Su molti giornali italiani è rimbalzata la notizia dall’Inghilterra di una banda di 7 musulmani, due fratelli e loro amici, tutti del Pakistan, che per 8 anni hanno sequestrato, seviziato, stuprato, schiavizzato e ridotto alla prostituzione almeno 25 ragazzine inglesi, alcune fonti parlano di più di 50, tutte rigorosamente bianche e cristiane, di età compresa tra i 12 ed i 16 anni, una addirittura di soli 11. E’ un film già visto. In Inghilterra, dove un devastante processo di islamizzazione sembra tutto travolgere incontenibile, di queste storie se ne sono sentite tante, francamente troppe in questi ultimi anni. Lo svolgimento è sempre lo stesso: si adescano bambine affidate alle cure di assistenti sociali e ricoverate in appositi centri in attesa di un affidamento definitivo dopo essere state abbandonate o sottratte a genitori indegni. Basta poco: un sorriso, una ricarica per il cellulare, qualche sigaretta, una tavoletta di cioccolata, uno smart phone rubato e subito si entra nelle grazie e nella riconoscenza di vittime sacrificali troppo giovani ed inesperte per sottrarsi all’infame destino che le attende. Gli assistenti sociali, ed anche la polizia, presso gli uffici della quale giacciono centinaia di denunce disattese, conoscono benissimo questo andazzo, ma evitano di intervenire, come ha denunciato il tribunale di Oxford, e prima ancora altri tribunali ed altri giudici inglesi, la città della famosa università dove si è consumato questo ennesimo episodio di violento, disumano inaccettabile episodio di razzismo verso i cristiani. Gli stessi assistenti sociali interrogati dal giudice hanno ammesso di sapere, ma non parlavano. Terrorizzati dalle accuse di razzismo preferivano vedere i pakistani torturare le bambine e distruggerne fisico e psiche, colpevoli di crimini atroci come sottolineato ieri dalla Procura, che speriamo subiranno una adeguata punizione nella sentenza attesa tra un mese. Bambine ustionate, drogate, seviziate, stuprate e vendute a migliaia negli ultimi anni, migliaia di ragazze a cui hanno distrutto l’esistenza. Stupri etnici, come emerge sempre più spesso, a cominciare dal processo di Liverpool di un anno e mezzo fa nel quale vennero condannati 8 musulmani che avevano violentato e fatto prostituire 630 bambine in quattro anni. Stupri perpetrati in omaggio ad una presunta inferiorità della “razza bianca”. Già nella delirante visione del mondo che la religione islamica suggerisce, le donne sono equiparate a degli oggetti, ma la donna bianca, cristiana per di più, rappresenta qualcosa da disprezzare, umiliare, distruggere. Lo stupro come atto di rivalsa contro le infedeli, da utilizzare per il proprio sadico piacere, una cosa di cui vantarsi con i “fratelli musulmani” e per far soldi. Per 600 sterline qualsiasi “fratello musulmano” può affittare per un’ora una bambina tra le centinaia o migliaia tenute segregate, plagiate e drogate per annullarne personalità e volontà, ed in molte città inglesi gli immigrati dall’Islam fanno la coda. Tutti sapevano, nessuno parlava. La sinistra liberal che tappa la bocca alla gente minacciando accuse di razzismo ad ogni piè sospinto ha gravi colpe.
