Comandante della 36esima Brigata Nera di Lucca Benito Mussolini, poi rinominata Natale Piagentini in omaggio al suo primo caduto.
Raggiunge il Duce per compiere con lui l’ ultimo viaggio: prima del riconoscimento, dopo piazzale Loreto, è lo sconosciuto n. 29
Sconosciuto numero 29, fossa numero 14 del cimitero Maggiore. Il suo riconoscimento avviene il 2 ottobre 1946, “non a seguito di esumazione, ma sulla scorta degli elementi annotati sul verbale descrittivo del cadavere, per Utimperghe Idreno fu Giovanni”, ufficiale delle Brigate Nere, federale di Lucca e comandante della 36esima Brigata Nera di Lucca.
Quella di Utimpergher fu la prima Brigata a nascere e l’ultima a deporre le armi; essa venne intitolata a Benito Mussolini. Il nome venne poi cambiato in Brigata Nera Natale Piagentini, in omaggio all’usanza di intitolare ogni Brigata al suo primo caduto. La Brigata comandata da Utembergher contava centotrenta uomini. La sua creazione è frutto di un accordo tra Utimpergher e il segretario del PFR Pavolini e operò in Garfagnana, nel modenese, nel piacentino ed infine in Piemonte.
Infatti ,quando il 5 settembre 1944 Lucca fu raggiunta dagli americani, Utimpergher cominciò a trasferire alcuni uffici a Barga e poi a Camporgiano. Con l’arrivo, ad ottobre, della Divisione Monterosa, si diresse a Piacenza lasciando la Garfagnana.
La Brigata era identificata da un distintivo romboidale riproducente un fascio littorio su base rosso scuro e la scritta “Brigata Nera Mussolini Lucca”. Un cimelio molto raro, di cui sembravano sparite le tracce e che compare nel volume di Giorgio Pisanò “Storia delle Forze Armate della R.S.I.”. Negli anni Novanta un esemplare fu rinvenuto per caso da un collezionista in una sartoria teatrale: contenuti in una scatola, ne trovò una ventina di esemplari. Nella prevedibile diatriba che derivò dal ritrovamento, ci fu chi riteneva che fossero distintivi creati appositamente a fini cinematografici, anche se la fattura e la robustezza dei distintivi fa propendere per la loro originalità.
Secondo una delle molteplici versioni relative all’uccisione di Mussolini, a Utimpergher apparteneva l’arma che colpì il Duce: gli sarebbe stata sottratta dai partigiani, si trattava di un mitra di fabbricazione francese calibro 7,65. Sempre secondo la versione di cui sopra, l’arma sarebbe stata poi “trasportata a Mosca e donata a Stalin come un cimelio storico della vittoria sul nazifascismo”. Altri racconti parlano di “fitto mistero” e di “arma scomparsa nel nulla”.
Il cognome Utimpergher fu italianizzato nel 1942 in Utimperghe per volere del padre Giovanni. Nel 1922 Idreno aveva partecipato alla Marcia su Roma e dopo la liberazione del Duce, il 12 settembre 1943, non aveva esitato a riaprire la federazione fascista di Trieste e ad entrare nella Repubblica Sociale, per la quale era stato federale di Lucca. Nei giorni concitati che precedettero il 28 aprile 1945, fu tra i pochi, insieme a Pavolini, a riuscire a raggiungere Mussolini, al quale i due si unirono nell’ultimo viaggio, diretti in Valtellina. I partigiani lo presero e lo fucilarono sul lungolago di Dongo il 28 aprile 1945. Il suo corpo, insieme a quelli degli altri gerarchi uccisi nella mattanza, fu trascinato a piazzale Loreto a Milano. Le uccisioni di Dongo furono rubricate come atti di guerra e archiviati nel 1967. Scriveva Il Giornale nel gennaio del 2013, dopo il ritorno alla luce di un fascicolo contenente documenti e foto: “Le istantanee di quel 28 aprile sono terribili. Nessuna pietà, nessuna parvenza di umanità e di vera legittimità […] Fu un periodo che ebbe l’ambizione d’essere rivoluzionario, che da molti anche oggi viene descritto come rivoluzionario ed eroico, ma che della rivoluzione spartì solo in minima parte i connotati positivi: l’ardore del nuovo, la genuinità delle convinzioni e delle passioni, la speranza del futuro. Ne ebbe invece i connotati peggiori, la ferocia e la vendetta”.
Non solo: nessun tribunale ha emesso alcuna sentenza. E il 28 aprile la guerra era finita.
Di Idreno Utimperghe parla anche un volume: “Fascisti toscani nella Repubblica di Salò”, di Andrea Rossi, di chiara matrice filo-resistenziale, che tuttavia fornisce documentazione meritevole di conoscenza, e possiede anche momenti come quello che riportiamo: “Nel singulto conclusivo del fascismo di Salò […] gli unici che oggettivamente non mancarono al momento della prova (pagando spesso con la propria vita) furono le giovanissime camicie nere toscane della GNR e delle brigate nere […] a questi ragazzi […] a oltre sessant’anni dai fatti in questione, occorre dare atto di avere combattuto spesso coraggiosamente”. Un capitolo di questo libro si intitola: “Con il nome di Mussolini dalla Garfagnana fino a Dongo. Idreno Utimpergher e le Camicie nere lucchesi”.
Art di Emma Moriconi.
Fonte art.
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