lunedì 3 giugno 2013

RITORNO ALLA TRADIZIONE

 
5 ottobre 1980: Nazzareno De Angelis, detto Nanni, viene trovato impiccato nella sua cella, dove era ingiustamente detenuto per un’assurda accusa di un coinvolgimento diretto nella strage di Bologna. Suicidio: questa è stata la versione ufficiale. Una versione che non può convincere perché falsa, in quanto Nanni era innocente. Il 2 agosto del 1980, infatti, fu ripreso da alcune emittenti televisive mentre disputava una partita di football americano.  Immagini arrivate troppo tardi, perché il 3 ottobre una pattuglia della Polizia aspettava il giovane Nanni in piazza Barberini, a Roma. Fu letteralmente massacrato di botte, senza che vi fosse una ragione plausibile. Fu ricoverato in ospedale, dove gli vennero riscontrate lesioni di ogni tipo su tutto il corpo. E' importante sottilineare, però,  come il suo  stato psicologico fosse tutto sommato sano e privo di propositi suicidi. Due giorni dopo, la tragedia. L’autopsia disposta dalla Magistratura evidenziò che “Nanni De Angelis fu sottoposto a un duro linciaggio con escoriazioni, ematomi e fratture multiple su tutto il corpo. Inoltre i medici rilevarono anche che l’ospedale San Giovanni aveva dichiarato Nanni ‘in stato di incoscienza’, prova di ‘uno stato di sofferenza del sistema nervoso centrale’. In più, l’autista dell’ambulanza, Salvatore Serrao, testimoniò che non gli fu mai consegnata alcuna certificazione medica, né copia della cartella clinica[1].
Non serve un genio per capire cosa sia successo. Credo che sia possibile affermare, infatti, che le democraticissime istituzioni antifasciste abbiano aizzato i propri cani da guardia in divisa contro un povero ragazzo, identificato come “nemico pubblico numero uno”. Un nemico ovviamente di comodo, dipinto come il nero emblema del male più oscuro per coprire il marcio della politica italiana, la corruzione dilagante e le scabrose relazioni internazionali con organizzazioni terroristiche, (vedi il Mossad). Una vita giovane, candida e immacolata che viene spezzata nel modo più brutale possibile, senza remora alcuna, come nemmeno il più spietato dei criminali avrebbe osato fare; un delitto feroce, che resta ancora oggi impunito, senza che nessuno s’indigni o chieda di far emergere la verità.
A noi, quindi, non resta che il ricordo di un ragazzo che si è macchiato della gravissima colpa di credere in un’idea e in un sistema di valori. E allora voglio anch’io ricordare Nanni De Angelis. Me lo immagino un po’ come  in quel suo famoso disegno: un elfo senza tempo e senza età, rifugiatosi in un’oasi di pace, fatta di “verdi prati che di rugiada brillano nel sol”, e di “alti alberi tutt’intorno”, dove di tanto s’arrampica per comporre delle dolci melodie col suo flauto. Incurante del tempo e degli uomini malvagi e corrotti, trascorre le sue giornate sotto un sole amico e le notti accanto al crepitio del fuoco. Scorrazza tra lande immacolate, cinte da vette maestose e bagnate da acque limpidissime. Niente può disturbare la sua quiete; nessuno può raggiungerlo. Solo di tanto in tanto qualcosa lo raggiunge: è un caldo soffio, un lieto zefiro, originato dal pensiero di quanti ancora lo portano nella mente e in fondo al cuore. Di quanti, insomma, continuano a credere nelle sue idee; di quanti camminano su quegli stessi sentieri; di quanti proseguono la battaglia contro il mondo moderno.
Riposa in pace, dunque, Piccolo Attila e lascia a noi l’ultimo disperato tentativo di sovvertire le sorti della battaglia. Condurremo la tua e la nostra lotta anche nel tuo nome, fino a che avremo sangue nelle vene, prima di ricongiungerti a te in quell’oasi di pace. Ad majora, Camerata!

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