Ora noi non commetteremo l’errore di generalizzare. I delinquenti, gli stupratori i lenoni sono anche di pelle bianca e di fede cristiana e cattolica. Il male ed il bene sono valori trasversali, non peculiari di razze ed etnie. Di stalker, stupratori ed assassini bianchi ce ne abbiamo tanti in Italia. Però c’è una differenza sostanziale con stupratori ed assassini islamici d’importazione: quella che gli “italiani” sono relativamente pochi, putridi delinquenti dalla mente deviata che agiscono a titolo personale. Gli islamici, invece, agiscono coralmente in base a quello che loro ritengono un loro sacrosanto diritto, cioè quello di punire, combattere e convertire anche con la più cieca violenza quelli che sono “infedeli” ad Allah ed a Maometto. Il giovane ghanese Mada Kabobo non aveva alcun motivo per aggredire a picconate persone inermi, uccidendone tre. Però ha confessato che seguiva “le voci” che lo incitavano ad uccidere, un’esplosione di collera omicida retaggio di pregiudizi, di odio da sempre coltivato da quella cultura contro i bianchi, gli infedeli, i figli di satana che vanno puniti e distrutti fisicamente se non si redimono alla legge coranica. Come li integri quelli che l’unica cosa che vogliono è quella di distruggerci ed ottenere con l’immigrazione quello che non riuscirono ad ottenere con l’invasione dell’Europa di 1000 anni fa? E’ una domanda che rivolgiamo alla ministro Kyenge ed a quelli che la pensano come lei, inclusa la lettrice che ci bombarda di e-mail per spiegarci che i musulmani sono di indole buona, pacifica e dotati di enorme sensibilità.
Per dare un’idea di come funzioni lo stupro etnico, riportiamo in quel che segue la traduzione di alcuni brani di un articolo comparso l’altro giorno su un quotidiano inglese, sul quale può essere letto in forma integrale, che racconta la storia della più piccola, quella 11enne, delle giovani vittime di quegli animali musulmani arrestati e sottoposti a processo in quel di Oxford. Si precisa che la fonte di questa vicenda sono gli atti, gli interventi e le testimonianze che sono parte integrante ed ufficiale del processo in corso. Legga con comodo signora Kyenge e ci faccia sapere come il ministro italiano dell’Integrazione propone di reagire in Italia rispetto a simili individui per risolvere situazioni di questo tipo.
Tutto cominciò come una specie di luna di miele. “Girl D” come impongono di chiamarla polizia e tribunale perché ancora minorenne, incontrò Mohammed Karrar quando era una bambina di 11 anni. Lei si affezionò subito a quel ragazzo molto più grande di lei, che era simpatico e la copriva di regali e di attenzioni e che presentava a tutti come la sua ragazza. Poi lui la presentò al suo fratello minore Bassam, e non passò molto tempo prima che i due la “introducessero” a numerosi altri uomini. Occorsero 5 anni a D per rendersi conto in quale inferno fosse finita. In quegli anni, i due fratelli pakistani, entrambi stretti osservanti della religione musulmana, la sottoposero ad una serie infinita di stupri di ogni genere, singolarmente o in osceni giochi a tre. A loro spesso si aggiungevano sconosciuti ai quali lei doveva soggiacere per soddisfarne ogni tipo di appetito sessuale. Poi c’erano le “gite”, viaggi in giro per varie città inglesi, a conoscere sempre nuovi uomini dai quali subiva sempre le stesse violenze. Le è anche capitato di essere costretta a sottoporsi ad un aborto clandestino in condizioni facilmente immaginabili. Mai un attimo di pietà per lei, un gesto di umanità od un barlume di speranza. A volte cercavano di convincerla ad essere remissiva, ma per lo più erano botte, stupri di inaudita violenza e minacce a segnare una via crucis che pareva non dovesse avere mai fine, su un percorso lungo il quale si avvicendavano centinaia di uomini, ma ritrovando al fondo sempre quei due, i fratelli Karrar. La prima volta Mohammed stuprò D in una toilette durante un party. Lei, che allora aveva 12 anni, provò a dire di no, ma il suo parere non contava. Per consolarla Mohammad la rassicurò, giurandole che una cosa del genere non si sarebbe mai più ripetuta. Racconta D : “All’inizio mi sembrava una relazione normale, ovvio che non lo fosse, ma ero inesperta e credevo che quello fosse un normale comportamento tra un ragazzo e la sua ragazza”. Al processo, Mohammad che tutti, anche D, chiamano Mo, si è difeso affermando che lei gli aveva nascosto la sua vera età, dichiarando più dei solo 11 anni che aveva. “Ma era una bambina, si vedeva che lo era” l’ha contraddetto l’aggiunto procuratore di Oxford Noel Lucas mostrando foto di D risalenti all’epoca del primo stupro. “Era senza forme pronunciate, quasi asessuata, per nulla sviluppata, come non lo è nemmeno adesso dopo tutte le sevizie, le sofferenze fisiche e morali che le avete inferto”. (Al giudice forse sfugge che la procacità è una qualità inessenziale per una bianca cristiana per essere stuprata e seviziata persecutoriamente e per punizione da fratelli musulmani, ndr).
