sabato 26 aprile 2014

La chiamano 'liberazione'

 
 

Civili, donne, sacerdoti massacrati dall’odio partigiano. Un elenco di vittime così lungo che è impossibile da analizzare, da raccontare.

La data del 25 aprile, che il calendario delle feste civili indica come il giorno dedicato alle celebrazioni della Liberazione, è un giorno che ancora oggi, a distanza di decenni dalla fine della guerra, porta con sé divisioni e polemiche. Dettate principalmente dall’odio ideologico di chi si rifiuta di ammettere colpe e responsabilità della propria fazione in uno spargimento di sangue fratricida che ha davvero poco della guerra tradizionalmente intesa.
Terrore e vendetta dunque. Ed un elenco di vittime quasi impossibile da analizzare in maniera approfondita e completa. Nomi di persone non solo considerate in qualche modo colluse con il fascismo, ma anche solo sospettate di simpatie o contatti che spesso in realtà non c’erano neanche stati. Persone la cui esistenza (e soprattutto la cui morte) in molti preferiscono relegare nell’angolo degli episodi da dimenticare.
A loro, alle loro famiglie e a tutti coloro che hanno davvero a cuore la storia del nostro Paese, finalmente e realmente condivisa, è dedicato il nostro 25 aprile. Un giorno che, finché non sarà resa giustizia a tutte le vittime, sarà sempre e soltanto la rivendicazione di un dramma di cui, a mente fredda, c’è veramente poco da essere fieri.
Donne, madri, sorelle, figlie
In tutta Italia furono moltissime le donne uccise dai partigiani: non solo quelle impegnate politicamente o militarmente in quell’ultimo scorcio di guerra, ma anche figlie, mogli, madri di soldati al fronte. Rapite, violentate, torturate con una barbarie che lascia senza parole. Ne citiamo solo alcune, a simboleggiare il sacrificio silenzioso di tutte le italiane che hanno subito la stessa terribile sorte.
-          Annamaria Bacchi, sorella di un ufficiale della GNR. Il suo cadavere fu ritrovato in un campo in quel di Modena a due anni dalla scomparsa
-          Rosaria Bertacchi Paltrinieri e Jolanda Pignati, entrambe coinvolte nel fascismo modenese. Prelevate nelle loro abitazioni, furono violentate di fronte ai rispettivi mariti e figli e quindi sepolte vive
-          Ines Gozzi, 24 anni, fidanzata di un fascista, violentata e finita con un colpo alla nuca
-          Laura Rava, 66 anni, seviziata ed uccisa ad Ivrea con l’accusa di essere una spia. Come anche Camilla Durando Chiappirone, 73 anni
-          Maria Deffar Delfino, 55 anni, soppressa perché madre di un marò della X Mas
-          Amodio Rosa, 23 anni, assassinata nel luglio del 1947, mentre in bicicletta andava da Savona a Vado
-          Crivelli Jolanda, vedova ventenne di un ufficiale del Battaglione “M” costretta a denudarsi e fucilata a Cesena, sulla piazza principale, dopo essere stata legata ad un albero, ove il cadavere rimase esposto per due giorni e due notti
-          Genesi Jole, Rovilda Lidia: Torturate all’hotel San Carlo di Arona (Novara) e assassinate il 4 maggio 1945. In servizio presso la GNR di Novara. Catturate alla Stazione Centrale di Milano, ai primi di maggio, le due ausiliarie si erano rifiutate di rivelare dove si fosse nascosta la loro comandante provinciale
-          Tam Angela Maria, terziaria francescana, assassinata il 6 maggio 1945 a Buglio in Monte (Sondrio) dopo aver subito violenza carnale
-          Buzzoni Adele, Buzzoni Maria, Mutti Luigia, Nassari Dosolina, Ottarana Rosetta. Facevano parte di un gruppo di ausiliarie catturate all’interno dell’ospedale di Piacenza e messe al muro per essere fucilate. Adele Buzzoni supplicò che salvassero la sorella Maria, unico sostegno per la madre cieca. Un partigiano afferrò per un braccio la ragazza e la spostò dal gruppo. Ma, partita la scarica, Maria Buzzoni, vedendo cadere la sorella, lanciò un urlo terribile, in seguito al quale venne falciata dal mitra di un partigiano
Sacerdoti, Ministri di Dio
Moltissimi furono i sacerdoti assassinati dai partigiani dal 1944 in poi: i corpi di molti di loro non hanno mai trovato sepoltura, sono stati massacrati e abbandonati alle intemperie. Della loro storia si è occupato, tra gli altri, un giornalista, Roberto Beretta, che ha cercato informazioni presso gli archivi diocesani lungo lo Stivale, spesso scontrandosi con l’omertà che da decenni caratterizza questo spaccato della nostra storia.
