martedì 25 marzo 2014

siamfatticosi’

siamfatticosi



Foglio informativo di Liberazione Nazionale
Periodico politico e culturale degli Uomini Liberi fondato nel 2003 da Antonio Rossini.


Quel volo degli “Angeli del Bene” su My Lai .

di Filippo Giannini

A loro piace essere chiamati gli Angeli del Bene, incensati dalla Divina Provvidenza ed inviati su questo triste pianeta per lottare contro le Forze del Male in quei tempi impersonati dal Nazionalsocialismo e dal fascismo. Loro, dopo l’abbattimento delle due bieche tirannie hanno continuato (e continuano) a lottare contro ogni nemico che, di volta in volta, è impersonato nel maligno. Loro hanno punito tutti i tiranni che si sono resi colpevoli di stragi e malvagità.
In questa lotta contro le Forze del Male, gli Angeli del Bene hanno operato su tutto il globo ove hanno lasciato la loro traccia a Stelle e Strisce.
Un volo di questi Angeli è poco conosciuto e proviamo a proporlo: riguarda un episodio (uno fra i mille e mille) che avvenne durante la guerra del Vietnam.
My Lai è un piccolo villaggio vicino alla costa del Vietnam Centrale. Gli abitanti vivono di pesca e di agricoltura.
Quanto stiamo per ricordare proviene da fonti statunitensi e, quindi, al di sopra di ogni sospetto
La Compagnia Charly del 1° battaglione di fanteria americano si era formato e addestrata in Georgia e alle reclute <era stato insegnato lo spirito della baionetta che era quello di uccidere>. Niente di strano: erano soldati e loro dovere era quello di uccidere il nemico.
Al termine dell’addestramento gli uomini della Compagnia Charly giunsero nel Vietnam dalle Hawaii, nel dicembre 1967. La Compagnia era considerata la migliore del battaglione, i loro componenti provenivano da ogni parte degli Stati Uniti e appartenevano a famiglie della media borghesia americana.
La Compagnia Charly per alcune settimane fu sottoposta a ripetuti scontri con i vietcong della zona di My Lai. Durante uno di questi combattimenti quattro soldati americani rimasero uccisi e 38 feriti.
Immediatamente fu predisposta una rappresaglia. I servizi segreti statunitensi ritenevano che a My Lai risiedesse il Quartier Generale dei vietcong. Era una informazione errata.
Il 15 marzo 1968 fu messo a punto l’attacco contro il villaggio e l’ordine venne dal colonnello Herald Anderson, comandante della brigata, e trasmesso al capitano Ernest Mandela, comandante della compagnia Charly.
Nessuno del comando ammise mai la propria responsabilità per ciò che accadde.
Il sergente Kennet Hodges, reduce di quell’operazione, ha testimoniato: <In pratica era stato dato l’ordine di uccidere tutti nel villaggio. Qualcuno chiese se dovevamo uccidere anche le donne e i bambini; l’ordine era di uccidere tutti, donne, vecchi e bambini>.
L’attacco su My Lai avvenne, come in molti altri casi, con gli elicotteri. Erano appena passate le sette del mattino ed era sabato. Secondo i Servizi Segreti, a quell’ora tutti i civili erano al mercato e al villaggio sarebbero rimasti solo i vietcong. I primi elicotteri arrivarono su My Lai alle 7,35; in venti minuti tutti i 120 uomini e i cinque ufficiali della compagnia avevano preso terra e nessuno sparò alcun colpo contro di loro, né ci fu alcun cenno di resistenza.
Racconta una donna, Phan Thi Tuan, scampata al massacro: <Mi stavo avviando al lavoro nei campi, quando sono arrivati gli elicotteri. Hanno cominciato a sparare. La gente non sapeva dove nascondersi. Ci dicevano di sederci e noi ci sedevamo; ci dicevano di alzarci in piedi e noi ci alzavamo. Poi ci hanno spinto in una trincea e hanno sparato. Io e i miei figli eravamo lì dentro con tutti quei morti>.
Un reduce, Varnando Simpson, racconta: <Lei stava correndo, voltandomi le spalle, lungo una fila di alberi, Portava qualcosa in braccio, non so se era un’arma o qualcosa d’altro, ma sapevo che era una donna. Non avevo intenzione di sparare a una donna, ma era stato dato l’ordine di sparare e feci fuoco. Poi vidi il bambino, feci fuoco tre o quattro volte. Le pallottole attraversarono lei e il bambino. Mi voltai e vidi la faccia del bambino spaccata a metà; gli mancava proprio la metà. Quel giorno fui responsabile della morte di venti, venticinque persone. Io ho sparato, tagliato gole, scotennato, ho tagliato mani e lingue. Sì, ho fatto tutto questo. Io!>.
Fred William, anche lui reduce da quella missione testimonia: <La cosa più sconvolgente che vidi fu un ragazzo. È stata una scena che mi perseguita e mi tormente da allora. A questo che gli avevano sparato alle braccia e le braccia gli pendevano lungo il corpo. Aveva una espressione stupita sul viso per quello che gli stavo per fare… Era come se mi chiedesse: cosa ho fatto di male? Ho sparato, l’ho ucciso… preferisco pensare che il mio fu un atto di pietà, perché qualcun altro lo avrebbe ucciso, alla fine>.
