sabato 30 marzo 2013

L’intervista. Staiti: “La destra? Se non parte da un sogno finisce ai margini della Storia”

Pubblicato il 30 marzo 2013 da Gigi Moncalvo
Categorie : Le interviste
staitiIL «BARONE nero» ha ottant’anni, se li porta benissimo, e da mesi continua a ricevere telefonate: «Tom, l’avevi previsto più di vent’anni fa. Avevi ragione». Da qualche settimana lo cercano radio, giornali e tv, lo intervistano, vogliono sapere perché ha votato Grillo: «L’ho fatto usandolo come si userebbe la dinamite contro questo sistema divenuto una casa fatiscente che è meglio abbattere perché non si può più restaurare, dato che è piena di topi e scarafaggi ». Tomaso Staiti di Cuddia delle Chiuse da poco ha scritto un bel libro, lo ha pubblicato su internet (www.tomaso-staiti.ch, «col server in Svizzera così rendo più difficili le eventuali querele…»): Il suicidio della destra, sottotitolo: «Non uno schianto ma una lagna». Tre legislature alla Camera nel Movimento Sociale (dal 1979 al 1992), una storia di battaglie sulle piazze, in Parlamento e nella direzione nazionale del MSI. Con una costante: dire le cose troppo presto, non accettare compromessi, non piegare mai la schiena. E per questo non è mai entrato in AN.
* * *
Aveva previsto tutto per una ragione molto semplice: «Io li conoscevo bene. E li conosco bene. Di tutto quello che è accaduto nel mondo della Destra ho una conoscenza diretta. Fino al giugno del 1991. Quando fui cacciato da Gianfranco Fini, che pochi giorni dopo sarebbe tornato a occupare la carica di segretario del MSI. Gli bastò una telefonata di tre minuti. Insieme a me uscirono dal MSI altri tredici componenti di quella che era la Direzione Nazionale. Tra loro, alcuni nomi divenuti poi “famosi” per varie ragioni, ma soprattutto, almeno i primi due o tre, per “colpa” delle trasmissioni tv: Fabio Granata, Carmelo Briguglio, Umberto Croppi, Beppe Nanni, Marco Valle, Beniamino Donnici. Uscimmo perché Fini sosteneva posizioni opposte a quelle che sostiene da pochi anni. Fini, il giorno prima, era tornato a fare il segretario. Alla fine di quel Comitato centrale, io e altri componenti la Direzione, tra cui i nomi appena ricordati, stilammo un durissimo comunicato con cui attaccammo frontalmente le posizioni di Fini: il perdurante pigro nostalgismo, la mancanza di ogni previsione sulla imminente Tangentopoli, l’assenza di un progetto politico nuovo, l’inadeguata comprensione di ciò che nel mondo sarebbe accaduto col crollo del Muro di Berlino, l’incapacità di sposare un originale progetto culturale che ci permettesse di dialogare con una parte della società italiana. Tornato a Milano, il lunedì successivo fui invitato a telefonare a Fini. Mi disse che ero di fronte alla scelta di smentire ufficialmente il comunicato, lasciando gli altri firmatari al loro destino, oppure di fargli avere le mie dimissioni. “Entro cinque minuti le avrai”. Gliele mandai via fax».
Staiti, chi ha tolto di mezzo la Destra, chi l’ha fatta morire?
«Nessuno ha ucciso la Destra. Si è suicidata. Si è coscientemente e lentamente avvelenata nel corso di questi ultimi trentacinque anni. C’è stato un avvelenamento da inquinamento ambientale (sistemico) e da assunzione di piccole dosi, all’inizio, di veleno politico. Tuttavia, non c’è stata la sperata mitridatizzazione e la conseguente immunizzazione, ma un lento trasbordo ideologico e comportamentale inconsapevole che, alla fine, specie negli ultimi vent’anni, ne ha provocato il decesso. Senza eccessivo rimpianto.»
Possibile che un uomo, un eterno combattente come lei non abbia rimpianti?
«Non ne ho. Devo aggiungere: purtroppo. Forse l’unico è questo. I presupposti per una vera Destra c’erano tutti. Si trattava di un movimento nato dopo la sconfitta e che, proprio per questo, poteva essere completamente libero nelle sue scelte essenziali. Invece si è progressivamente “adattato” a quel sistema che proclamava di voler combattere. Nato anti-partitocratico, quel movimento nel breve volgere di un decennio è diventato partitocratico nei comportamenti anche senza disporre di un vero potere.»
