1252574-rolando_riviPian piano la storia pare stia dando giustizia a tutte le vittime del famigerato ‘triangolo rosso’ (mi riferisco ai cosiddetti “vinti”, così definiti da Gianpaolo Pansa). Dopo decenni di omertà e di cappa ideologica comunista, finalmente anche gli atroci massacri di fine guerra iniziano a essere raccontati e fatti conoscere alle successive generazioni.
Qualche tempo fa, vi narrai la storia della piccola Giuseppina Ghersi. Ebbene, per merito di Papa Francesco, si pone ora all’attenzione dei media, un’altra vittima di quell’oscuro (e rosso) periodo di delirio comunista post-bellico. La vittima in questione non è certo un gerarca fascista, ma un seminarista: Rolando Rivi.
Il giovane nacque nel 1931 in una frazione di Castellarano, nel reggiano. Scoperta la vocazione, entrò in seminario nel 1942, finché i tedeschi non lo chiusero. Allora il ragazzo tornò a casa propria, pur mantenendo lo status di seminarista, fino a indossare l’abito talare che lo contraddistingueva come tale. Nonostante il parere contrario dei genitori, terrorizzati all’idea che il loro figlio potesse essere fatto oggetto dell’odio antireligioso diffusosi nella zona del famoso ‘triangolo rosso’ (zona nella quale altri sacerdoti erano stati uccisi a opera dei comunisti), egli rifiutò di vestire abiti civili.
Rolando non volle dunque sentire ragioni, e ben presto, le paure dei genitori si tramutarono in una terribile realtà. Il 10 aprile 1945 fu preso con la forza da un gruppo di partigiani comunisti e venne trascinato nel bosco. Per tre giorni venne torturato solo perché di religione cattolica e perché desideroso di diventare sacerdote. Subì umiliazioni, percosse e sevizie che lo ridussero in fin di vita, finché non venne ucciso a colpi di pistola.
La storia rimase conosciuta ai pochi fino al 1997, quando la sua salma venne traslata, con una solenne cerimonia, nel sacrario della Chiesa di San Valentino, accanto ai parroci della pieve.