In questi giorni sta montando la consueta polemica in vista del Ramelli Day, tra gli appelli a non autorizzare il corteo neofascista da parte del sindaco Pisapia e il diktat del questore che, dopo aver interdetto la contromanifestazione della compagneria, ha imposto regole molto rigide per quella dei camerati. A partire dal divieto di saluto romano che ha scatenato grandi discussioni nei social network. Ho ricevuto e volentieri pubblico un intervento critico del giudice Guido Salvini che ha il grande merito storico di aver reso giustizia a Sergio Ramelli ma non è certo sospettabile di corrività con la fascisteria .
SERGIO RAMELLI : LA COMMEMORAZIONE E LA CENSURA DEL SINDACO di Guido Salvini .
Dal 1976 ad oggi, ogni 29 aprile, inizialmente in forma semiclandestina e poi in modo decisamente pubblico e anche con sempre maggior partecipazione, i compagni di fede hanno commemorato, nel quartiere di Città Studi in cui è caduto, Sergio Ramelli, morto a poco più di 18 anni, dopo una lunga agonia, con il cranio sfondato dalle chiavi inglesi di una squadra di Avanguardia Operaia. L’assassinio avvenne non durante l’eccitazione di uno scontro di piazza ma con un’aggressione a sangue freddo, nei confronti di un ragazzo sconosciuto mentre, al ritorno da scuola, stava legando ad un palo il motorino prima di salire a casa. Credo di avere diritto e forse il dovere di scrivere di questa triste storia perché, da Giudice Istruttore insieme al collega Maurizio Grigo, condussi l’indagine che portò 10 anni dopo alla scoperta e alla confessione degli aggressori, studenti in Medicina nel 1975 e ormai medici avviati al momento dell’arresto. Un’indagine non facile perché erano stati protetti per tanti anni dagli ambienti radical-chic milanesi. Furono condannati dalla Corte d’Assise, a pene comunque non eccessive, per il reato di omicidio volontario e alcuni di essi condannati anche per aggressioni avvenute con gli stessi metodi anche dopo quella contro Ramelli, come se la morte di quel ragazzo non fosse bastata. Nulla mi lega, come cittadino, alle idee dei gruppi che partecipano alla manifestazione in ricordo di Ramelli e, se qualcuno degli appartenenti a quell’area, per odio xenofobo colpisse un immigrato o per odio politico aggredisse un avversario, non avrei, come giudice, alcuna esitazione a condividerne l’arresto e la punizione. Ma fissiamo innanzitutto una circostanza che non è un’opinione ideologica ma un dato di fatto. La manifestazione del 29 aprile, che per ragioni di coincidenza di date, sfila anche davanti al luogo ove nel 1976 è stato assassinato da un commando di Prima Linea il consigliere comunale del MSI Enrico Pedenovi e ove, in piazzale Susa fu sbrigativamente fucilato dai partigiani dopo il 25 aprile un esponente della RSI, il cieco di guerra Carlo Borsani, non ha mai dato luogo al minimo incidente. La manifestazione di giovani inquadrati in silenzio, con fiaccole e tamburi e la cerimonia del “presente” dinanzi ai luoghi ove i tre “camerati” sono caduti può essere tetra, e forse anche inquietante e sgradita per molti, ma non è mai accaduto nulla, nessuna violenza, nemmeno una cartaccia per terra. Del resto è l’espressione, per scelta, di una precisa rappresentazione identitaria, ordine e disciplina, che vuole contrapporsi, anche visivamente, alle manifestazioni del campo opposto con il loro corteo di slogan, scritte, petardi e spesso danneggiamenti: l’ordine contro disordine, senza voler in alcun modo dare giudizi di merito che spettano ad altri. Nonostante l’assenza di concreti pericoli in una corteo comunque “funebre” e controllato strettamente dalla Polizia, il Sindaco di Milano, rilanciando la richiesta avanzata lo scorso anno da un Presidente di Consiglio di Zona del suo partito e attribuendosi qualche competenza anche in materia di ordine pubblico, ha già da parecchi giorni chiesto che fosse impedita la “strumentalizzazione” e una “parata fascista che deturpa la città” e il Questore, di seguito, ha, per la prima volta, strettamente regolamentato il corteo: niente tamburi, niente croci celtiche, niente saluti a braccia tese ai caduti. Subito dopo ignoti