Una delle sue caratteristiche più lampanti è l’unicità del messaggio: pur nelle differenti fasi storiche e politiche del Paese, le canzoni “alternative”, da oltre trent’anni, utilizzano tematiche comuni; in esse si raccontano le avventure, le battaglie, le sofferenze ma anche le aspirazioni, i sogni ed i valori di oltre due generazioni di militanti, mentre è sempre costante il richiamo alla riscoperta dei valori tradizionali e di temi storici totalmente dimenticati dalla cultura “ufficiale” e filocomunista. “Dunque la musica alternativa può anche essere definita come uno straordinario esempio (unico nell’Italia del trasformismo anche canoro) di fedeltà e di continuità ideale (www.lorien.it)“. L’altro tratto, e forse il più importante, è la sua divulgazione totalmente estranea ai canali commerciali: l’unico strumento di diffusione, per due generazioni, è stato quello di ogni cultura clandestina, il “passaparola”. Dunque, per la quantità di idee e di persone coinvolte, questo genere può essere definitivamente presentato come “il più complesso, duraturo e macroscopico esempio di cultura sommersa che l’italia abbia mai riscontrato nel corso della sua storia(www.lorien.it)“.
Il primo artista a tramutare in musica idee e passioni è stato Leo Valeriano, seguito poi dagli Amici del Vento (dei fratelli Venturino), dai Janus(gruppo romano impegnato nel prog) e dalla Compagnia dell’Anello, spesso associata musicalmente a “mostri sacri” come la PFM, le Orme, De Andrè(www.movimentiprog.net ). La nascita ufficiale però si fa risalire al primo “Campo Hobbit” presso Benevento; ecco come Marcello De Angelis, leader dei 270 bis, lo rievoca: ”Nel ’77 il primo Campo Hobbit. Un.’esperienza inverosimile. Singoli e gruppi, tutti per me più o meno sconosciuti che si alternavano sul palco a cantare. Certi facevano ridere, altri piangere, altri vibrare il cuore. Una vera Woodstock.”. All’estero, e soprattutto in Francia, emergono nel frattempo artisti che in alcuni casi raggiungono il successo, come per esempio è accaduto al “Battisti francese” Michel Sardou.
Più tardi però arriva l’apocalisse, con la repressione fisica di tutte le realtà non allineate e dei loro protagonisti:”Ci eravamo già da troppo tempo abituati a scrivere e cantare canzoni per i nostri morti. Non eravamo noi ad essere alternativi al mondo, ma il mondo, tutto il mondo, che continuava ad essere alternativo a noi, tanto da ucciderci o gioire della nostra morte.(M. De Angelis)”. Sono questi gli anni dei “traghettatori” (Francesco Mancinelli, Alvise) che sono riusciti, tra mille difficoltà(chiusura di radio e giornali, persecuzione dei giovani missini,…), a mantenere in vita la musica alternativa e la sua portata culturale.
Negli Novanta si ha la tanto sperata “rinascita”, con il graduale passaggio da “musica alternativa” a “rock identitario” accompagnato da un notevole miglioramento qualitativo dei lavori “non conformi”: non mancano così le più variegate sperimentazioni rap, punk, jazz, folk.
Negli ultimi anni poi si sono avuti grossi cambiamenti anche per quanto riguarda gli arrangiamenti, la grafica e l’utilizzo di strumenti molto più sofisticati. Il risultato è un centinaio di concerti all’anno, la nascita di altri gruppi alternativi e la fiorente attività in Internet con numerosi siti web. L’unico ostacolo e nel contempo l’unico obbiettivo ancora da raggiungere è la divulgazione nelle tv, nelle radio e nei giornali, nelle università, rompendo la dominazione e il controllo, non certo della destra, di tutti i circuiti mass mediatici e commerciali.
Le conclusioni? Le lasciamo al grande Marcello: “Oggi la musica alternativa non ha più bisogno di essere alternativa al mondo, anzi, può davvero diventare la musica del mondo. Non più la colonna sonora del ghetto, ma un prodotto da esportare al mondo esterno, ancora ignaro della nostra anima. Che è l’anima dei popolo, cioè l’anima di tutti. Non ci caratterizziamo, è vero, per uno specifico stile musicale, e questo ci rende forse meno “commerciabili”. Funziona certo meglio farsi indicare un genere musicale dai mercati internazionali e cavalcarlo scimmiottando coloro che l’hanno inventato – magari lontani mille miglia – persino nell’abbigliamento e nell’andatura. E quello che astutamente fanno i gruppi dell’”antagonismo assistito” della nuova sinistra e dei centri sociali. Il rap, l’hip hop, è quello che impone il mercato e loro, rivoluzionari da cartone animato, si mettono subito in riga e ballano alle note dei pifferaio magico. Noi per fortuna abbiamo ancora qualcosa di unico da dire, qualcosa che viene dal profondo. E siccome il nostro cruccio non è vendere tanti dischi, possiamo permetterci di farlo ognuno con i propri gusti ed i propri mezzi. Sono i contenuti quelli che contano. Le canzoni delle lotte sociali – quelle vere, non quelle che si vendono oggi nei supermercati, firmate Jovanotti o 99 Posse – vadano per ritmo, stile musicale e persino dialetto. Ma parlano tutte delle stesse speranze, dello stesso sangue e dello stesso amore. Sono canzoni di lotta, certo, ma anche canzoni d’amore. Sono, come le nostre, canzoni di amore per lotta e canzoni di una mai sconfitta lotta per l’amore”.
Fonte art. http://www.cantiribelli.com
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