Spesso Mo le diceva di amarla con tutto il cuore ed aggiungeva: “Appena avrai compiuto 15 anni ti porto in Saudi Arabia e ti sposo”. Lei, nella sua innocenza di bambina senza alcuna esperienza le credeva, e sentiva di ricambiare “l’amore” di Mo. Facevano regolarmente sesso da quando lei aveva 12 anni, mantenendo, non certo per sua scelta, una relazione parallela col fratello di Mo. Si ritrovò in gravidanza prima ancora di compiere 13 anni. Quando se ne accorse, Mo sembrava impazzito, l’aggredì con brutale violenza, calci, pugni e schiaffi ed un tentativo di strangolamento. “Dovevi stare attenta, essere più responsabile, stronza” le gridava. Quindi, la drogò come un cavallo e la trascinò a Reading (estrema periferia di Londra, ndr) dove la fece sottoporre ad un backstreet abortion, un aborto clandestino “nella strada dietro casa”. Fu in quel momento, poco prima dell’aborto che fu presa per la prima volta dal panico. D riferisce che sentiva quello che dicevano quelli intorno a lei, ma non riusciva a rendersi conto di cosa stesse per succedergli. Lei chiedeva cosa stessero per farle, ma nessuno le rispondeva. Usarono un rozzo strumento a forma di uncino e lei sanguinò abbondantemente per colpa, dopo tutto, di quella “cazzo d’età” che si ritrovava, le dissero (cioè che era una stupida inesperta, ndr). Nonostante questo episodio, la sua relazione proseguì ed a volte lei cercava di convincersi che avrebbe dovuto essergli fedele nella buona e nella cattiva sorte. Spesso, quando lei minacciava di lasciarlo ed a lui girava buono erano scenate pietose in cui lui si disperava, poi metteva il muso o fingeva di essere profondamente triste e deluso. Altre volte se la metteva a sedere, sulle gambe, come una bambina e cercava di convincerla ad essere buona ed a comportarsi bene. Il più delle volte la minacciava e basta. D raggiunse la conclusione che in un modo o nell’altro lui non avrebbe mai acconsentito a che lei lo lasciasse, per cui non ci provò neanche per tema di violente ritorsioni. Fu quando cominciò a frequentare la scuola media che prese ad uscire dai binari. Il confronto con le compagne di classe era impietoso e lei finalmente realizzò che quella che conduceva non era l’esistenza che si addice ad una tredicenne. Cominciò a ribellarsi ed a pretendere di poter avere la vita normale di una teenager, con svaghi, amicizie, rapporti sociali con tutti, non solo con lui. I rapporti tra loro si deteriorano profondamente. D, che nel frattempo aveva lasciato la casa dei genitori a soli 13 anni per trasferirsi da lui, un giorno gli rubò 9.000 £ per vendicarsi del fatto che lui l’aveva “venduta” ad un tizio, anche se con divieto di avere amplessi con l’acquirente. Lui la pestò livida e da quel giorno cominciò a trattarla come una schiava. Se lei lasciava qualcosa nel piatto glielo sbatteva in faccia, poi glielo faceva raccogliere per riproporglielo al pasto successivo. Se lei rifiutava droga e drinks (alcolici) che lui le imponeva di bere glieli mandava giù a forza, dopo averne abbondantemente aumentata la dose dicendole con perverso sarcasmo: “Vedi quanto te ne do? Sei una ragazza fortunata”. Poi Mo cominciò ad iniettarle l’eroina, trasformandola in una tossicodipendente sotto il suo più completo ed esclusivo controllo. Cominciò a presentarle un sacco di altre ragazze carine, sorridenti e piene di gioia di vivere. Sulle prime lei avvertì una reazione vicina ad un sentimento di gelosia, ma poi prese a pensare che dopo tutto si trattava di altre giovanissime vite in attesa di essere distrutte da Mo.
