Pisapia choc. Le picconate? Colpa dei milanesi
ra l’alba e le strade erano deserte. Ma il sindaco se la prende con il quartiere e con le vittime che non hanno chiamato il 112.
Come mai la polizia non è stata allertata, essendocene abbondantemente il tempo, quando lo scatenato picchiatore è diventato un feroce assassino? La risposta all'interrogativo viene dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia e da alcuni esperti. Pisapia ritiene incomprensibile «che nessuno abbia avvisato le forze dell'ordine». Secondo sociologi e criminologi «viviamo in una società di legami labili e, una volta al sicuro, non si pensa al rischio che qualcun altro potrebbe correre». E ancora: «Il centro della questione è la paura: chi corre un pericolo mortale si concentra solo sulla sua sopravvivenza, non pensa a nient'altro».
Rispetto queste opinioni qualificate. Ma osservo che in definitiva esse attribuiscono una sorta di comportamento omertoso e di viltà alle prime vittime. Rendendole corresponsabili - quanto e più della mancata espulsione d'un individuo già rivelatosi pericoloso - della successiva strage.
La sequenza dei fatti non avalla questa diagnosi spicciativa. Antonio Niro, assalito in via Passerini - erano le cinque del mattino in una Milano periferica paurosamente deserta - ha perso i sensi per i colpi del folle senza realizzare, racconta, cosa fosse successo. Antonio Morisco è fuggito quando il ghanese lo ha aggredito ma per lui «era solo un tipo strano con qualcosa che assomigliava a un bastone». Andrea Carfora, raggiunto da una sprangata a un braccio, ha detto sinceramente che «sono stati momenti di terrore, non so perché non mi sia venuto in mente di chiamare le forze dell'ordine».
Nella nostra condizione di commentatori privilegiati e sicuri possiamo deplorare quella che a noi sembra colpevole inerzia, ma ragioniamo come il cardinal Federigo al quale don Abbondio replicava che a lui, e non al cardinale, era toccato di vedere in faccia i «bravi». Chi è preda del terrore - e ce n'era motivo, e come - può avere comportamenti irrazionali, può pensare soltanto a un asilo sicuro, la casa.
La scena terribile si è svolta a Milano, non in terra di mafia o di camorra o di 'ndrangheta, sarebbe sciocco collegare il comportamento dei primi aggrediti - due dei quali insanguinati e storditi - al timore di ritorsioni delinquenziali. Bisogna collegarlo a istinti molto comprensibili e molto umani. Tutti preferiamo l'eroismo. Ma non possiamo esigerlo.
Sulle motivazioni dell'inazione nella quale si trincerarono le prime vittime riflette un lettore, e credo che non abbia tutti i torti.
Si chiama A. Cereti e scrive: «La maggior parte del pubblico, incluse le forze dell'ordine, ha timore d'essere additato come razzista. La sicurezza pubblica è costituita da un guazzabuglio di sale operative e di competenze. Coloro che delinquono, anche per disturbi mentali, hanno ormai una chiara percezione dell'inerzia istituzionale e individuale. E questo era un uomo solo con una sbarra o un piccone».
Al gesto criminale, se non gli appare gravissimo, il cittadino preferisce sovente non dar corso e non dare ascolto. Il che è bruttissima cosa. Ma non evitabile con le prediche, evitabile soltanto se gli onesti hanno la certezza d'essere protetti più dei malviventi, dei balordi, e anche degli immigrati rivendicanti uno status di asilo politico. I feriti o minacciati da Mada Kabobo hanno anche pensato, forse, al mutismo dei centralini d'allarme e di soccorso quando si voglia allertarli. In un articolo di qualche mese fa Luca Fazzo ha spiegato su queste colonne che la vera emergenza è rappresentata dai centralini dell'emergenza che non rispondono mai.
Questa è almeno la sensazione della gente comune. Le autorità replicano affermando che il servizio è adeguato. Loro sono contente, i cittadini meno. Non è che io voglia legittimare i mancati appelli dei primi aggrediti scaricando le colpe sui centralini: che nella specifica circostanza nessuno ha chiamato. Lo sgomento ha paralizzato le prime vittime. È triste che sia avvenuto.