Esempi?
«I consigli comunali di Roma e Napoli, accordi sottobanco con la DC sotto la copertura dell’anticomunismo. Anticomunismo sacrosanto sul piano dottrinale e razionale. Un po’ meno quando divenne esclusivamente viscerale, cioè l’immagine rovesciata dell’antifascismo viscerale. Su questo terreno la DC era imbattibile.»
Quindi fu un grave errore fin dal «MSI» di allora fare da ruota di scorta alla «DC»?
«La ruota di scorta serve solo in caso di foratura. È accaduto che, a causa di questo, intere generazioni di giovani che si avvicinavano entusiaste al movimento se ne andavano dopo pochi anni deluse dai comportamenti che erano sotto i loro occhi. Il filo atlantismo occidentalista finiva per togliere spazio e ossigeno alla difesa dell’indipendenza e della dignità nazionale, alla concezione dello Stato come idea regolatrice dei rapporti tra i cittadini, alla difesa della scuola pubblica, alla regolamentazione dei partiti e dei sindacati, all’esaltazione del ruolo dell’Europa come indispensabile potenza mondiale, all’ingresso dei lavoratori nei CdA delle aziende, alla lotta contro le mafie giunte al seguito delle truppe anglo-americane, alla lotta contro la corruzione, alla difesa della laicità dello Stato
E il «MSI»?
«Per trent’anni il MSI è stato, volente o nolente, la sola destra esistente in Italia. Ma ha avuto troppi rapporti oscuri con il potere. Servizi e apparati. Generali e trame. Collusioni oscure e massonerie. De Lorenzo e Miceli. Gioioso incameramento del finanziamento pubblico misteriosamente dissolto in strani rivoli privati. Ciarrapico e Andreotti
Altri difetti?
«Visione corta, scenari sempre troppo ravvicinati, mancanza di prospettiva, perdita delle occasioni. E pensare che, nonostante tutto questo, bene o male, quella Destra, quel partito, erano rimasti in piedi. Al di là delle capacità dei dirigenti, delle scissioni (non sempre ingiustificate), dell’insopportabile culto della personalità verso Almirante e dell’inerte conformismo nei confronti della nostra Storia e del nostro passato. Nulla poteva essere discusso, rivisto, criticato, condannato, ma tutto doveva essere accettato in toto. Come atto di fede assoluto. In sintesi: fascisti purissimi nei congressi e nei comizi elettorali, andreottiani di complemento nelle pratiche quotidiane
Con lo scopo di…
«…sfruttare, fino all’ultimo centesimo di interesse, la rendita di quella che era stata, insieme con la Storia d’Italia, una appassionata e grande tragedia.»
Era proprio tutto da buttare?
«No. Ci fu anche chi indicò per primo il mondialismo, la globalizzazione, il fenomeno tragico dell’immigrazione, la finanziarizzazione dell’economia reale. Parlo di nuovi valori, di scenari internazionali, di nuova morale, di ecologia, di nuove tecnologie, di limiti della democrazia tradizionale.»
Che succedeva a chi osava parlare di questi temi?
«Gli accenni, i tentativi venivano subito repressi dal nuovo becero-destrismo che prendeva piede. La “Nuova Destra”, quindi, è stata soffocata nella culla.»
E intanto nella geografia politica, o partitica, tradizionale stava accadendo di tutto.
«Dopo la morte di Almirante, dopo l’interregno surreale Fini-Rauti-Fini, ecco il berlusconismo: abbracciato con amore e trasporto, con i pezzenti divenuti all’improvviso ricchi. Ed ecco quindi il liberismo come destino, meno Stato e più mercato, l’americanismo come religione, il consumismo come ideologia, il successo economico come unico valore da raggiungere a qualunque prezzo. E via dunque col pensiero unico. La “nostra” democrazia da esportare con le armi. Viva le basi USA in Italia. Viva la NATO e l’uranio impoverito. Viva l’Eurocrazia”
E, su tutto, il monopolio e il tocco «rovinoso», per la destra italiana, di Berlusconi…
«Sì, Berlusconi, come modello da seguire, come simbolo, come obiettivo da emulare. Posti e potere. Bella vita e ossequi. Valori proclamati ma mai vissuti. Esibizionismo come mezzo di comunicazione. Ma quale politica come missione! Ma quale valore dell’esempio! Ma quale senso di comunità, di popolo, di Nazione, di destino! Tutto in soffitta, con Pino Romualdi e Beppe Niccolai, inutili e fastidiosi
Mentre invece….
