Durante gli anni ’50 il PCI (Partito Comunista Italiano) incassò oltre 7.000 miliardi di vecchie lire dal regime sovietico, senza dimenticare gli oltre 50 miliardi di dollari che entravano regolarmente ogni anno nelle casse del PCI da Madre Russia…
di Eugenio Cipolla.
Giusto che gli ebrei facciano la morale a Berlusconi per le improvvide parole pronunciate sull’olocausto. Giusto, perché in qualche modo ne hanno diritto, essendo molti loro avi rimasti vittime della folle ideologia hitleriana. Giusto, ma senza esagerare, perché più che un paragone, quello di Berlusconi è sembrato un maldestro tentativo di esacerbare uno stato d’animo più che comprensibile (ma che avrebbe potuto benissimo risparmiarsi e risparmiarci).
Un po’ meno giusto, anzi totalmente sbagliato, vedere numerosi esponenti di Pd e Sel, in gran parte provenienti dalle file del Pds e del Prc, i due partiti che nacquero dopo la morte del PCI, moraleggiare sui valori dell’olocausto, sulle ideologie folli, sulla banalizzazione di tragedie che hanno causato milioni di morti. Come possono farlo coloro che provengono da un partito-cultura che veniva finanziato con i soldi sporchi del regime sovietico (che in sessantanove anni di vita causò, tra purghe, repressioni e persecuzioni, più di venti milioni di morti)?
Soldi, tanti soldi. Valerio Riva, nel suo libro Oro da Mosca, ha calcolato che tra il 1950 e il 1987 il Pci abbia ricevuto circa 6.000 miliardi di lire, basandosi su una provvigione media dell’1,5% praticata dalle società del Pci su 400.000 miliardi di lire degli affari di quegli anni con l’Est Europa, dunque con l’Urss. Soldi, tantissimi soldi, ai quali vanno aggiunti altri 889 miliardi di vecchie lire che, secondo gli accertamenti della magistratura russa, arrivarono al Pci tra il 1950 e il 1991 da un “Fondo di assistenza internazionale ai partiti e alle organizzazioni operarie di sinistra” gestito dal PCUS (fondo che, per completezza di cronaca, finanziò anche Psi, Psiup e Cgil).
William Colby, capo della CIA negli anni ’70, intervistato da Alessandra Boldini per il settimanale Panorama, sostenne che durante gli anni Cinquanta il PCI riceveva annualmente dal regime sovietico 50 milioni di dollari. Soldi che permettevano al Partito Comunista Italiano di mantenere un apparato potentissimo, quasi elefantiaco, che nel 1976, tra funzionari presenti nelle federazioni provinciali, nei comitati regionali e nel centro nazionale, arrivò a contare 3141 persone (ai quali ne andavano aggiunte altre 1600, tra tipografi, giornalisti, impiegati e amministratori, che lavoravano per i quotidiani del partito: L’Unità, l’Ora, Paese sera). Chi pagava per tutto questo?
Significativo in questo contesto, l’episodio raccontato da Gianni Cervetti, responsabile del settore amministrativo e finanziario del PCI a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80, nel suo libro-confessione L’Oro di Mosca, la testimonianza di un protagonista. Subito dopo la sua elezione del 1975, Cervetti fu avvicinato dall’allora ambasciatore russo in Italia, Nikita Ryzhov, il quale lo invitò a recarsi a Mosca per incontrare Boris Ponomariov, il numero uno della sezione Esteri del Comitato centrale del PCUS (in poche e più semplici parole il tutore dei “compagni” stranieri per conto del partito).
Un incontro che avvenne solo nel gennaio del 1977 e che Cervetti racconta così:
«Al termine dell’incontro, esaurita la parte politica, Ponomariov prese un foglietto di carta e una matita ben appuntita traendoli dai rispettivi contenitori da tavolo, scrisse qualcosa e me la mostrò. Lessi la cifra di cinque milioni. Si doveva intendere di dollari. Ponomariov accompagnò i gesti con brevi parole dalle quali si desumeva che la somma valeva per l’anno appena iniziato e che si trattava di uno sforzo considerevole di solidarietà, il più cospicuo possibile. Per parte mia feci un cenno di assenso con il capo e aggiunsi una frase di ringraziamento. Subito dopo mi accomiatati».
E’ proprio leggendo queste parole che viene spontaneo chiedersi come faccia uno come Nichi Vendola, militante PCI, nonché candidato non eletto alle elezioni del 1987, a parlare di olocausto, avendo aderito pienamente alle ideologie di un partito che ignorò la dekulakizzazione operata dal regime di Stalin nel 1930, che causò la morte di sei milioni di persone (gli stessi dell’olocausto hitleriano). Così come viene naturale domandarsi perché uno come Gad Lerner (che le origini sovietiche le ha e dovrebbe sapere cosa è successo) possa moraleggiare e al tempo stesso essere iscritto a un partito, il Pd, figlio di quel Pci che fece finta di non accorgersi degli oltre cinque milioni di morti causati dalle purghe staliniane negli anni del Grande Terrore (1936-1938). Mistero.
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