lunedì 24 febbraio 2014

I Patti Lateranensi: così si chiuse la ‘Questione Romana’



85 anni fa, il 12 febbraio 1929, una folla festeggiava la firma dello storico accordo tra la Santa Sede e l’Italia, avvenuto il giorno precedente.
L’incontro tra lo Stato rappresentato da Benito Mussolini e la Chiesa nella persona del cardinale Pietro Gasparri.

‘Il Regime Fascista’ di Cremona, fondato e diretto da Roberto Farinacci, il 12 febbraio 1929 apre con una notizia che merita l’intera prima pagina e buona parte delle restanti: ‘Benito Mussolini e Pio XI hanno risolto la Questione Romana’. Nell’occhiello: ‘un avvenimento mondiale per l’Italia e per la Cristianità’.
‘Oggi alle ore 12 nel Palazzo Apostolico Lateranense – scrive, riportando il comunicato dell’agenzia Stefani – sono stati firmati da S.E. Reverendissima il cardinale Pietro Gasparri, plenipotenziario del Sommo Pontefice Pio XI e da S. E. il Cav. Benito Mussolini, Capo del Governo, plenipotenziario di S. M.  Vittorio Emanuele III Re d’Italia, un trattato politico che risolve ed elimina la ‘Questione Romana’, un concordato inteso a regolare le condizioni della religione e della Chiesa in Italia, ed una convenzione che sistema definitivamente i rapporti finanziari fra la Santa Sede e l’Italia in dipendenza degli avvenimenti del 1870’.
L’evento è colossale, di quelli destinati a rimanere per sempre sui libri di storia: i Patti Lateranensi sono realtà ed un’immensa folla si va radunando in Piazza San Pietro per vedere il Pontefice all’indomani di  questa svolta epocale, nonostante l’implacabile pioggia. Le cronache dell’epoca parlano di qualcosa come oltre centomila persone. La ‘questione romana’, sorta nel 1870 con l’annessione di Roma, è finalmente risolta.
Estremamente interessante la prima pagina del Giornale d’Italia di quello stesso 12 febbraio 1929. L’apertura: ‘L’accordo storico fra la Santa Sede e l’Italia è stato firmato oggi’ e nell’occhiello: ‘La questione romana è finita’. L’ immagine di Papa Pio XI da una parte, quella di Vittorio Emanuele dall’altra e, al centro, quella di Mussolini. Il comunicato della Stefani apre anche qui l’edizione dello storico quotidiano e poi un’analisi storica, a firma di una grande penna come quella di Virginio Gayda, che vale la pena di riportare, sebbene per sommi capi: ‘Il dissidio tra Stato e Chiesa in Italia durava non soltanto dal 1870, ma veramente dal 1848-49, da quando si ruppero i rapporti fra la Santa Sede e il Regno di Sardegna, chiamato alla missione di unificare l’Italia politica. È vecchio dunque di ottanta anni. Il 1870 lo aggrava in un più diretto e aperto conflitto. Portando a Roma il regno d’Italia e la sua Dinastia e sopprimendo definitivamente nei fatti il Principato pontificio di Roma e del Lazio il 1870 approfondisce e stabilizza l’urto che sembra per qualche decennio – e non può essere – antitesi inconciliabile fra i due poteri sovrani. La legge delle guarentigie, che è apparsa al suo tempo e in seguito un capolavoro di equilibrio saggio e di sottile semplificazione e soluzione dei grandi problemi aperti dalla breccia di Porta Pia, non poteva certo sopprimere questo conflitto. Essa è atto dello Stato italiano, la Santa Sede non l’ha mai riconosciuta e accettata. La sua unilateralità la condanna alla sterilità nella ricerca della formula stabile di una pace che ha bisogno di due liberi consensi. La sua unilateralità annulla anche, per la Chiesa, la legittimità di tutti i provvedimenti dello Stato italiano rivolti ai problemi della religione e dei suoi ministri, perché è principio del diritto canonico che nessuno Stato può legiferare in materia religiosa senza un concordato con la Santa Sede. Infine la legge delle Guarentigie non risolveva neppure tutto il complesso delle situazioni e dei problemi patrimoniali create e aperti dalla sostituzione, a Roma, dello Stato italiano pontificio e al Principato del Papa’. Ineffabile il contributo