martedì 25 febbraio 2014

Alessandro Pavolini, fascista e letterato

Uomo di cultura, ma anche di coraggio, è il fondatore dei Littoriali e poi delle Brigate Nere della Repubblica Sociale

Con Mussolini, 'guida, esempio, affetto supremo', rimane fino alla morte e oltre: la sua è una delle diciotto salme sul freddo suolo di Piazzale Loreto.

'Le Brigate nere allineano, dai vecchi ai ragazzi, gli uomini di ogni età ... gli uomini che non hanno età, se non quella del proprio spirito ... sono una famiglia, questa famiglia ha un antenato: lo Squadrismo; un blasone: il sacrificio di sangue; una genitrice: l'Idea fascista; una guida, un esempio, una dedizione assoluta e un affetto supremo: Mussolini'. Sono parole pronunciate da Alessandro Pavolini nel  1945, quando manca un passo alla disfatta di un pezzo della storia d'Italia che per ventuno anni aveva retto le sorti della Nazione: il Duce, e la Repubblica Sociale nata dalle ceneri di un'Italia tradita ed infangata al disonore, stavano per cadere. Alessandro Pavolini, fascista, combattente e letterato, uomo di muscoli e di mente, ci crede fino alla fine, senza esitazione alcuna. La sua storia è fatta di cultura e fascismo, amalgamati insieme da una forte, viscerale vocazione e da una fede di ferro, che lo porterà a condividere la sorte di tutti quei fascisti che, all'indomani del tradimento del Re e di Badoglio, avevano voluto credere in un epilogo diverso e maggiormente onorevole per la loro Patria, per la quale per due lunghi decenni avevano lavorato.
La sua adesione al Fascismo risale a quel 28 ottobre del 1922 in cui le camicie nere avevano marciato su Roma, dopo la nomina di Mussolini a Presidente del Consiglio dei Ministri da parte del Re. Alessandro Pavolini ha appena 19 anni ed è un giovane e brillante laureato in giurisprudenza e scienze politiche, ha frequentato gli atenei di Firenze e di Roma. La sua attività politica inizia nel Fascio fiorentino, di cui diventa Vicefederale nel 1927 e poi Federale nel '29. Nel frattempo scrive, e appassionato com'è collabora ad alcune riviste letterarie, pubblica saggi politici, scrive un romanzo dal titolo 'Giro d'Italia' che ottiene un certo successo. Il suo lavoro alla testa del fascio fiorentino dà al movimento politico una connotazione squisitamente culturale ed artistica, promuovendo mostre ed iniziative culturali di vario genere, tra cui il noto 'Maggio musicale fiorentino' di fama internazionale. Ancora, fonda una rivista letteraria che chiama 'Il Bargello' e ne fa l'organo della Federazione Giovanile Fascista, coniugando così con armonia la politica alla cultura, binomio di interesse eccezionale.
Nel 1932 fa parte del Direttorio Nazionale del PNF, nel 1934 è eletto deputato e poi presiede la Confederazione Professionisti ed Artisti: è qui che nascono i famosi 'Littoriali'.
Volontario nella guerra d'Africa insieme a Galeazzo Ciano, con cui nel frattempo ha stretto amicizia, prende parte alle operazioni della 'Disperata' (che darà anche il nome ad un suo romanzo): dall'Africa manda corrispondenze per il Corriere della Sera con cui collabora. Tornato in Patria, nel 1939 è Ministro della Cultura Popolare: la stampa estera e quella nazionale, la propaganda, il cinema, il turismo, il teatro, i servizi amministrativi sono ambiti che vengono organizzati in sette diverse Direzioni Generali, a cui si aggiungono l'EIAR (la futura Rai), la SIAE ed altri enti che fanno parte delle strutture poste sotto la sua vigilanza.
La decisione del Gran Consiglio del 25 luglio '43 di destituire Mussolini lo fa infuriare: lo viene a sapere per caso, imbattendosi nel ministro Benini al bar dell' Excelsior. Benini è appena uscito da casa di Galeazzo Ciano, e fa a Pavolini una relazione dettagliata di com'è andata la notte più lunga del Fascismo. La sua risposta è netta: 'Mitra! Alla macchia!'.
Nel 1943 aderisce alla RSI sin dalla sua fondazione, è segretario del PFR e, nel '44, è fondatore delle Brigate Nere, che Pavolini percepisce proprio come le naturali eredi dello squadrismo, per le quali la parola d'ordine è la fedeltà a Mussolini. E con lui rimane, fino alla fine. Il 28 aprile 1945 viene ucciso dai partigiani sul lungolago di Dongo. Le sue ultime parole sono per la sua Patria, per la quale ha combattuto per tutta la vita:  'Viva l'Italia!'. La sua è una delle diciotto salme che vengono ammucchiate sul freddo suolo di Piazzale Loreto a Milano.
 
Fonte art.
http://www.ilgiornaleditalia.org
Di Emma Moriconi.
 
 

Nessun commento:

Posta un commento

Commenti dai camerati.