Leonessa: a settant’anni dalla barbara uccisione, il Comitato chiede il giusto riconoscimento
Era il 16 marzo 1944 quando la giovane mamma ventinovenne venne strappata dalle braccia di suo figlio e vilmente assassinata in strada
Aveva solo 29 anni, Assunta Vannozzi, quando fu barbaramente uccisa dai partigiani.
La sua storia sui libri di scuola non c’è, perché è una storia scomoda, che racconta una verità scomoda. Leonessa, provincia di Rieti, 16 marzo 1944: un gruppo di partigiani, i volti coperti da passamontagna e fazzoletti, irrompono in casa Vannozzi, nella frazione di Leonessa chiamata Capodacqua. Assunta ha 29 anni, è una giovane mamma ed è a letto malata.
La accusano di essere una “spia”, le strappano dalle braccia il figlio Luigino, che ha solo due anni, la trascinano in strada, uno di loro le scarica addosso il caricatore di una pistola per poi darle il colpo di grazia alla nuca. Rientrati nell’abitazione, razziano tutto ciò che trovano: corredo di nozze, gioielli, piccoli valori. Assunta Vannozzi, però, è innocente. È solo una giovane mamma che con la sua vita paga il prezzo di un odio senza confini. Ancora oggi l’Anpi parla di lei come di una “prostituta”: settant’anni dopo si tenta di uccidere Assunta Vannozzi per la seconda volta e questo la dice lunga sui personaggi di cui stiamo parlando. Laddove non c’è rispetto per la vita di una mamma innocente ci si aspetta forse rispetto per la sua memoria? Il fatto è che costoro continuano ad autoincensarsi come “eroi”, che in molte realtà territoriali ci sono vie e piazze intitolate ad una sigla, “C.L.N.”, che contava tra le sue fila anche barbari assassini. Crimini nascosti per decenni.
Negli anni che seguono la fine della guerra vengono accusati del brutale omicidio tre partigiani, uno di essi, individuato come l’esecutore materiale, afferma di aver agito su ordine della Brigata Gramsci. Ma la “giustizia” classifica l’orrore perpetrato ai danni di Assunta Vannozzi come “legittimo atto di guerra”, dunque i tre vengono rimessi in libertà, anche se la Magistratura accerta anche l’innocenza di Assunta, considerando il suo assassinio come un “errore di valutazione”.
Sono trascorsi settant’anni: il Comitato Pro 70° Anniversario della RSI in Provincia di Rieti si è recato nel cimitero di Vallunga, dove Assunta riposa, a portare un fiore sulla sua povera tomba e a chiedere “una pubblica riabilitazione della giovane mamma di Capodacqua”, come riferisce al Giornale di Rieti il dott. Pietro Cappellari, responsabile culturale del Comitato. Così hanno richiesto al sindaco di Leonessa che la via che congiunge Ocre a Capodacqua venga dedicata alla memoria di Assunta Vannozzi e che sul luogo dell’uccisione sia eretta di nuovo la croce che era stata già apposta in passato e poi tolta per lavori stradali e mai ripristinata.
“Un atto dovuto – ha proseguito Cappellari – che l’intera comunità leonessana deve a una sua concittadina uccisa troppe volte, fisicamente e moralmente. Essere qui oggi per noi è un atto non solo di carità cristiana – ha aggiunto – siamo qui non solo per un giusto tributo ad un’innocente che oltre ad essere stata ingiustamente uccisa e strappata all’affetto dei cari, è stata vilmente vituperata per decenni da personaggi senza scrupoli; ma anche per un dovere morale che avevamo con Luigino Montini, figlio di Assunta, che per tutta la vita ha portato nel suo cuore i segni indelebili di quella tragedia. Oggi che Luigino non è più con noi – ha poi concluso – ma è tornato tra le braccia della mamma che gli fu strappata dall’odio politico quando aveva solo due anni, siamo qui per ricostruire quello che realmente avvenne, abbattendo definitivamente il muro di omertà costruito dalla vulgata antifascista. Speriamo che Assunta e Luigino, da lassù dove ci guardano, finalmente, possano ora riposare in pace”.
Art di Emma Moriconi.
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