Un’altra donna, So Thi Qui: <Cadevamo come anatre con la testa in giù; gridavano: pietà, pietà, lasciateci andare, siamo innocenti, pietà. Fucilarono tutti lo stesso. Poi il silenzio. Bambini piccoli si trascinavano a quatto gambe lungo il bordo della fossa. Ero ferita, ma riuscii a trascinarmi sino a casa. Là, per terra stava distesa una donna nuda: era stata violentata. C’era anche una ragazza con la vagina squartata. Ancora non riusciamo a capire perché si siano comportati così>.
E il raccnto di una giovane donna, Phan Thi Trin: <Ho guardato fuora dalla finestra e ho visto mia sorella Mun; quell’anno avrebbe compiuto 14 anni. Un americano le stava sopra e lei non aveva niente addosso. Mia sorella tentava di resistere, poi l’americano si è tirato su, si è rivestito e l’ha uccisa. Usciii dal mio nascondiglio. La mia casa era stata distrutta dalle fiamme; nel cortile i miei cari giacevano bruciati vivi. Mia madre stringeva ancora fra le braccia il mio fratellino: mio fratellino che aveva sette mesi e il suo corpo era quasi completamente carbonizzato. Mi sono accasciata accanto al corpo di mia madre, a piangere>.
Le comunicazioni radio rivelarono che il comando era a conoscenza del massacro. Il capitano Thompson quel giorno era a bordo del suo elicottero e in quelle ore volava basso sul luogo dell’eccidio. Quando vide che i soldati avanzavano verso un gruppo di donne e di bambini indifesi, ordinò al suo equipaggio di puntare le armi contro i suoi compagni a terra. Qualora questi avessero sparato contro i civili <avrei sparato su di essi. In quel momento erano loro i miei nemici. Per fortuna non fu necessario dare l’ordine di far fuoco>.
La testimonianza del sergente Kenneth Hodges è sintomatica: <Noi abbiamo eseguito un ordine, e penso che questo sia moralmente accettabile. L’ordine era di distruggere il villaggio e uccidere gli abitanti. Noi abbiamo eseguito gli ordini e credo di non aver violato alcuna norma morale>.
Malgrado la totale assenza di qualsiasi resistenza, il tenente William Calley continuò a ordinare ai suoi uomini di proseguire il massacro. La maggior parte obbedì, pochi si rifiutarono e fra questi Hanry Stanley che si oppose di eseguire gli ordini, malgrado le minacce del tenente Calley.
Alle 11,30 la compagnia Charly fece una pausa per il pranzo, avevano ucciso più di 400 persone. I giornali americani, giorni dopo, parlarono di una importante vittoria e di molti nemici uccisi.
Quanto è accaduto a My Lai è stato tenuto celato per molto tempo. Quando la notizia del massacro si sparse per tutto il mondo, generò una ondata di sdegno e di orrore. A seguito di ciò gli uomini della compagnia Charly furono posti sotto inchiesta e si dichiararono <non colpevoli>.
Il comandante, capitano Ernest Mandela, contestò le accuse con queste parole: <Posso affermare che non ho visto alcun massacro a My Lai quel giorno>.
Il tenente William Calley, accusato di 109 assassinii si difese sostenendo di aver eseguito degli ordini.
Ebbene dei 46 uomini della compagnia Charly, colpevoli di assassinii, stupri, mutilazioni, uno solo fu condannato: il tenente William Calley. Ma l’opinione pubblica americana subì una metamorfosi: da una situazione di vergogna e di condanna si trasformò in un atteggiamento di giustificazione e di perdono. William Calley, incarcerato per tre giorni, fu rilasciato per ordine del presidente Nixon e posto agli arresti domiciliari. Tre anni dopo la prima sentenza che lo condannava all’ergastolo, fu rilasciato sulla parola.
A seguito di quanto sin qui scritto, il passaggio ad un accostamento alle rappresaglie messe in atto dalle Forze del Male nel secondo conflitto mondiale, risulta automatico. Ma è un accostamento improponibile, e ci spieghiamo. Le Convenzioni Internazionali di guerra vigenti sino al termine del 1945 prevedevano, in ben circostanziati casi, il Diritto di rappresaglia, in questi termini: <La rappresaglia, condotta obbiettivamente illecita, diventa, per le particolari circostanze in cui viene attuata, condotta lecita (…). (La rappresaglia) è una reazione all’atto illecito, la cui liceità deriva dall’esistenza di un precedente atto illecito>.
Ne consegue che, pur nella loro ferocia, stupidità e inutilità, le rappresaglie messe in atto dalle Forze del Male nella seconda guerra mondiale erano, perlomeno, atti leciti.
Invece, nel dopoguerra, il Diritto Internazionale, l’atto, allora lecito, venne modificato : <L’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1949, in deroga a quanto prima era consentito dall’art. 50 dei Regolamenti dell’Aja del 1899 e del 1907, proibisce in modo tassativo le misure di rappresaglia collettiva, di cui si ebbe abuso delittuoso nell’ultimo conflitto>.
Di conseguenza tutte le azioni, tutte le rappresaglie messe in atto dal 1949 in avanti, non essendo ammesse – anzi esplicitamente condannate dal Diritto – debbono essere considerate semplicemente degli assassinii di massa e gli autori, veri criminali di guerra, perseguibili in ogni momento.
Ci siamo spiegati?


 

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