Molto più triste, e anche Pisapia dovrebbe tenerne conto, è che la legge, bloccata dai suoi ingombri cartacei e cavillosi, abbia lasciato a Milano il balordo Kabobo anziché rispedirlo in Ghana.
ra l’alba e le strade erano deserte. Ma il sindaco se la prende con il quartiere e con le vittime che non hanno chiamato il 112.
Come mai la polizia non è stata allertata, essendocene abbondantemente il tempo, quando lo scatenato picchiatore è diventato un feroce assassino? La risposta all'interrogativo viene dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia e da alcuni esperti. Pisapia ritiene incomprensibile «che nessuno abbia avvisato le forze dell'ordine». Secondo sociologi e criminologi «viviamo in una società di legami labili e, una volta al sicuro, non si pensa al rischio che qualcun altro potrebbe correre». E ancora: «Il centro della questione è la paura: chi corre un pericolo mortale si concentra solo sulla sua sopravvivenza, non pensa a nient'altro».
Rispetto queste opinioni qualificate. Ma osservo che in definitiva esse attribuiscono una sorta di comportamento omertoso e di viltà alle prime vittime. Rendendole corresponsabili - quanto e più della mancata espulsione d'un individuo già rivelatosi pericoloso - della successiva strage.
La sequenza dei fatti non avalla questa diagnosi spicciativa. Antonio Niro, assalito in via Passerini - erano le cinque del mattino in una Milano periferica paurosamente deserta - ha perso i sensi per i colpi del folle senza realizzare, racconta, cosa fosse successo. Antonio Morisco è fuggito quando il ghanese lo ha aggredito ma per lui «era solo un tipo strano con qualcosa che assomigliava a un bastone». Andrea Carfora, raggiunto da una sprangata a un braccio, ha detto sinceramente che «sono stati momenti di terrore, non so perché non mi sia venuto in mente di chiamare le forze dell'ordine».
Nella nostra condizione di commentatori privilegiati e sicuri possiamo deplorare quella che a noi sembra colpevole inerzia, ma ragioniamo come il cardinal Federigo al quale don Abbondio replicava che a lui, e non al cardinale, era toccato di vedere in faccia i «bravi». Chi è preda del terrore - e ce n'era motivo, e come - può avere comportamenti irrazionali, può pensare soltanto a un asilo sicuro, la casa.
La scena terribile si è svolta a Milano, non in terra di mafia o di camorra o di 'ndrangheta, sarebbe sciocco collegare il comportamento dei primi aggrediti - due dei quali insanguinati e storditi - al timore di ritorsioni delinquenziali. Bisogna collegarlo a istinti molto comprensibili e molto umani. Tutti preferiamo l'eroismo. Ma non possiamo esigerlo.
Sulle motivazioni dell'inazione nella quale si trincerarono le prime vittime riflette un lettore, e credo che non abbia tutti i torti.
Si chiama A. Cereti e scrive: «La maggior parte del pubblico, incluse le forze dell'ordine, ha timore d'essere additato come razzista. La sicurezza pubblica è costituita da un guazzabuglio di sale operative e di competenze. Coloro che delinquono, anche per disturbi mentali, hanno ormai una chiara percezione dell'inerzia istituzionale e individuale. E questo era un uomo solo con una sbarra o un piccone».
Al gesto criminale, se non gli appare gravissimo, il cittadino preferisce sovente non dar corso e non dare ascolto. Il che è bruttissima cosa. Ma non evitabile con le prediche, evitabile soltanto se gli onesti hanno la certezza d'essere protetti più dei malviventi, dei balordi, e anche degli immigrati rivendicanti uno status di asilo politico. I feriti o minacciati da Mada Kabobo hanno anche pensato, forse, al mutismo dei centralini d'allarme e di soccorso quando si voglia allertarli. In un articolo di qualche mese fa Luca Fazzo ha spiegato su queste colonne che la vera emergenza è rappresentata dai centralini dell'emergenza che non rispondono mai.
Questa è almeno la sensazione della gente comune. Le autorità replicano affermando che il servizio è adeguato. Loro sono contente, i cittadini meno. Non è che io voglia legittimare i mancati appelli dei primi aggrediti scaricando le colpe sui centralini: che nella specifica circostanza nessuno ha chiamato. Lo sgomento ha paralizzato le prime vittime. È triste che sia avvenuto.
Molto più triste, e anche Pisapia dovrebbe tenerne conto, è che la legge, bloccata dai suoi ingombri cartacei e cavillosi, abbia lasciato a Milano il balordo Kabobo anziché rispedirlo in Ghana.