Mohamed Karrar le impose di darsi alla prostituzione da professionista quando aveva 12 anni. Lui gli avrebbe presentato suoi amici, alcuni dei quali avrebbero dovuto pagare, altri con i quali lo avrebbe dovuto fare gratis. Lei si rifiutò, perchè lo amava e non le sembrava giusto tradirlo concedendosi ad altri, fratello a parte. Mo prese la palla al balzo e rovesciò il ragionamento: “Se mi ami veramente, allora mi fai felice e lo fai con tutti quelli che ti porto”. Divenne la prostituta che Mo voleva, adattandosi alle più viscide e morbose situazioni, con l’asticella della perversione che veniva alzata sempre più in alto, sino a culminare in una “seduta” in cui dovette soddisfare 11 uomini contemporaneamente, ed al termine della quale lui si dichiarò finalmente convinto della sincerità del suo amore per lui, certo che da lì in poi avrebbe fatto qualsiasi cosa lui le avesse chiesto. Dopo di che, per dimostrarle in concreto la sua gratitudine e ricambiare il suo amore, la condusse nel bagno, la infilò sotto la doccia e cominciò a strofinarle violentemente il corpo, la schiena, le braccia, le gambe ed il torace in particolare, con una spugna dura e rugosa, sino a produrle delle vistose abrasioni che presero a sanguinare trasformandola in una maschera di sangue.
Per sottrarsi alle sue esplosioni di cieca violenza una volta D lo minacciò con un coltellino a serramanico che s’era nascoso in tasca. La punizione che meritò per quel gesto fu di essere ripetutamente colpita alla testa con una mazza da baseball prima di essere sottoposta ad uno stupro così brutale da risultare il più violento tra quelli subiti nei 5 anni di sesso passati alla sua mercè. Poi il ” programma Mo” prevedeva altri capitoli, a cominciare dall’annichilimento del morale e di ciò che restava della sua personalità e della sua autostima. La insultava, la criticava, la demoralizzava, le urinava addosso. A 13 anni era un docile ed innocuo strumento nelle sue mani e Mo cominciò a portarla in giro per feste, parties, come fosse una hostess od una escort, ma facenola sistematicamente prostituire senza condizioni, per esaudire qualsivoglia desiderio dei clienti, e senza porre limiti alle loro fantasie. Naturalmente, in questa escalation cominciarono a comparire foto e ad essere filmati video. Una volta D si azzardò a colpire un cliente particolarmente depravato e schifoso. Intervenne Mo che la investì con una scarica furibonda di botte, pugni, calci e sganassoni. Lei piangeva, lo implorava, lo pregava di smettere, ma gli astanti (tutti rigorosamente fratelli islamici, era quella la platea di clienti, ndr) davano a vedere di trovare la cosa assai divertente e lui continuò per un bel pezzo. La misura si colmò quando Mo pretese che facesse l’amore con un tizio che D ha definito una “enorme palla di grasso”. Forse impedito all’accoppiamento dallo smisurato addome, voleva rifarsi giocando con dei nerboruti bastoni. Lei si rifiutò di sottoporsi a quel volere ed allora Mo la picchiò talmente forte che le ecchimosi e le ferite rimasero a ricordarle l’accaduto per più di un mese.
Finalmente, quando aveva 15 anni, D riuscì a sottrarsi alla prigionia dei due fratelli Karrar, sebbene loro continuassero a pretendere anche dopo di stuprarla e che si prostituisse ancora per loro, minacciando di denunciarla al tribunale per i soldi che lei avrebbe rubato loro e pretendendoli indietro.
