Balla Giacomo - La marcia su Roma - 1932 |
Dicono che la storia sia ciclica, un continuo susseguirsi di corsi e ricorsi. Non lo so. Nessuno forse può saperlo, dato che bisognerebbe vivere secoli e secoli per poterlo constatare. Io posso solo dire che, talvolta, pone delle coincidenze davvero incredibili.
Non so voi, ma personalmente trovo una certa somiglianza tra la situazione che ha preceduto l’avvento del Fascismo e quella odierna. Prima dell’ottobre del ’22, infatti, lo stato liberale viveva un momento di pesante crisi sistematica, con effetti che si sentivano soprattutto nell’economia: enorme debito pubblico, (allora dovuto, principalmente, alla guerra; oggi, magari fosse causato solo dalla partecipazione alle “missioni di pace”!), disoccupazione, inflazione e riconversione produttiva, forte esposizione debitoria delle imprese verso le banche, malcontento diffuso tra la popolazione. Una situazione davvero difficile da tutti i punti di vista, che la politica di allora non seppe affatto fronteggiare. Alla luce di tali premesse, si può facilmente prevedere quale fu la reazione delle masse: la protesta violenta, la furibonda manifestazione di insofferenza per un quadro economico-sociale davvero estenuante. Aggravato poi dell’operato delle forze di sinistra, che non persero occasione per cercare di volgere la situazione in proprio favore. Fecero leva, in maniera cinica e sfrontata, sul diffuso malcontento popolare per dare avvio ad una stagione di forti proteste, culminate in mobilitazioni contadine, occupazioni di campi e fabbriche, scioperi, picchetti e violenti scontri, al solo scopo di prendere con la forza un ruolo di primo piano nella vita politica del Paese. E’ il cd. “biennio rosso”, il sogno della “rivolta proletaria” che provava a muovere i primi passi anche in Italia. Quale sia stato il prezzo, quanto sangue sia stato versato a causa di quelle folli idee ormai lo sappiamo tutti o, almeno, dovremmo saperlo bene.
Praticamente, la stessa situazione di oggi. Certo, diverse e più complesse sono le cause dell’odierno debito pubblico, della disoccupazione, dell’inflazione e di tutto il resto, ma il male resta sempre lo stesso: la difficoltà delle famiglie a far fronte alle necessità quotidiane. Identica poi è la reazione della folla, stremata dalle rinunce di oggi e angosciata dalla semplice idea di un domani, che invade Roma, ma solo per devastarla. Così come accomunabile è l’operato delle forze di sinistra, che cercano ancora oggi di aizzare il popolo contro il padrone di turno per avere libero accesso alla stanza dei bottoni. Insomma, nella clessidra della storia è scorsa la sabbia di quasi cento anni, eppure davvero poco sembra essere cambiato.
Le pur numerose analogie, tuttavia, finiscono qui. Non so se a questa constatazione mi porta il mio pessimismo o, piuttosto, una semplice osservazione della scena contemporanea. Manca, purtroppo, il genio politico di Mussolini, capace di interpretare i bisogni e le richieste delle masse, di stroncare sul nascere i propositi di “sovietizzazione” del nostro Paese, (ancora oggi tutt’altro che sopiti!), nonché di proporre un sistema alternativo, dai profili completamente nuovi. Certo, sull’operato delle Camicie Nere vi furono delle ombre, (anche se molte meno di quelle descritte dalla pseudo-storia tardoresistenziale), e nessuno lo nega; ma furono travolte dalla radiosa luce della vera rivoluzione socialista nazionale. Manca anche una classe politica degna di tal nome. Sfido chiunque a trovare nella casta dei giorni nostri qualcuno che non dico operi, ma almeno parli di soluzioni concrete e reali per gli strati più sofferenti della società. E’ tutto un chiacchiericcio sterile ed insensato su “misure urgenti per il Paese” ,( che non vengono mai chiarite, né precisate), sulla necessità di un “nuovo governo” e, soprattutto, su una “nuova legge elettorale”. In altre parole, le difficoltà del ceto medio-piccolo vengono tirate in ballo solo come pretesto, una specie di maschera, utile per apparire belli e premurosi , mentre le preoccupazioni reali sono ben altre: quelle elettorali e partitiche. Manca, infine, qualsiasi proposito di unità da parte del popolo italiano, unito solo dalla disperazione e dalla rabbia. E come potrebbe essere altrimenti, dopo decenni di lobotomia democratica, cattomunista e internazionalista, che ha chirurgicamente eliminato dalle menti degli italiani qualsiasi senso di identità, di appartenenza e di nazionalismo?