«Fini e i suoi colonnelli continuavano a vociare, dappertutto. Dichiarazioni su tutto, purché ciò avvenisse davanti a ogni telecamera. La corte dei clientes, dei maneggioni, del sottopotere, l’arroganza dei parvenus. Tutto il resto nella discarica della Storia. Sono stati diciassette anni di dissipazione e arroganza. Gli anni difficili rimossi. Paolo Borsellino dimenticato. La legalità una parola inutile. Autoblù, scorte, ministeri, prebende, affari. Ostriche, puttane e notorietà. Soprattutto, mancanza di stile, di buon gusto, di classe. Tutto sembrava senza fine, eterno, immutabile. Questa destra ingoiava senza battere ciglio tutto quello che il berlusconismo produceva: leggi ad personam, attacchi alla magistratura, intese vergognose con la Lega, rapporti internazionali comici, “eurocrazia” non capita, non valutata e non affrontata. Euforia causata da dosi sempre più massicce di veleno-droga, per credersi sempre più forti, per illudersi di essere importanti, autentici politici, forse anche statisti. « Diventavano ministri autentiche nullità, arrivisti presuntuosi e incapaci, caricature improponibili in un sistema politico con un minimo di serietà. Pagliacci autopromossi maestri di pensiero
Fino a quando?
«Quasi miracolosamente, ecco l’ultima grande e insperata occasione. In un inatteso sussulto di decenza e dignità esce da una bocca il famoso “Che fai? Mi cacci?” del 2010. Poteva essere l’inizio di un riscatto e come tale venne  inizialmente accolto. Si risvegliarono coscienze e si riaccesero passioni sopite. Bastava rispondere con coraggio alla provocazione del “sedicente” Rocco Siffredi di Arcore sulle dimissioni di Fini da presidente della Camera. “Silvio, mi dimetto subito. E da domani giro tutta l’Italia per farti un culo così. E per organizzare la mia forza politica”
Invece niente.
«Gli agi della presidenza della Camera, il sodalizio con Casini, l’assenza di coraggio politico. L’incapacità organizzativa. L’incapacità di sacrificio. È venuto fuori il Fini di tutta una vita. Chi ha ascoltato? Napolitano? Casini? I referenti di qualche lobby? O solo Bocchino? L’Italia, anche quella politica, non è solo nel “Transatlantico” di Montecitorio. Anzi, forse non c’è proprio più specialmente lì. E’ finito tutto nello spazio di pochi mesi. Avendo coraggio non ci sarebbe stato Mario Monti, Berlusconi sarebbe già in esilio, e il corso della Storia sarebbe cambiato. Amen.»
Quale futuro, dunque? Quali speranze?
«La destra è finita. O, meglio, ha preso forme incompatibili con la Storia, la cultura, la tradizione e gli interessi veri del popolo italiano. Il populismo è forse sempre non auspicabile. Ma quello degli affaristi, dei finti imprenditori, dei trafficanti è schifoso. La destra oggi è insopportabile, indifendibile, è l’essenza del cattivo gusto e della cafoneria, dell’esibizionismo volgare, della prevaricazione come sistema. Che vada al diavolo, senza rimpianto!»
C’è rimasto qualche spazio?
«È chiaro che a destra non esiste uno spazio politico, direi quasi nemmeno fisico. Per una forza nazionale seriamente europea, autenticamente sociale, veramente legalitaria, modernamente statalista, culturalmente attrezzata per interpretare la Storia, tutta la Storia italiana, spregiudicata in campo economico, cosciente di avere una missione. Forse questo spazio è altrove rispetto alle pigre ripartizioni politiche. Forse è fuori dagli schemi e, sicuramente, dovrà essere uno spazio nuovo.
«I frammenti di quella che fino al 1995 era stata la destra, le varie fiamme, le forze nuove, le destre e tutto il resto, altro non sono che il folklore al servizio di qualche individuale interesse personalistico: una poltrona o anche solo un seggiolino. «Se non si parte da un sogno si arriva solo a bussare alla porta di servizio della Storia. E il sogno non può che essere la ricostruzione di una Comunità Nazionale. Magari, ma non importa, in ritardo di centocinquanta anni!».
* da Il Borghese dell’aprile 2013
A cura di Gigi Moncalvo

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