Ora, al processo, quando interviene a testimoniare, D è una pena. Smunta, triste, avvilita e frastornata, spesso non regge, scoppia regolarmente a piangere ed ogni parola che descrive le infamità subite le pesa come un macigno e piomba nella più struggente malinconia di eloquenti silenzi se le si fanno ricordare le cose che quei due uomini le hanno fatto.
Qui dovrebbe concludersi la sua storia, ma c’è molto più di un sospetto che la parte peggiore della sua vicenda sia quella che deve ancora arrivare. A 17 anni, lei si pone ancora tante domande a cui non sa trovare risposta.
Poco prima che si avviasse il processo lei ha voluto incontrare ancora una volta Mohammad Karrar per chiedergli ragione degli abusi, delle sofferenze, delle umiliazioni che le aveva inferto. Si incontrarono nell’appartamento di Mo dove lei rivide lo stesso sofà blu che c’era allora. In un attimo le tornarono alla memoria tutte le infamità cui dovette sottoporsi : non resse allo shock e crollò a terra. “Mi ricordo che ho pensato anche che lui mi abbia amato per tutto quel tempo. Mi sentivo come se la mia vita fosse arrivata al termine per colpa mia, perchè mi sono comportata in modo tale da precipitare troppo in basso per potermi risollevare” racconta ai giudici Girl D. “Per questo l’ho voluto incontrare ancora una volta, per sapere da lui perchè mi avesse trattata nel modo in cui l’ha fatto e quando avevo solo 11 anni”. Anche in quella occasione la risposta di Mo non s’è fatta attendere e lui la stuprò violentemente per una volta ancora. L’ultima.
Ora noi non commetteremo l’errore di generalizzare. I delinquenti, gli stupratori i lenoni sono anche di pelle bianca e di fede cristiana e cattolica. Il male ed il bene sono valori trasversali, non peculiari di razze ed etnie. Di stalker, stupratori ed assassini bianchi ce ne abbiamo tanti in Italia. Però c’è una differenza sostanziale con stupratori ed assassini islamici d’importazione: quella che gli “italiani” sono relativamente pochi, putridi delinquenti dalla mente deviata che agiscono a titolo personale. Gli islamici, invece, agiscono coralmente in base a quello che loro ritengono un loro sacrosanto diritto, cioè quello di punire, combattere e convertire anche con la più cieca violenza quelli che sono “infedeli” ad Allah ed a Maometto. Il giovane ghanese Mada Kabobo non aveva alcun motivo per aggredire a picconate persone inermi, uccidendone tre. Però ha confessato che seguiva “le voci” che lo incitavano ad uccidere, un’esplosione di collera omicida retaggio di pregiudizi, di odio da sempre coltivato da quella cultura contro i bianchi, gli infedeli, i figli di satana che vanno puniti e distrutti fisicamente se non si redimono alla legge coranica. Come li integri quelli che l’unica cosa che vogliono è quella di distruggerci ed ottenere con l’immigrazione quello che non riuscirono ad ottenere con l’invasione dell’Europa di 1000 anni fa? E’ una domanda che rivolgiamo alla ministro Kyenge ed a quelli che la pensano come lei, inclusa la lettrice che ci bombarda di e-mail per spiegarci che i musulmani sono di indole buona, pacifica e dotati di enorme sensibilità.
Per dare un’idea di come funzioni lo stupro etnico, riportiamo in quel che segue la traduzione di alcuni brani di un articolo comparso l’altro giorno su un quotidiano inglese, sul quale può essere letto in forma integrale, che racconta la storia della più piccola, quella 11enne, delle giovani vittime di quegli animali musulmani arrestati e sottoposti a processo in quel di Oxford. Si precisa che la fonte di questa vicenda sono gli atti, gli interventi e le testimonianze che sono parte integrante ed ufficiale del processo in corso. Legga con comodo signora Kyenge e ci faccia sapere come il ministro italiano dell’Integrazione propone di reagire in Italia rispetto a simili individui per risolvere situazioni di questo tipo.
