martedì 4 marzo 2014

L’eroe che salvò Padova dalle bombe

Il pilota della Rsi Giovanni Boscutti nel ’44 fronteggiò con la sua
squadriglia di 38 aerei ben 300 velivoli alleati. Un attacco suicida che
impedì la distruzione della città e una strage. Ma c’è chi lo
disprezza.





Un mese fa l’Anpi di Roma ha denunciato per «apologia di fascismo» un gruppo di persone che al sacrario della Rsi di Nettuno hanno deposto una corona di alloro con un nastro tricolore e la scritta «il mio onore si chiama fedeltà».

In precedenza esponenti della Cgil, del Pd e, ahinoi, anche di An «vicini a Fini» (così si è letto), hanno protestato perché nel programma di storia del quinto anno dei nuovi licei dedicato allo «studio dell’epoca contemporanea» si parla di formazione e tappe dell’Italia repubblicana» ma non si citano esplicitamente le parole «resistenza» e/o «movimento di liberazione»: non che il loro studio sia stato escluso, ci mancherebbe, ma non si citano esplicitamente i nomi. «Volevo contribuire ad una sorta di pacificazione lessicale» ha affermato il professor Sergio Belardinelli, docente di sociologia della cultura dell’ateneo di Bologna. Buona intenzione, però subito rimangiata.
Dunque, le cose stanno purtroppo ancora così e dopo le fatidiche affermazioni sul «Male assoluto» dell’attuale presidente della Camera e della sua scoperta che «l’antifascismo è un valore», appena un anno e mezzo fa, le cose a 65 anni dalla fine della guerra mondiale e civile diventano sempre più difficili e complicate. La «pacificazione nazionale» non avverrà mai se i «buoni» continueranno ancora e sempre ad essere da una parte ed i «cattivi» dall’altra per principio e per definizione. Ancora oggi i «militari combattenti» superstiti della Rsi che non si macchiarono di alcun crimine specifico se non quello di essere stati «dalla parte sbagliata», sono privi di una minima pensione e non hanno mai visto restituite le medaglie che si meritarono per i loro atti di valore nel 1943-1945 (una proposta di legge in questo senso non è stata mai portata avanti, ovviamente, per le proteste dell’Anpi ecc. ecc.).
Furono dunque dei «traditori», dei «servi dei nazisti», dei «responsabili morali dell’olocausto». Una condanna generica. Vediamo di approfondire la questione parlando specificatamente di una forza armata, l’Aviazione Repubblicana, e poi pensiamoci un attimo su.
Molte lacrime si sono sparse sul recente libro dal romantico titolo Le ali del mattino di Thomas Childers (Mursia) che narra la tragica vicenda dei coraggiosi membri dell’equipaggio dell’ultimo bombardiere americano che ebbe la disgrazia di essere abbattuto sulla Germania il 21 aprile 1945: evidentemente nei successivi 15 giorni, sino alla fine della guerra, non ne furono colpiti altri a dimostrazione che gli aerei alleati potevano indisturbati spargere morte sulle città tedesche ormai sostanzialmente indifese. Si trattò di sfortunati eroi che combattevano per la democrazia. Veniamo ad altri aviatori. Ad esempio, Giovanni Battista Boscutti, pilota dell’Aeronautica Repubblicana, abbattuto l’11 marzo 1944 mentre con il suo caccia Macchi 205 Veltro cercava di contrastare i bombardieri alleati. La sua squadriglia, l’«Asso di Bastoni» comandata dal capitano Visconti (ucciso dai partigiani a Milano che gli spararono alle spalle dopo il 25 aprile come ha raccontato di recente Giampaolo Pansa), 38 aerei con quelli tedeschi, si alzò contro 300 fortezze volanti giunte per bombardare a tappeto Padova: uno contro dieci dunque, quasi certi di morire. La sua storia, e la storia del ritrovamento dei resti suoi e del suo velivolo, sono raccontate da Madina Fabretto in Con tutte le mie forze con allegato un CD del gruppo musicale «La Compagnia dell’Anello» che ha composto una canzone in suo ricordo e onore (il volume è stato sponsorizzato dalla Provincia di Padova, alla quale si può richiedere). Ebbene: Boscutti fu un lacché di Hitler, un traditore della Patria, un rappresentante nel suo piccolo del «Male assoluto», oppure un vero eroe, disinteressato e misconosciuto, che si sacrificò consapevolmente, come quasi tutti i piloti da caccia della Rsi, per contrastare i bombardamenti terroristici alleati sulle città italiane del Nord, certo non obiettivi militari, che fecero decine di migliaia di morti? Nessuno osa raccontare la loro storia e quella del capo di Stato Maggiore della AR, Beppe Baylon, asso della guerra di Spagna, che ai suoi superiori chiese soltanto aerei da caccia per contrastare gli attacchi dei Liberators su paesi e città, e non bombardieri per colpire le truppe nemiche.
Cosa furono allora questi militari? Come definirli dopo 65 anni? Come parlarne nei libri scolastici? Come trattare i superstiti? Mi piacerebbe una risposta da parte soprattutto dei politici, in specie quelli sui più alti scranni, che soltanto a parole cercano una «riconciliazione nazionale». E sapere anche se queste affermazioni significano fare dell’esecrato revisionismo revanscista, o magari addirittura apologia di fascismo, per cui venire denunciati e nei cui confronti è necessaria una levata di scudi del nuovo «arco costituzionale» che va dalla sinistra radicale ai finiani.

Fonte art.  http://www.ilgiornale.it 

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