Come mai la polizia non è stata allertata, essendocene abbondantemente il tempo, quando lo scatenato picchiatore è diventato un feroce assassino? La risposta all'interrogativo viene dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia e da alcuni esperti. Pisapia ritiene incomprensibile «che nessuno abbia avvisato le forze dell'ordine». Secondo sociologi e criminologi «viviamo in una società di legami labili e, una volta al sicuro, non si pensa al rischio che qualcun altro potrebbe correre». E ancora: «Il centro della questione è la paura: chi corre un pericolo mortale si concentra solo sulla sua sopravvivenza, non pensa a nient'altro».
Rispetto queste opinioni qualificate. Ma osservo che in definitiva esse attribuiscono una sorta di comportamento omertoso e di viltà alle prime vittime. Rendendole corresponsabili - quanto e più della mancata espulsione d'un individuo già rivelatosi pericoloso - della successiva strage.
La sequenza dei fatti non avalla questa diagnosi spicciativa. Antonio Niro, assalito in via Passerini - erano le cinque del mattino in una Milano periferica paurosamente deserta - ha perso i sensi per i colpi del folle senza realizzare, racconta, cosa fosse successo. Antonio Morisco è fuggito quando il ghanese lo ha aggredito ma per lui «era solo un tipo strano con qualcosa che assomigliava a un bastone». Andrea Carfora, raggiunto da una sprangata a un braccio, ha detto sinceramente che «sono stati momenti di terrore, non so perché non mi sia venuto in mente di chiamare le forze dell'ordine».
Nella nostra condizione di commentatori privilegiati e sicuri possiamo deplorare quella che a noi sembra colpevole inerzia, ma ragioniamo come il cardinal Federigo al quale don Abbondio replicava che a lui, e non al cardinale, era toccato di vedere in faccia i «bravi». Chi è preda del terrore - e ce n'era motivo, e come - può avere comportamenti irrazionali, può pensare soltanto a un asilo sicuro, la casa.
La scena terribile si è svolta a Milano, non in terra di mafia o di camorra o di 'ndrangheta, sarebbe sciocco collegare il comportamento dei primi aggrediti - due dei quali insanguinati e storditi - al timore di ritorsioni delinquenziali. Bisogna collegarlo a istinti molto comprensibili e molto umani. Tutti preferiamo l'eroismo. Ma non possiamo esigerlo.
Sulle motivazioni dell'inazione nella quale si trincerarono le prime vittime riflette un lettore, e credo che non abbia tutti i torti.
Si chiama A. Cereti e scrive: «La maggior parte del pubblico, incluse le forze dell'ordine, ha timore d'essere additato come razzista. La sicurezza pubblica è costituita da un guazzabuglio di sale operative e di competenze. Coloro che delinquono, anche per disturbi mentali, hanno ormai una chiara percezione dell'inerzia istituzionale e individuale. E questo era un uomo solo con una sbarra o un piccone».
Al gesto criminale, se non gli appare gravissimo, il cittadino preferisce sovente non dar corso e non dare ascolto. Il che è bruttissima cosa. Ma non evitabile con le prediche, evitabile soltanto se gli onesti hanno la certezza d'essere protetti più dei malviventi, dei balordi, e anche degli immigrati rivendicanti uno status di asilo politico. I feriti o minacciati da Mada Kabobo hanno anche pensato, forse, al mutismo dei centralini d'allarme e di soccorso quando si voglia allertarli. In un articolo di qualche mese fa Luca Fazzo ha spiegato su queste colonne che la vera emergenza è rappresentata dai centralini dell'emergenza che non rispondono mai.
Questa è almeno la sensazione della gente comune. Le autorità replicano affermando che il servizio è adeguato. Loro sono contente, i cittadini meno. Non è che io voglia legittimare i mancati appelli dei primi aggrediti scaricando le colpe sui centralini: che nella specifica circostanza nessuno ha chiamato. Lo sgomento ha paralizzato le prime vittime. È triste che sia avvenuto.
Molto più triste, e anche Pisapia dovrebbe tenerne conto, è che la legge, bloccata dai suoi ingombri cartacei e cavillosi, abbia lasciato a Milano il balordo Kabobo anziché rispedirlo in Ghana.
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