hanno danneggiato la lastra di vetro che protegge il murales sul luogo dell’aggressione a Ramelli, una mano barbara che, senza alcuna evoluzione di pensiero, ripete gesti di 40 anni fa quando la scritta “Ramelli vive coi vermi” apparve intorno alla casa del ragazzo già pochi giorni dopo il funerale e quando per anni centinaia di manifestanti inneggiarono al suo assassinio durante i cortei. Soprattutto il Sindaco di Milano non parteciperà ad alcuna cerimonia né sul luogo ove Ramelli è caduto né altrove. Sbagliando gravemente. Per primo il Sindaco, che proviene da una lunga e convinta militanza nell’estrema sinistra negli anni ‘70, avrebbe il compito di ricordare a tutti che quel ragazzo non era un “nemico” ma solo uno delle 400 vittime di quegli anni di sangue e al ricordo di molte delle quali è stato invece presente. Tutti del resto, dalle vittime del terrorismo a Ramelli e ai ragazzi di sinistra uccisi in quello stesso 1975, saranno ricordati, senza distinzioni, in un parco della memoria che sarà inaugurato, con il contributo della Casa della Memoria di Brescia, tra pochi mesi. Dal punto di vista politico invece, anche se non è la sede per dare lezioni, la presa di posizione “repressiva” del Sindaco, ragionare cioè solo in termini di divieti e non di dialogo, muove da un presupposto, anche se inespresso. Quello per cui le idee della destra, quella in particolare che ormai più che fascista, anche se in stretta continuazione con il fascismo, più precisamente si dovrebbe definire etno- nazionalista, non siano “politica” ma solo un problema criminale con cui non vale la pena di confrontarsi. Una posizione molto poco illuminista, un po’ retrograda, molto comoda e a lunga scadenza nemmeno redditizia. Quella posizione per cui si parla con i propri “simili” senza comprendere che sono gli “altri” con cui si deve parlare, se si hanno argomenti, per convincerne, e con fatica, magari anche un solo. Meglio avrebbe fatto il Sindaco, con una scelta etica e politica più alta, e proprio in previsione della tensioni e per disinnescarle, a decidere di recarsi il 29 aprile, con la fascia tricolore, sul luogo ove Ramelli è stato ucciso per tenervi una anche breve commemorazione. Non credo che vi sarebbero state offese nè saluti romani. Forse solo silenzio, che è già l’inizio del rispetto.
Fonte art.
http://ugomariatassinari.it
SERGIO RAMELLI : LA COMMEMORAZIONE E LA CENSURA DEL SINDACO di Guido Salvini .
Dal 1976 ad oggi, ogni 29 aprile, inizialmente in forma semiclandestina e poi in modo decisamente pubblico e anche con sempre maggior partecipazione, i compagni di fede hanno commemorato, nel quartiere di Città Studi in cui è caduto, Sergio Ramelli, morto a poco più di 18 anni, dopo una lunga agonia, con il cranio sfondato dalle chiavi inglesi di una squadra di Avanguardia Operaia. L’assassinio avvenne non durante l’eccitazione di uno scontro di piazza ma con un’aggressione a sangue freddo, nei confronti di un ragazzo sconosciuto mentre, al ritorno da scuola, stava legando ad un palo il motorino prima di salire a casa. Credo di avere diritto e forse il dovere di scrivere di questa triste storia perché, da Giudice Istruttore insieme al collega Maurizio Grigo, condussi l’indagine che portò 10 anni dopo alla scoperta e alla confessione degli aggressori, studenti in Medicina nel 1975 e ormai medici avviati al momento dell’arresto. Un’indagine non facile perché erano stati protetti per tanti anni dagli ambienti radical-chic milanesi. Furono condannati dalla Corte d’Assise, a pene comunque non eccessive, per il reato di omicidio volontario e alcuni di essi condannati anche per aggressioni avvenute con gli stessi metodi anche dopo quella contro Ramelli, come se la morte di quel ragazzo non fosse bastata. Nulla mi lega, come cittadino, alle idee dei gruppi che partecipano alla manifestazione in ricordo di Ramelli e, se qualcuno degli appartenenti a quell’area, per odio xenofobo colpisse un immigrato o per odio politico aggredisse un avversario, non avrei, come giudice, alcuna esitazione a condividerne l’arresto e la punizione. Ma fissiamo innanzitutto una circostanza che non è