Tutto cominciò come una specie di luna di miele. “Girl D” come impongono di chiamarla polizia e tribunale perché ancora minorenne, incontrò Mohammed Karrar quando era una bambina di 11 anni. Lei si affezionò subito a quel ragazzo molto più grande di lei, che era simpatico e la copriva di regali e di attenzioni e che presentava a tutti come la sua ragazza. Poi lui la presentò al suo fratello minore Bassam, e non passò molto tempo prima che i due la “introducessero” a numerosi altri uomini. Occorsero 5 anni a D per rendersi conto in quale inferno fosse finita. In quegli anni, i due fratelli pakistani, entrambi stretti osservanti della religione musulmana, la sottoposero ad una serie infinita di stupri di ogni genere, singolarmente o in osceni giochi a tre. A loro spesso si aggiungevano sconosciuti ai quali lei doveva soggiacere per soddisfarne ogni tipo di appetito sessuale. Poi c’erano le “gite”, viaggi in giro per varie città inglesi, a conoscere sempre nuovi uomini dai quali subiva sempre le stesse violenze. Le è anche capitato di essere costretta a sottoporsi ad un aborto clandestino in condizioni facilmente immaginabili. Mai un attimo di pietà per lei, un gesto di umanità od un barlume di speranza. A volte cercavano di convincerla ad essere remissiva, ma per lo più erano botte, stupri di inaudita violenza e minacce a segnare una via crucis che pareva non dovesse avere mai fine, su un percorso lungo il quale si avvicendavano centinaia di uomini, ma ritrovando al fondo sempre quei due, i fratelli Karrar. La prima volta Mohammed stuprò D in una toilette durante un party. Lei, che allora aveva 12 anni, provò a dire di no, ma il suo parere non contava. Per consolarla Mohammad la rassicurò, giurandole che una cosa del genere non si sarebbe mai più ripetuta. Racconta D : “All’inizio mi sembrava una relazione normale, ovvio che non lo fosse, ma ero inesperta e credevo che quello fosse un normale comportamento tra un ragazzo e la sua ragazza”. Al processo, Mohammad che tutti, anche D, chiamano Mo, si è difeso affermando che lei gli aveva nascosto la sua vera età, dichiarando più dei solo 11 anni che aveva. “Ma era una bambina, si vedeva che lo era” l’ha contraddetto l’aggiunto procuratore di Oxford Noel Lucas mostrando foto di D risalenti all’epoca del primo stupro. “Era senza forme pronunciate, quasi asessuata, per nulla sviluppata, come non lo è nemmeno adesso dopo tutte le sevizie, le sofferenze fisiche e morali che le avete inferto”. (Al giudice forse sfugge che la procacità è una qualità inessenziale per una bianca cristiana per essere stuprata e seviziata persecutoriamente e per punizione da fratelli musulmani, ndr).