Ecco dunque la necessità di ripensare a quel capolavoro politico che fu la Marcia su Roma, di meditare sullo spirito di quella folla rivoluzionaria che sfidò l’inadeguata classe dirigente solo per dare un futuro al proprio Paese. Un progetto difficile, un compito arduo che presentava così tanti e tanto grandi rischi, ma che incontrò l’approvazione della folla festante, accalcata nelle stazioni e nelle strade mentre aspettava il “passaggio della compagnia”. Una “compagnia” estremamente variegata, fatta di legionari fiumani, fascisti, nazionalisti, popolari, democratico-sociali nittiani, giolittiani, salandrini, indipendenti filofascisti, tenuta insieme da un unico collante: l’amor di Patria. La storia ci dice che quello fu l’inizio di un’epoca di traguardi inimmaginabili per l’Italia,(pur con tutti i suoi lati problematici), fatta di grandi conquiste sociali, record in tutti i fattori produttivi, crescita demografica, culturale e sociale e progresso materiale e spirituale, che solo l’esito di un’infausta guerra, (creata ad arte dalla masnada liberal-democratica), ha rischiato di cancellare . Un meccanismo quasi perfetto, guidato da un condottiero fiero e geniale, che portò l’Italia ad erigersi sopra le altre. Volete un esempio? Vi basti pensare che nel biennio ’29- ‘31, i peggiori anni della tremenda crisi, mentre il “mondo libero” razionava il pane, in Italia si votava il plebiscito per il Fascismo, si inaugurava l’ “Opera Nazionale Balilla” ed i “Campi Dvx” erano sparsi per tutta l’Italia, si apriva l' “Accademia d'Italia”, (che annoverava tra le sue fila Mascagni, Fermi, Marinetti, Pascarella, Romagnoli e Guglielmo Marconi), si mandavano ben 8 idrovolanti alla conquista di Rio de Janeiro, si dava il via alla bonifica dell’Agro Pontino e alle grandi riforme fasciste e si riceveva in pompa magna il “mahatma” Gandhi. Mica male per il “male assoluto” !
Con tutto questo voglio dire che gli italiani d’allora, partendo da una situazione tragica, seppero riscoprirsi popolo, abbatterono il muro delle divisioni ideologiche, sposarono l’ideale di Patria, affrontarono la crisi e costruirono un impero, sebbene a costo di immensi sacrifici e sovrumane rinunce. Quelli di oggi, ahimè, sono incapaci di andare al di là di Berlusconi e si recano in piazza, al comando degli autori della crisi, per spaccare vetrine e gridare insulti alla polizia. Solo una piccola parte d’Italia lotta, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle responsabilità della crisi e per proporre soluzioni operative, senza però incontrare il sostegno della massa, che anzi etichetta ed osteggia, con l’unico risultato che a prosperare sono soltanto i soliti noti e con buona pace di tutti gli altri.
Come sono lontani quei tempi, in cui si era disposti a rinunciare a tutto in nome di un ideale, a stringersi attorno ad una bandiera, ad indossare una camicia per lanciare un messaggio: “coraggio Italia, coraggio italiani!” . Sono andati, forse per sempre. Resta solo il vuoto dei tempi moderni, il nichilismo presente, il lamento di giovani, adulti e vecchi. Una situazione destinata a divenire cronica, a causa dell’assenza di qualsiasi proposito di reazione, (che non sia una semplice esternazione di malcontento), fatto di proposte e soluzioni concrete. Pertanto, vi prego: non ditemi più che la storia è fatta di corsi e ricorsi perché tanto non ci credo. Pone solo delle somiglianze; ma per il resto è semplicemente un declino costante, una caduta nell’abisso, illuminata sporadicamente da un lumicino di speranza. Flebile, quasi invisibile, ma presente. A noi il compito di far divampare quel lumicino, di riaccendere quella fiamma. Non sarà facile, sarà anzi doloroso, ma dobbiamo provarci. Per noi e per l’Italia. Eja, eja, alalà!
Roberto Marzola.
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