un’opinione ideologica ma un dato di fatto. La manifestazione del 29 aprile, che per ragioni di coincidenza di date, sfila anche davanti al luogo ove nel 1976 è stato assassinato da un commando di Prima Linea il consigliere comunale del MSI Enrico Pedenovi e ove, in piazzale Susa fu sbrigativamente fucilato dai partigiani dopo il 25 aprile un esponente della RSI, il cieco di guerra Carlo Borsani, non ha mai dato luogo al minimo incidente. La manifestazione di giovani inquadrati in silenzio, con fiaccole e tamburi e la cerimonia del “presente” dinanzi ai luoghi ove i tre “camerati” sono caduti può essere tetra, e forse anche inquietante e sgradita per molti, ma non è mai accaduto nulla, nessuna violenza, nemmeno una cartaccia per terra. Del resto è l’espressione, per scelta, di una precisa rappresentazione identitaria, ordine e disciplina, che vuole contrapporsi, anche visivamente, alle manifestazioni del campo opposto con il loro corteo di slogan, scritte, petardi e spesso danneggiamenti: l’ordine contro disordine, senza voler in alcun modo dare giudizi di merito che spettano ad altri. Nonostante l’assenza di concreti pericoli in una corteo comunque “funebre” e controllato strettamente dalla Polizia, il Sindaco di Milano, rilanciando la richiesta avanzata lo scorso anno da un Presidente di Consiglio di Zona del suo partito e attribuendosi qualche competenza anche in materia di ordine pubblico, ha già da parecchi giorni chiesto che fosse impedita la “strumentalizzazione” e una “parata fascista che deturpa la città” e il Questore, di seguito, ha, per la prima volta, strettamente regolamentato il corteo: niente tamburi, niente croci celtiche, niente saluti a braccia tese ai caduti. Subito dopo ignoti hanno danneggiato la lastra di vetro che protegge il murales sul luogo dell’aggressione a Ramelli, una mano barbara che, senza alcuna evoluzione di pensiero, ripete gesti di 40 anni fa quando la scritta “Ramelli vive coi vermi” apparve intorno alla casa del ragazzo già pochi giorni dopo il funerale e quando per anni centinaia di manifestanti inneggiarono al suo assassinio durante i cortei. Soprattutto il Sindaco di Milano non parteciperà ad alcuna cerimonia né sul luogo ove Ramelli è caduto né altrove. Sbagliando gravemente. Per primo il Sindaco, che proviene da una lunga e convinta militanza nell’estrema sinistra negli anni ‘70, avrebbe il compito di ricordare a tutti che quel ragazzo non era un “nemico” ma solo uno delle 400 vittime di quegli anni di sangue e al ricordo di molte delle quali è stato invece presente. Tutti del resto, dalle vittime del terrorismo a Ramelli e ai ragazzi di sinistra uccisi in quello stesso 1975, saranno ricordati, senza distinzioni, in un parco della memoria che sarà inaugurato, con il contributo della Casa della Memoria di Brescia, tra pochi mesi. Dal punto di vista politico invece, anche se non è la sede per dare lezioni, la presa di posizione “repressiva” del Sindaco, ragionare cioè solo in termini di divieti e non di dialogo, muove da un presupposto, anche se inespresso. Quello per cui le idee della destra, quella in particolare che ormai più che fascista, anche se in stretta continuazione con il fascismo, più precisamente si dovrebbe definire etno- nazionalista, non siano “politica” ma solo un problema criminale con cui non vale la pena di confrontarsi. Una posizione molto poco illuminista, un po’ retrograda, molto comoda e a lunga scadenza nemmeno redditizia. Quella posizione per cui si parla con i propri “simili” senza comprendere che sono gli “altri” con cui si deve parlare, se si hanno argomenti, per convincerne, e con fatica, magari anche un solo. Meglio avrebbe fatto il Sindaco, con una scelta etica e politica più alta, e proprio in previsione della tensioni e per disinnescarle, a decidere di recarsi il 29 aprile, con la fascia tricolore, sul luogo ove Ramelli è stato ucciso per tenervi una anche breve commemorazione. Non credo che vi sarebbero state offese nè saluti romani. Forse solo silenzio, che è già l’inizio del rispetto.
Fonte art.
http://ugomariatassinari.it
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