Spesso Mo le diceva di amarla con tutto il cuore ed aggiungeva: “Appena avrai compiuto 15 anni ti porto in Saudi Arabia e ti sposo”. Lei, nella sua innocenza di bambina senza alcuna esperienza le credeva, e sentiva di ricambiare “l’amore” di Mo. Facevano regolarmente sesso da quando lei aveva 12 anni, mantenendo, non certo per sua scelta, una relazione parallela col fratello di Mo. Si ritrovò in gravidanza prima ancora di compiere 13 anni. Quando se ne accorse, Mo sembrava impazzito, l’aggredì con brutale violenza, calci, pugni e schiaffi ed un tentativo di strangolamento. “Dovevi stare attenta, essere più responsabile, stronza” le gridava. Quindi, la drogò come un cavallo e la trascinò a Reading (estrema periferia di Londra, ndr) dove la fece sottoporre ad un backstreet abortion, un aborto clandestino “nella strada dietro casa”. Fu in quel momento, poco prima dell’aborto che fu presa per la prima volta dal panico. D riferisce che sentiva quello che dicevano quelli intorno a lei, ma non riusciva a rendersi conto di cosa stesse per succedergli. Lei chiedeva cosa stessero per farle, ma nessuno le rispondeva. Usarono un rozzo strumento a forma di uncino e lei sanguinò abbondantemente per colpa, dopo tutto, di quella “cazzo d’età” che si ritrovava, le dissero (cioè che era una stupida inesperta, ndr). Nonostante questo episodio, la sua relazione proseguì ed a volte lei cercava di convincersi che avrebbe dovuto essergli fedele nella buona e nella cattiva sorte. Spesso, quando lei minacciava di lasciarlo ed a lui girava buono erano scenate pietose in cui lui si disperava, poi metteva il muso o fingeva di essere profondamente triste e deluso. Altre volte se la metteva a sedere, sulle gambe, come una bambina e cercava di convincerla ad essere buona ed a comportarsi bene. Il più delle volte la minacciava e basta. D raggiunse la conclusione che in un modo o nell’altro lui non avrebbe mai acconsentito a che lei lo lasciasse, per cui non ci provò neanche per tema di violente ritorsioni. Fu quando cominciò a frequentare la scuola media che prese ad uscire dai binari. Il confronto con le compagne di classe era impietoso e lei finalmente realizzò che quella che conduceva non era l’esistenza che si addice ad una tredicenne. Cominciò a ribellarsi ed a pretendere di poter avere la vita normale di una teenager, con svaghi, amicizie, rapporti sociali con tutti, non solo con lui. I rapporti tra loro si deteriorano profondamente. D, che nel frattempo aveva lasciato la casa dei genitori a soli 13 anni per trasferirsi da lui, un giorno gli rubò 9.000 £ per vendicarsi del fatto che lui l’aveva “venduta” ad un tizio, anche se con divieto di avere amplessi con l’acquirente. Lui la pestò livida e da quel giorno cominciò a trattarla come una schiava. Se lei lasciava qualcosa nel piatto glielo sbatteva in faccia, poi glielo faceva raccogliere per riproporglielo al pasto successivo. Se lei rifiutava droga e drinks (alcolici) che lui le imponeva di bere glieli mandava giù a forza, dopo averne abbondantemente aumentata la dose dicendole con perverso sarcasmo: “Vedi quanto te ne do? Sei una ragazza fortunata”. Poi Mo cominciò ad iniettarle l’eroina, trasformandola in una tossicodipendente sotto il suo più completo ed esclusivo controllo. Cominciò a presentarle un sacco di altre ragazze carine, sorridenti e piene di gioia di vivere. Sulle prime lei avvertì una reazione vicina ad un sentimento di gelosia, ma poi prese a pensare che dopo tutto si trattava di altre giovanissime vite in attesa di essere distrutte da Mo.
Mohamed Karrar le impose di darsi alla prostituzione da professionista quando aveva 12 anni. Lui gli avrebbe presentato suoi amici, alcuni dei quali avrebbero dovuto pagare, altri con i quali lo avrebbe dovuto fare gratis. Lei si rifiutò, perchè lo amava e non le sembrava giusto tradirlo concedendosi ad altri, fratello a parte. Mo prese la palla al balzo e rovesciò il ragionamento: “Se mi ami veramente, allora mi fai felice e lo fai con tutti quelli che ti porto”. Divenne la prostituta che Mo voleva, adattandosi alle più viscide e morbose situazioni, con l’asticella della perversione che veniva alzata sempre più in alto, sino a culminare in una “seduta” in cui dovette soddisfare 11 uomini contemporaneamente, ed al termine della quale lui si dichiarò finalmente convinto della sincerità del suo amore per lui, certo che da lì in poi avrebbe fatto qualsiasi cosa lui le avesse chiesto. Dopo di che, per dimostrarle in concreto la sua gratitudine e ricambiare il suo amore, la condusse nel bagno, la infilò sotto la doccia e cominciò a strofinarle violentemente il corpo, la schiena, le braccia, le gambe ed il torace in particolare, con una spugna dura e rugosa, sino a produrle delle vistose abrasioni che presero a sanguinare trasformandola in una maschera di sangue.