di Gayda sul ruolo di Roma: ‘è Roma che ha creato l’Italia nazionale, la sua lingua, la sua storia, la sua consistenza e il suo significato nei secoli, e il principio della indipendenza politica oltre che spirituale della Chiesa cattolica, rivendicata dalla Santa Sede, che ha avuto ed ha a Roma la sua base, la sua tradizione, la sua forza difensiva e propulsiva: la necessità insomma  di conciliare lo Stato italiano, necessariamente ‘usurpatore’, con la Chiesa cattolica, che si sentiva ‘usurpata’ e alla quale però il sentimento religioso degli italiani vuole rendere il massimo onore, sono stati l’ansia non soltanto  dei cittadini di fervido cattolicismo ma anche dei più previdenti uomini di Stato. La soddisfatta dottrina liberale secondo la quale tutto era già pacificamente composto con la formula raggiunta  … non poteva certamente bastare. Figurava di ignorare un problema: non lo risolveva né l’annullava’.
Punti di vista
Il concordato visto da ‘L’Italia, quotidiano cattolico del mattino’ e da ‘Il Popolo d’Italia’
È di assoluto interesse l’osservazione di due quotidiani, entrambi del 12 febbraio 1929, messi a confronto. Da una parte  L’Italia, quotidiano cattolico del mattino, titola: ‘La rivendicata Sovranità del Pontefice riconosciuta dallo Stato italiano’. Dall’altra Il Popolo d’Italia, fondato da Benito Mussolini, apre: ‘Una grande vittoria politica e spirituale del Regime’.
Entrambe le testate parlano di inizio di una nuova era e di svolta epocale. Nel dettaglio, L’Italia argomenta: ‘è questa una di quelle ore privilegiate della storia in cui la Provvidenza sembra discoprire d’un tratto le sue vie segrete perché gli uomini pieghino la fronte nella riacquistata coscienza del proprio destino immortale. Un secolo di lotte e di lutti, di vergogne e di glorie, di cospirazioni oscure e di purissime gesta, si conclude in una sintesi che ha per suo termine fondamentale la vittoria dello spirito. Cristo ridiventa romano, perché mai come oggi l’Urbe significa l’Orbe … la ‘questione romana’ era tutta nel drammatico sforzo di ricercare la forza umana che meglio e più palesemente guarentisse una sovranità legata direttamente a Dio. Il potere temporale era una garanzia storica la cui difesa si addimostrava tanto più necessaria quanto più chi vi attentava  pareva volesse travolgere quel che, appunto, il principato civile garentiva’.
Dall’altra parte, il Popolo d’Italia, in un bellissimo pezzo siglato a.m., Arnaldo Mussolini, dice: ‘prima di ieri il tricolore in chiesa richiamava nei fanatici un ricordo ingrato, come nei figli devoti di questa terra prediletta da Dio, l’ossequio semplicemente formale alla chiesa e alle sue leggi era motivo di amarezza, poi che il dovere e la vita spirituale apparivano incompiuti e non per colpa nostra. Ecco finalmente sanato il dissidio; ecco un Concordato che fissa le attribuzioni civili e religiose; ecco l’armonia intera del popolo italiano che si ritrova nella sua unità etnica e nella fusione spirituale di tutte le sue energie, di tutta la sua bontà e capacità, delle sue leggi e dei suoi reggimenti liberi, nella gloria e nel corso dei secoli … questa festa della fede, che si inquadra nell’amor patrio, è tipicamente nostra’.
Significativo un trafiletto a pagina 2: ‘Roma, 11 notte’. Il cuore degli Italiani si rivolge ancora una volta devoto e riconoscente al Duce, artefice massimo del memorabile evento, ma ancora una volta il Duce non sosta a compiacersi del trionfo. Non si adagia sugli allori. Neppure per un istante. Il Duce, invece – è bene che gli italiani lo sappiano – ha passato oggi, fra l’abitazione, Palazzo Viminale e Palazzo Chigi, la sua giornata nella metodica instancabile fatica. Gli applausi della folla echeggiavano ancora sulla piazza di San Giovanni in Laterano quando egli era già al Viminale al suo tavolo di lavoro’.
 
Fonte Art.
 
Di Emma Moriconi.

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