Raccontare la vicenda di ciascuno di loro è impossibile in questa sede, troppi sono i nomi degli uomini di Dio trucidati in quei terribili mesi. Ne citeremo alcuni, che costituiranno una testimonianza che renda onore a tutti. Molti, tra l’altro, sono morti senza nome. Dall’indagine di Beretta emergono dati spaventosi: gli uccisi sono centinaia, tra cappellani militari, parroci, viceparroci, seminaristi, novizi e religiosi laici.
Il caso più noto è quello di don Tullio Calcagno, impegnato direttamente nella Repubblica sociale, fondatore del movimento Crociata Italica, ucciso il 29 luglio 1945 e trasportato a Musocco su un carretto della spazzatura. Ma di sacerdoti barbaramente assassinati ce ne furono moltissimi.
Don Luigi Lenzini, per esempio, il parroco sessantenne di Crocette, nel modenese. “Lasciate almeno che mi vada a vestire” aveva chiesto il Ministro di Dio. Non gli fu concesso: fu trascinato, di notte, in una vigna. Fu torturato, gli furono cavati gli occhi, infine lo strangolarono e lo seppellirono lasciando la testa a sporgere fuori dalla terra.
Rolando Rivi era un seminarista di appena 14 anni: fu prelevato la mattina del 10 aprile 1945 da partigiani comunisti e ucciso due giorni dopo. E ancora Don Giuseppe Amatello, ucciso a colpi d’ascia il 15 marzo 1944; don Giuseppe Guicciardi, assassinato a colpi di pistola dopo aver sfamato un gruppo di partigiani che gli aveva chiesto sostegno; don Giuseppe Preci, portato fuori dalla canonica con un pretesto e freddato da una scarica di mitra.
Sono solo alcuni nomi di una lunghissima, macabra lista. Il ricordo di loro sia un pensiero che raggiunga tutti.
Civili, gente comune, italiani
Anche moltissimi civili furono trucidati dai partigiani in quei mesi bui che caratterizzarono gli ultimi periodi di guerra ma anche i mesi successivi, a guerra finita. Crimini che non sono mai stati riconosciuti né rispettati, se molte vie e piazza d’Italia sono intitolate a dubbie figure che sono state spacciate per eroiche lungo gli scorsi decenni. Un caso è quello della giovane mamma Assunta Vannozzi, uccisa a Leonessa, in provincia di Rieti nel marzo del 1944, che fu strappata dalle braccia del figlio di soli due anni. Un altro episodio di estrema brutalità è quello che ha come vittime i membri della famiglia Govoni, composta di Cesare e Caterina, con i loro otto figli: Dino viene ammazzato a 41 anni, Marino – padre di una bambina - a 33, Emo a 32, Giuseppe – divenuto padre da appena tre mesi - a 30, Augusto a 27, Primo a 22, Ida – mamma di un bambino di due mesi - a 20 anni. L’unica della famiglia a sopravvivere a quell’orrenda strage fu Maria: nata nel 1912 e sposata da poco, si era trasferita con il marito e i partigiani non erano riusciti a trovarla. I sette fratelli Govoni furono prelevati dai partigiani il 10 maggio del ’45 e tradotti in un podere, dove furono selvaggiamente picchiati. Con loro erano anche altri prigionieri: tutti vennero massacrati di botte per ore. La ferocia dei partigiani della “Brigata Paolo” si abbatté sugli innocenti fino a causarne la morte tra le urla e la disperazione, fino alle 23 della tarda sera, quando completarono l’orrenda opera appropriandosi dei pochi effetti personali delle vittime. La mamma dei sette fratelli Govoni cercò di recuperare le ossa dei poveri ragazzi. Dopo molto tempo lo Stato assegnò all’infelice madre settemila lire al mese di pensione: mille lire per ogni figlio trucidato.
Tantissime sono le storie di civili innocenti massacrati da quelli che spesso vengono definiti “eroi”. Il ricordo di questi che abbiamo citati simboleggi la memoria di tutti.
Tanto sangue dunque. Sangue italiano, sangue volutamente trascurato. Sangue fratricida e non solo in termini di nascita. Vittime della furia cieca di quei mesi terribili furono anche alcuni partigiani appartenenti a formazioni di matrice cattolica, trucidati da coloro che consideravano “commilitoni” ma che hanno invece sperimentato sulla loro pelle la follia di uno spargimento di sangue che, ancora oggi, qualcuno si ostina a festeggiare. Senza alcuna possibilità di contestazione critica di quanto avvenuto, pena la condanna ad una gogna senza appello.
Il 25 aprile è una data simbolo, è vero. Di lutto. Ma la chiamano “liberazione”.

Fonte art.
Di Emma Moricono Cristina Di Giorgi.
http://www.ilgiornaleditalia.org

 

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