70 anni fa in Ucraina vennero scoperte le fosse comuni dove erano stati sepolti oltre 20 mila polacchi uccisi dai sovietici, una strage di cui per anni non si poté parlare.
Il 13 aprile del 1943 Radio Berlino annunciò che nella foresta di Katyn, nella Russia occupata dall’esercito nazista, erano stati trovati 3.000 corpi di ufficiali e soldati polacchi, tutti uccisi con un colpo di pistola alla nuca. Fu una strage di cui per il resto della guerra si accusarono a vicenda la Germania nazista e l’Unione Sovietica. Regno Unito e Stati Uniti rimasero in un silenzio imbarazzato, opponendosi a indagini neutrali sulla strage per il timore di indispettire i loro alleati russi.
Nonostante le assicurazioni britanniche ai polacchi in esilio che combattevano con gli alleati, nessuno venne mai condannato o processato per la strage. La Russia riconobbe le sue responsabilità nella strage soltanto nel 1991, autoaccusandosi dell’esecuzione di circa 1.800 morti. Alla fine delle ricerche, nella foresta di Katyn e in altri luoghi dell’Ucraina e della Bielorussia, vennero ritrovati più di 20 mila corpi.
L’invasione
Il primo settembre del 1939 la Germania nazista invase la Polonia dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale. Il Regno Unito e la Francia, in base ai trattati di alleanza che avevano sottoscritto, dichiararono guerra alla Germania, ma, nonostante le promesse, non intrapresero alcuna azione militare concreta. In poche settimane l’esercito tedesco, più moderno e dotato di un maggior numero di aerei e mezzi corazzati, avanzò di centinaia di chilometri, sconfiggendo l’esercito polacco con una rapidità che lasciò sorpresa tutta l’Europa.
Il 17 settembre il ministro degli esteri russo, Vjaceslav Molotov, che poche settimane prima aveva firmato con il suo omologo nazista un trattato di non aggressione che comprendeva clausole segrete per spartirsi la Polonia, convocò l’ambasciatore polacco a Mosca. Gli spiegò che siccome la Repubblica polacca di fatto non esisteva più, l’Armata Rossa sarebbe intervenuta per proteggere i cittadini russi in Polonia.
Questo significò che mentre l’esercito nazista avanzava da ovest, l’Arma Rossa entrava in Polonia da est. L’intervento, come lo aveva chiamato Molotov, fu un’invasione in piena regola. Come scrisse un generale polacco, a quel punto la guerra era diventata per l’esercito polacco «poco più di una protesta in armi». Il 28 settembre la Germania e l’Unione Sovietica firmarono il Trattato di amicizia, cooperazione e demarcazione, con cui sancivano di fatto la spartizione in due della Polonia, riconoscendo la legittimità delle rispettive mire espansionistiche (i russi a est, i tedeschi a ovest).
L’occupazione
L’occupazione russa della parte orientale della Polonia fu brutale quanto quella nazista nella parte occidentale. Circa un milione e mezzo di polacchi vennero deportati in Siberia o in altre zone remote dell’Unione Sovietica. Circa 350 mila polacchi – ma le stime sono molto variabili – morirono di fame o di malattia.
Per diciotto mesi, cioè fino a quando la Russia non venne invasa dalla Germania e molti polacchi liberati e inviati nel Regno Unito o arruolati nell’esercito comunista polacco, i prigionieri furono costretti a lavorare nei gulag siberiani, posando ferrovie a mani nude, lavorando in fabbriche per l’inscatolamento della carne o tagliando foreste. Questi campi spesso si trovavano oltre il circolo polare artico. Per i prigionieri polacchi, vestiti in maniera inadeguata, la media dei morti in alcuni campi era di 12 al giorno.
Tra la fine del 1939 e la primavera del 1940 sembrava che per quei prigionieri la situazione potesse improvvisamente migliorare: la guerra sembrava pronta a finire da un momento all’altro. Sul fronte occidentale, lungo il confine tra Francia e Germania, gli eserciti si osservavano a distanza senza combattere. A Londra e a Parigi in molti ritenevano che, sconfitta la Polonia, non ci fosse più motivo di continuare la guerra con la Germania e che quindi si potesse arrivare a una pace negoziata. Per Stalin e la leadership sovietica questa era l’eventualità peggiore. Nei loro piani Germania, Francia e Regno Unito avrebbero dovuto dissanguarsi in un lungo conflitto, simile alla Prima Guerra Mondiale. L’Unione Sovietica sarebbe intervenuta solo alla fine, attaccando i paesi oramai indeboliti.
Con la pace che sembrava sempre più vicina, Stalin temeva anche che la repubblica polacca sarebbe stata, in qualche modo, ricostituita, ma non aveva nessuna intenzione di cedere i territorio che aveva occupato. Nel timore di un nuovo conflitto per mantenere quelle conquiste, i leader sovietici decisero che se fosse nata una nuova Polonia avrebbe dovuto essere un paese debole e facile da intimidire. Per ottenere questo risultato, Stalin decise di decapitare l’intera classe dirigente polacca.
La strage
Il 5 marzo del 1940, Lavrentij Berija, capo del NKVD, la polizia politica che nel dopoguerra sarebbe diventata il KGB, inviò un memorandum a Stalin in cui proponeva l’esecuzione di migliaia di «nazionalisti e controrivoluzionari» polacchi. Si trattava di ufficiali, politici, giornalisti, professori e industriali che al momento si trovavano nelle prigioni russe. L’ordine venne eseguito nel corso dell’aprile del 1940 in diversi campi in Ucraina e Bielorussia.
La strage venne compiuta nel più assoluto segreto perché Stalin temeva una possibile reazione da parte degli alleati, e forse addirittura dei nazisti, ad un simile massacro. All’epoca un governo polacco in esilio si era insediato a Londra, mentre migliaia di esuli polacchi si erano arruolati nell’esercito inglese (alla fine della guerra furono più di 100 mila i polacchi che combatterono con gli alleati). Le esecuzioni dovevano avvenire di notte, a piccoli gruppi, per evitare sospetti, mentre i corpi dovevano essere sepolti in luoghi remoti, lontani dai centri abitati.
Uno dei protagonisti della strage fu Vasili Blokhin, un generale del NKVD. Quando il 4 aprile del 1941 arrivò l’ordine di Stalin di cominciare le esecuzioni, Blokhin decise di procedere rapidamente. Aveva la responsabilità di circa 7 mila prigionieri e voleva terminare il suo compito in poche settimane. Per motivi di sicurezza non era possibile procedere alle esecuzioni alla luce del giorno. Blokhin fissò la “quota” di prigionieri da uccidere a 300 per notte e fece predisporre un elaborato sistema per raggiungerla. Blokhin decise anche che avrebbe eseguito personalmente le esecuzioni.
Fonte art. http://www.ilpost.it/2013/04/13/le-fosse-di-katyn/
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