione che la campagna razzistica italiana aveva suscitato», della Croazia, della Grecia.
Relazioni che forse Mussolini non avrebbe nemmeno letto. Ma che riflettevano la grande fiducia di Morgagni per il suo duce, che non viene meno il 25 luglio.
 

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