sabato 30 marzo 2013

Una breve storia.
FASCIO LITTORIO.

Due tradizioni erano diffuse a Roma sull'origine del fascio: una lo riteneva autoctono, un'altra lo ricollegava all'Etruria fissandone poi in età tarda la provenienza da Vetulonia; tale tradizione sarebbe confermata dalla scoperta fatta nella necropoli vetuloniese di una insegna antichissima di ferro formata da una bipenne infissa in un fascio di verghe. Questo cimelio, che è ora nel Museo archeologico di Firenze, deve essere datato nella seconda metà del VII secolo a.C. ed è il più antico fascio che si conosca. Secondo Livio e Dionigi i capi della dodecapoli etrusca avrebbero avuto diritto a 12 fasci corrispondenti alle 12 città federate; però i monumenti che rappresentano magistrati etruschi accompagnati da littori sono tutti di età romana e risalgono al massimo al III secolo a. C. A Roma il fascio sarebbe passato in età assai antica e forse è da accettare la tradizione che ne fissa la venuta durante il periodo di influenza o dominazione etrusca sull'Urbe (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo). Esso è certamente anteriore alla Repubblica perché le fonti lo considerano come attributo regio passato poi ai magistrati supremi repubblicani. Il fascio romano (fascis) quale è riprodotto in una serie ricchissima di monumenti e quale lo descrivono le fonti, è costituito da un certo numero variabile di verghe (virgae) di olmo o betulla e da una scure (securis) assicurate a un bastone che ne costituisce il nucleo e ne forma l'impugnatura. Esso è alto da un metro a un metro e mezzo. Il numero e la grossezza delle verghe decresce dalla epoca repubblicana alla imperiale in cui esse perdono la loro funzione di strumento di giustizia. La legatura è fatta con una correggia di cuoio rosso per mezzo di avvolgimenti orizzontali alternati da passaggi obliqui o incrociati; essa procede dal basso in alto lasciando in alto un cappio per appendere il fascio. La scure è sempre collocata nella parte inferiore del fascio; il suo manico termina in un pomo a testa umana o di animale; la lama è di forma varia, quasi sempre inguainata in una custodia di pelle che serve a conservarla e a proteggere il littore. I littori sono funzionari subalterni della categoria degli apparitores che rimanevano in carica a vita ed erano riuniti in corporazioni. Essi portavano sempre lo stesso genere di abito indossato dal magistrato; erano vestiti di toga a Roma e indossavano al campo il sagum rosso sopra la tunica. L'etimologia della parola littore è probabilmente da licere, cioè citare, far comparire il reo dinanzi al magistrato. Il fascio era poi usato come strumento di giustizia: le verghe servivano per le pene minori, la scure per la pena capitale. Originariamente il magistrato poteva esercitare la giustizia a discrezione; poi il suo potere fu limitato al territorio fuori della città e solo allora i suoi fasci potevano portare la scure; i fasci con la scure potevano anche essere introdotti in città, in occasione del trionfo e quando occorreva punire un delitto di parricidio; in questo caso l'esecuzione, affidata ai littori, aveva luogo nel Foro. Per i delitti privati il magistrato, e quindi i littori, non intervenivano. Oltre che strumento di giustizia il fascio era l' insegna del magistrato che l'amministrava e poi prese il significato generico di insegna di potere. Accompagnando il magistrato i littori procedevano allineati tenendo il fascio sulla spalla sinistra e un bastone nella destra con cui allontanavano la folla; essi non abbandonavano il magistrato in nessuna circostanza. Il fascio era adorno di alloro in occasione di vittorie e quando il magistrato era proclamato imperator; i fasci dell'imperatore erano sempre laureati; il lauro è però comune anche nei fasci dei magistrati inferiori. Nei funerali il fascio si portava rovesciato. Il littore, oltre che ministro di giustizia, era anche apportatore di libertà: quando uno schiavo era proclamato libero il littore del magistrato che presiedeva la cerimonia lo toccava con una speciale verghetta (vindicta o festuca) alla presenza del magistrato stesso e del padrone, pronunciando una formula rituale. Oltre a quelli dell'imperatore e dei magistrati vi erano altre due categorie di littori: quelli curiatii che pare fossero di spettanza del pontefice massimo e che convocavano il popolo nei comizi e quelli dei vicomagistri che annunziavano le feste religiose da loro indette. Il numero dei fasci spettanti a ciascun magistrato era rigorosamente stabilito: sappiamo dalle fonti che il re ne aveva 24 (le fonti che attestano che i fasci reali erano 12 pare si riferiscano a un periodo più antico); il dittatore 24, i consoli 12, il pretore 6 (nella provincia ove esercitava la pretura). I promagistrati avevano lo stesso numero di fasci dei magistrati corrispondenti se il loro grado era però equivalente (p. es. gli ex–pretori che fungevano da proconsoli non ne avevano 12 ma 6). L'imperatore aveva 12 fasci con l'attributo perenne dell'alloro; Augusto e Domiziano ne ebbero anche 24. I magistrati municipali, gli augustales, i seviri avevano fasci più piccoli e privi di scure. Dopo la caduta dell'impero romano, il fascio sparisce, per risorgere, come tanti ricordi, col rifiorire degli studi umanistici, adorna figure simboliche dell'autorità statale e delle virtù pregiate dei magistrati; compare perfino negli stemmi gentilizi (card. Mazzarino). Nuova voga ebbe nella rivoluzione francese e negli stati italiani da essa sorti, ma era di forma ibrida e la scure divenne un'alabarda nel mezzo delle verghe. Comparve poi talvolta nei fasti del nostro Risorgimento per indicare unità e libertà. Risorse come simbolo augusto nazionale quando BENITO MUSSOLINI lo adottò per insegna del movimento da lui fondato. Il fascio romano ricostituito da Giacomo Boni nella sua forma originaria quale appare in tanti monumenti della antichità, con la particolare caratteristica della scure unita alle verghe all'esterno, verso la estremità inferiore, tenuta da legami di cuoio, è l' insegna del Partito nazionale fascista. Con il trionfo del Fascismo si è associato alla Croce di Savoia ed è divenuto l'impresa dell'Italia imperiale.

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