Per sottrarsi alle sue esplosioni di cieca violenza una volta D lo minacciò con un coltellino a serramanico che s’era nascoso in tasca. La punizione che meritò per quel gesto fu di essere ripetutamente colpita alla testa con una mazza da baseball prima di essere sottoposta ad uno stupro così brutale da risultare il più violento tra quelli subiti nei 5 anni di sesso passati alla sua mercè. Poi il ” programma Mo” prevedeva altri capitoli, a cominciare dall’annichilimento del morale e di ciò che restava della sua personalità e della sua autostima. La insultava, la criticava, la demoralizzava, le urinava addosso. A 13 anni era un docile ed innocuo strumento nelle sue mani e Mo cominciò a portarla in giro per feste, parties, come fosse una hostess od una escort, ma facenola sistematicamente prostituire senza condizioni, per esaudire qualsivoglia desiderio dei clienti, e senza porre limiti alle loro fantasie. Naturalmente, in questa escalation cominciarono a comparire foto e ad essere filmati video. Una volta D si azzardò a colpire un cliente particolarmente depravato e schifoso. Intervenne Mo che la investì con una scarica furibonda di botte, pugni, calci e sganassoni. Lei piangeva, lo implorava, lo pregava di smettere, ma gli astanti (tutti rigorosamente fratelli islamici, era quella la platea di clienti, ndr) davano a vedere di trovare la cosa assai divertente e lui continuò per un bel pezzo. La misura si colmò quando Mo pretese che facesse l’amore con un tizio che D ha definito una “enorme palla di grasso”. Forse impedito all’accoppiamento dallo smisurato addome, voleva rifarsi giocando con dei nerboruti bastoni. Lei si rifiutò di sottoporsi a quel volere ed allora Mo la picchiò talmente forte che le ecchimosi e le ferite rimasero a ricordarle l’accaduto per più di un mese.
Finalmente, quando aveva 15 anni, D riuscì a sottrarsi alla prigionia dei due fratelli Karrar, sebbene loro continuassero a pretendere anche dopo di stuprarla e che si prostituisse ancora per loro, minacciando di denunciarla al tribunale per i soldi che lei avrebbe rubato loro e pretendendoli indietro.
Ora, al processo, quando interviene a testimoniare, D è una pena. Smunta, triste, avvilita e frastornata, spesso non regge, scoppia regolarmente a piangere ed ogni parola che descrive le infamità subite le pesa come un macigno e piomba nella più struggente malinconia di eloquenti silenzi se le si fanno ricordare le cose che quei due uomini le hanno fatto.
Qui dovrebbe concludersi la sua storia, ma c’è molto più di un sospetto che la parte peggiore della sua vicenda sia quella che deve ancora arrivare. A 17 anni, lei si pone ancora tante domande a cui non sa trovare risposta.
Poco prima che si avviasse il processo lei ha voluto incontrare ancora una volta Mohammad Karrar per chiedergli ragione degli abusi, delle sofferenze, delle umiliazioni che le aveva inferto. Si incontrarono nell’appartamento di Mo dove lei rivide lo stesso sofà blu che c’era allora. In un attimo le tornarono alla memoria tutte le infamità cui dovette sottoporsi : non resse allo shock e crollò a terra. “Mi ricordo che ho pensato anche che lui mi abbia amato per tutto quel tempo. Mi sentivo come se la mia vita fosse arrivata al termine per colpa mia, perchè mi sono comportata in modo tale da precipitare troppo in basso per potermi risollevare” racconta ai giudici Girl D. “Per questo l’ho voluto incontrare ancora una volta, per sapere da lui perchè mi avesse trattata nel modo in cui l’ha fatto e quando avevo solo 11 anni”. Anche in quella occasione la risposta di Mo non s’è fatta attendere e lui la stuprò violentemente per una volta ancora. L’ultima.
Nessun commento:
Posta un commento
Commenti dai camerati.